Gli Stuka su Gattinara
di Alberto Magnani
di Alberto Magnani
Il 20 giugno 1944, a Gattinara, in Piemonte, era giorno di mercato. Il sole, che dissipava la foschia mattutina, prometteva una giornata già estiva. Improvvisamente si udì un forte ronzio e nel cielo si distinsero alcuni aeroplani. Il primo pensiero fu che si trattasse di caccia degli Alleati, che spesso scendevano a mitragliare il traffico sul rettilineo che porta al paese di Lenta. Invece erano aerei tedeschi. Le ali a gabbiano rovesciate e i carrelli fissi li identificavano chiaramente come Junkers 87, meglio conosciuti come Stuka, i più famosi bombardieri in picchiata del secondo conflitto mondiale.
Gli apparecchi puntarono con decisione su Gattinara. Per un periodo di tempo che i testimoni non seppero poi indicare con certezza, oscillando tra una ventina di minuti e un’ora, sganciarono le loro bombe sul borgo e scaricarono raffiche di mitragliatrice. Numerosi edifici vennero danneggiati o distrutti. Tra gli abitanti si contarono nove vittime, di età compresa tra i quattro e i sessantotto anni.
Perché Gattinara? Gli storici della Resistenza piemontese hanno sempre messo in relazione il bombardamento del 20 giugno con gli avvenimenti della precedente domenica 18. In quel periodo, il movimento resistenziale era in fase espansiva ed era riuscito a creare una Zona Libera nella valle del fiume Sesia. Gattinara si trovava ai margini di questa Zona, da cui la separava soltanto il fiume. Il 18 giugno, un camion di partigiani delle formazioni del comandante Cino Moscatelli attraversò il ponte di Romagnano e si diresse verso Gattinara: l’intenzione era quella di recuperare il corpo di un giovanissimo partigiano, Carlo Vallacchi, che era rimasto ucciso il 17 ed era stato trasportato nel locale ospedale. Il camion incrociò tre automezzi carichi di militi della Guardia Nazionale Repubblicana, giunti da Parma e posti sotto comando tedesco. Ne seguì uno scontro a fuoco, che si protrasse a lungo. L’arrivo di rinforzi dalla Zona Libera permise ai partigiani di avere la meglio. In serata i vincitori entravano a Gattinara, accolti da manifestazioni di simpatia da parte della popolazione.
Nello scontro vi erano stati caduti da entrambe le parti. Tra di essi vi era un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana, del quale non si conosce la nazionalità, ma, poiché il reparto, come abbiamo detto, era inquadrato dalla Wehrmacht, è possibile che fosse tedesco. Ciò potrebbe aver indotto i comandi germanici a ordinare una rappresaglia contro Gattinara. Vi è inoltre un altro elemento da tener presente: il fatto d’armi permetteva alla Zona Libera di espandersi al di là del Sesia, includendo Gattinara. Colpire il borgo poteva avere anche lo scopo di riportarlo sotto il controllo della Repubblica Sociale e degli occupanti tedeschi.
Proprio in quei giorni, nell’aeroporto di Torino Caselle si trovava la 2^ Squadriglia del 9° Gruppo di assalto della Luftwaffe (2/NSG 9). Reduce dal fronte russo, dove aveva operato con antiquati biplani Arado 66, la formazione aveva appena ricevuto una dotazione di Stuka della versione D-3. ed era in attesa di trasferirsi in Italia Centrale. Quello stesso 20 di giugno, l’avanzata degli Alleati raggiungeva la città di Perugia. I vertici militari tedeschi decisero – forse anche per testare gli apparecchi – di utilizzarli per bombardare Gattinara. La mattina del 20 giugno, pertanto, gli Stuka decollarono da Caselle, facendo rotta in direzione nord-est. Non si sa esattamente quanti aerei prendessero parte alla missione: potrebbero essere stati otto, uno dei quali dovette rientrare alla base per problemi tecnici.
Gli apparecchi puntarono con decisione su Gattinara. Per un periodo di tempo che i testimoni non seppero poi indicare con certezza, oscillando tra una ventina di minuti e un’ora, sganciarono le loro bombe sul borgo e scaricarono raffiche di mitragliatrice. Numerosi edifici vennero danneggiati o distrutti. Tra gli abitanti si contarono nove vittime, di età compresa tra i quattro e i sessantotto anni.
