Ancora fischia il vento
Testimonianze partigiane
Testimonianze partigiane
Sulla Resistenza molto è stato scritto. Pagine che hanno la dignità e il rigore di ricerche storiche suffragate da documenti tratti da archivi civili e militari. Oppure racconti o monografie di episodi di rilievo basate su testimonianze di chi li ha conosciuti o vissuti. Poi ci sono libri di memorie di combattenti che hanno il sapore di cronache dal fronte, a volte avvincenti come un film western con imboscate, scontri, eroismi e viltà. A conferma dell’internazionalità del conflitto i protagonisti sono di tutte le etnie. Ora, a più di 70 anni da quelle vicende, parlare con uno che c’era è diventata una cosa rara e riveste un interesse particolare . Proprio per questo sabato 17 febbraio 2018 siamo andati a Novi Ligure, una cittadina del basso Piemonte che durante la Resistenza fu teatro di aspri scontri, per intervistare Alessandro Ravazzano, classe 1928, nome di battaglia “Cucciolo”, che fu partigiano a 15 anni, uno che ha combattuto davvero. Era una brutta giornata con un tempo da lupi. Nebbia, pioggia e tirava un’aria gelida che intirizziva; il termometro segnava quattro gradi, ma la percezione era da sottozero. Siamo a chiederci se con questo tempaccio il novantenne verrà all’appuntamento. Dopo un paio di telefonate per la conferma si presenta e da solo. Andiamo con lui e poco distante siamo accolti dal benevolo tepore della locale sezione Anpi messaci gentilmente a disposizione dal Presidente. Sono tre ambienti comunicanti molto ben arredati con una piccola biblioteca, un’esposizione di cimeli storici e dove alle pareti non ci sono spazi liberi. Sono tutti occupati da quadri con le foto dei partigiani morti in combattimento o deportati e non più tornati, quasi tutti da Gusen o Mauthausen. Ci si rende subito conto che a Novi Ligure è stata un’ecatombe. Alessandro siede appoggiandosi a un bastone, viene sistemata la telecamera e cominciano e domande. E’ ancora molto lucido, risponde senza tentennamenti gli occhi sono vivaci e la memoria ancora buona. Perché hai fatto il partigiano? "In casa mia erano tutti antifascisti ho respirato quell’aria e lo sono diventato naturalmente anch’io." Hai subito angherie o altro? "Avevo 14 anni, un giorno mi viene vicino un federale con tanto di fez e pennacchio e mi chiede perché non vado alle adunate di cultura fascista del giovedì, poi, senza aspettare la risposta, mi rifila un ceffone a mano aperta che mi prende oltre la guancia anche l’orecchio." Una di quelle sberle che non si possono dimenticare. Alessandro diventa partigiano scappando dalla prigione dove lo avevano rinchiuso tedeschi e fascisti che lo avevano prelevato direttamente dall’officina dove faceva l’apprendista meccanico. Evase per una coincidenza fortuita, il maresciallo comandante, evidentemente una brava persona, decise di disertare e unirsi alla Resistenza. Una notte, verso le 2 si affacciò alla cella dei suoi prigionieri dicendo: ”Badate che questi vi deportano in Germania da dove non tornerete più, io scappo ma vi lascio la porta aperta." Non ci fu bisogno di ripetere, Alessandro, dopo una capatina a casa per salutare i genitori, a passo svelto se ne andò verso le montagne dove si sapeva che c’erano nuclei di ribelli. Trovò, o fu trovato da una squadra di Franco Anselmi nome di battaglia “Marco” che, dopo un rapido esame, lo arruolò ufficialmente consegnandogli un mitra “Sten” e qualche istruzione per l’uso.