Perché Gattinara? Gli storici della Resistenza piemontese hanno sempre messo in relazione il bombardamento del 20 giugno con gli avvenimenti della precedente domenica 18. In quel periodo, il movimento resistenziale era in fase espansiva ed era riuscito a creare una Zona Libera nella valle del fiume Sesia. Gattinara si trovava ai margini di questa Zona, da cui la separava soltanto il fiume. Il 18 giugno, un camion di partigiani delle formazioni del comandante Cino Moscatelli attraversò il ponte di Romagnano e si diresse verso Gattinara: l’intenzione era quella di recuperare il corpo di un giovanissimo partigiano, Carlo Vallacchi, che era rimasto ucciso il 17 ed era stato trasportato nel locale ospedale. Il camion incrociò tre automezzi carichi di militi della Guardia Nazionale Repubblicana, giunti da Parma e posti sotto comando tedesco. Ne seguì uno scontro a fuoco, che si protrasse a lungo. L’arrivo di rinforzi dalla Zona Libera permise ai partigiani di avere la meglio. In serata i vincitori entravano a Gattinara, accolti da manifestazioni di simpatia da parte della popolazione.
Nello scontro vi erano stati caduti da entrambe le parti. Tra di essi vi era un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana, del quale non si conosce la nazionalità, ma, poiché il reparto, come abbiamo detto, era inquadrato dalla Wehrmacht, è possibile che fosse tedesco. Ciò potrebbe aver indotto i comandi germanici a ordinare una rappresaglia contro Gattinara. Vi è inoltre un altro elemento da tener presente: il fatto d’armi permetteva alla Zona Libera di espandersi al di là del Sesia, includendo Gattinara. Colpire il borgo poteva avere anche lo scopo di riportarlo sotto il controllo della Repubblica Sociale e degli occupanti tedeschi.
Proprio in quei giorni, nell’aeroporto di Torino Caselle si trovava la 2^ Squadriglia del 9° Gruppo di assalto della Luftwaffe (2/NSG 9). Reduce dal fronte russo, dove aveva operato con antiquati biplani Arado 66, la formazione aveva appena ricevuto una dotazione di Stuka della versione D-3. ed era in attesa di trasferirsi in Italia Centrale. Quello stesso 20 di giugno, l’avanzata degli Alleati raggiungeva la città di Perugia. I vertici militari tedeschi decisero – forse anche per testare gli apparecchi – di utilizzarli per bombardare Gattinara. La mattina del 20 giugno, pertanto, gli Stuka decollarono da Caselle, facendo rotta in direzione nord-est. Non si sa esattamente quanti aerei prendessero parte alla missione: potrebbero essere stati otto, uno dei quali dovette rientrare alla base per problemi tecnici.
Foto sopra a sinistra: opera pittorica dell'artista Arturo Gibelino, "Bombardamenti di Gattinara". Foto sopra a destra: il funerale delle vittime del bombardamento. (Foto archivio Comune di Gattinara)
Erano trascorse le ore 8.00, quando gli aerei sorvolarono Lenta. L’allora quattordicenne Francesco Comola, che si stava recando in campagna a zappare la meliga, si affrettò a saltare il fosso che fiancheggiava la strada e si gettò nei campi. <<Gli aerei erano infatti molto bassi>>, ricorda, <<passarono e proseguirono. Io ritornai sulla strada e li osservai mentre si allontanavano. Giunti però su Gattinara li vidi calare in picchiata, uno dopo l’altro, e sentii il caratteristico rumore del motore d’aereo in picchiata. Dopo qualche istante le prime esplosioni e la nuvola nera di polvere che saliva in lontananza. Gli aerei girarono in cerchio per alcune volte, sempre picchiando sul borgo, scaricando bombe e mitragliando. Questo per circa un’ora, poi si allontanarono.>>
Il partigiano Marcellino Franchino scrive, nelle sue memorie, di avere visto due Stuka. <<Sorvolarono alcune volte le colline a nord del paese, sparando raffiche di mitraglia, poi iniziarono il bombardamento sull’abitato. La prima picchiata la effettuarono sulla caserma dei Carabinieri, che venne distrutta. Parecchie altre case furono colpite e distrutte lungo le vie.>>
Anche Pietro Bonola, all’epoca tredicenne, ha fissato nella memoria l’immagine di due Stuka, che effettuarono un primo giro mitragliando e colpendo la sua abitazione. Una bomba cadde nell’orto di casa, scavando un enorme cratere e distruggendo gli alberi. Poi gli aerei proseguirono e bombardarono la caserma dei Carabinieri.
Angela Scribante si stava invece recando al mercato, quando fu sorpresa dai boati delle esplosioni e vide alzarsi nubi di fumo. La gente incominciò a fuggire. Un uomo che soffriva di turbe psichiche gesticolava in preda al terrore. La Scribante ricorda una sua conoscente, Celestina Paolotti, che cercò la salvezza tra i rassicuranti muri di casa e vi trovò la morte, perché l’edificio fu centrato da una bomba.