Novi Ligure è in pianura ma le montagne che ne delimitano il territorio sono di una morfologia molto accidentata. Sono valli strette da cui dipartono verso l’alto rive scoscese e boscate scenari ideali per nascondersi e preparare agguati. Posti duri per gente dura, da combattenti. Lo testimonia il numero delle onorificenze assegnate dalla Repubblica che furono tante in rapporto agli abitanti. Ben sette medaglie d’oro al valor militare e dodici d’argento, tutte alla memoria. Pur non trovandosi in posizioni di prima linea la città subì 26 bombardamenti, di cui l’ultimo proprio appena pochi giorni prima del cessate il fuoco. Fu micidiale perché le bombe caddero senza nessun preavviso, senza il suono della sirena causando 216 morti e un numero imprecisato di feriti. Una delle battaglie più note cui il nostro intervistato partecipò fu quella detta di Pertuso ma che in realtà comprendeva anche la zona di Cantalupo.
Oltre a questi due comuni i combattimenti infuriarono su un fronte più largo che arrivava alla località le “Strette”, un luogo molto panoramico fra le anse del torrente Borbera ove ora sorge un’area commemorativa. Lo scontro cominciò il 22 e finì 3 o 4 giorni dopo e aveva lo scopo di operare uno sfondamento delle linee partigiane a completamento di un piano ben più vasto mirante ad occupare territorio fino all’Antola. Da una parte erano truppe della Wehrmacht professionisti della guerra ben armati ed equipaggiati assieme alle camicie nere della scuola allievi ufficiali di Novi Ligure dall’altra il popolo, le truppe Garibaldine rinforzate da elementi della brigata Capettini dell’Oltrepo e dalla divisione Pinan-Cichero. Ci dicono che nei luoghi sono ancora visibili “le buche” anfratti naturali dove i combattenti si riposavano dopo ore di prima linea. Stremati dai combattimenti e ormai senza munizioni poiché la battaglia continuava anche alla notte, i partigiani decidono di ritirarsi portando i feriti più gravi a Rocchetta, quelli meno gravi restarono con gli altri per coprire la ritirata e non sfuggirono ai tedeschi che li fecero prigionieri e condussero con loro fino nel piacentino, con l’intento di ospedalizzarli.
Ma in val Boreca incontrarono delle camicie nere di Sampierdarena cui furono affidati. Tra i feriti era anche “Chicchirichi” il comandante, nome di battaglia di Virginio Arzani un ufficiale di carriera uscito dall’accademia di Modena e antifascista. Non ci fu nessun ospedale, il gruppo dei prigionieri venne spinto sul ciglio della strada e finito a raffiche di mitra e lanci di bombe a mano. Da allora la brigata assunse il nome di Arzani che nel dopoguerra fu insignito della medaglia d’oro alla memoria. Nei giorni seguenti girò per le vallate una “Topolino” con la quale il tenente Marco raccoglieva i reduci della battaglia che si erano dispersi un po’ ovunque per rifare la formazione. Poi ci fu, tristemente famoso e controverso, l’episodio di Vigoponzo una frazione del comune di Dernice, in cui una trentina di fascisti della X Mas si travestirono da partigiani con l’intento di sorprenderli e catturarli, ma riconosciuti furono immediatamente passati per le armi. L’orrore di una guerra fratricida può essere veramente senza fine. Alessandro Ravazzano, che nel dopoguerra sarà un valido portiere, riserva di Bacigalupo del grande Torino, da noi sollecitato non si fa pregare per intonare una canzone partigiana, ma quella che più gli piaceva e che cantavano anche i Russi nella loro lingua era “fischia il vento” di cui accenna le prime strofe. Nel salutarlo non ci nasconde un suo cruccio: non riesce a rendersi conto di come sia possibile che nell’Italia odierna ci siano ancora gruppi di persone che inneggiano al nazi-fascismo, dopo tutto quello che ha comportato quasi un secolo fa.
Pagina redatta a cura di: Piero Ricci, Giuseppe Zurla, Pierlino Bergonzi e Arrigo Francani. Foto bombardamento by United States Army Air Forces.
Pagina pubblicata il 09 marzo 2018