Le bombe caddero in più punti del borgo, sfiorando l’Ospedale, la chiesa parrocchiale e colpendo molti edifici. Artemio Comazzi racconta che il bombardamento durò una ventina di minuti: lui e la sua famiglia si salvarono per miracolo, in quanto la sua casa venne colpita, ma le macerie dei piani superiori crollarono sul pavimento del primo piano, che resse al loro peso, proteggendo gli abitanti riuniti al piano terra. In un’altra casa, ricorda Silvio Albertinetti, una bomba <<ha bucato tetto e pavimenti e c’era un ragazzino seduto, l’ha sfiorato ma non è scoppiata.>>
Tra gli edifici coinvolti vi fu l’asilo delle suore. Angela Caron, che all’epoca era bambina e lo frequentava, ricorda bene quel giorno: <<Erano le 8.30 del mattino quando si sente arrivare uno stormo di aeroplani, cosa non insolita in quel tempo di guerra. Si intuisce subito che sta per succedere qualcosa di terribile, perché si sentono boati qua e là per le vie del paese. Le bombe che cadono sollevano un polverone e pare che tutto il paese sia stato incendiato. Tutti cerchiamo di metterci in salvo più o meno cercando uno spazio libero e chi anche nelle cantine. Passati i primi momenti di smarrimento e di paura, ognuno ha cercato di rendersi conto di quello che era veramente successo.>>
Le suore si resero conto che i danni erano ingenti, ma non c’erano vittime: <<Un braccio della nostra casa venne colpito dalle bombe e perciò raso completamente al suolo, e così la lavanderia, il laboratorio, la dispensa, una camera attigua alla Cappella, la cucina dell’asilo nido e tutto il salone, dove dormivano le sfollate del Calzificio Torinese, venne distrutto. Il resto della casa rimase sinistrato e così pure il locale dell’Asilo. Fu un miracolo della Madonna se non si contano vittime in casa nostra!>>
Quando l’incursione cessò e gli aerei scomparvero all’orizzonte, il già citato Silvio Albertinetti, che aveva quattordici anni e stava lavorando in campagna, si precipitò in paese per vedere cosa fosse successo: <<Il paese era morto, non vedevi più nessuno camminare, niente. Erano tutti sotto, nelle cantine.>>
Poco alla volta, la gente incominciò a uscire dagli improvvisati rifugi ove s’era rintanata, a guardarsi attorno, a scavare tra le macerie. Il partigiano Luigi Poletti ricorda di aver forzato le grate di una cantina e di aver estratto una donna, che vi era rimasta imprigionata. Don Antonio Guarnieri, giovane sacerdote appena ordinato, si affrettò in bicicletta verso la canonica: <<Giunsi mentre stavano caricando su una carriola una donna di mezza età: era stata estratta dalle macerie da alcuni volontari. La rincuorai: era ferita a una gamba.>>
Vengono estratti anche corpi senza vita, come quelli di due sorelle ventenni. <<Una l’hanno trovata subito>>, riferisce sua zia Angela Scribante. <<Stava andando nel cortile, la bomba l’ha presa dietro e poi è andata a uccidere nella stalla. L’altra l’abbiamo trovata dopo ventiquattro ore, sotto le macerie… Lì è stato uno strazio. Lei era con una signora, si sono messe sotto una tettoia credendo di essere riparate… Invece è venuta giù. L’han trovata che aveva tutti i chiodi nella testa, come una corona. Una cosa… Il grido che ha fatto suo padre! E’ una cosa che non mi andrà mai via dalla mente.>>
Le operazioni di soccorso furono turbate, verso le ore 11, dall’arrivo di un mezzo blindato, che si mise a sgranare raffiche di mitragliatrice. Don Antonio Guarnieri rischiò di essere falciato: <<Afferrai la bicicletta per allontanarmi. Nel salire il manubrio mi si girò a sinistra: un proiettile che proveniva dalla piazza alle mie spalle, sfiorò la mia schiena e colpì cerchio e gomma della ruota anteriore. Segnò anche un lembo della mia veste talare. Mi buttai a terra. I proiettili, a raffiche, schizzavano scintille sulle colonne di granito del portichetto, che era quasi di fronte alla casa bombardata sul lato opposto del corso. Da un portone mi urlarono di togliermi dalla strada e di ripararmi sotto il portico. Esitai a togliermi le braccia dalla testa, poi mi decisi e, strisciando faticosamente, raggiunsi il portico dove afferrai una mano che mi tirò al riparo. Quando il mezzo corazzato si allontanò dalla piazza, tentai la fuga, trascinando la bicicletta inutilizzabile.>>
Il blindato finì per allontanarsi. Il bilancio di quella giornata fu di nove vittime: Silvino Paolotti, 68 anni; Celestina Perino, 66 anni; Ines Patriarca, 23 anni; Piera Patriarca, 19 anni; Virginia Petterino, 45 anni; Eder Pietrovecchio, 20 anni; Lorenza Camagna, 4 anni; Giuseppe Camagna, 38 anni; Quintina Gibellino, 65 anni. Le unità immobiliari distrutte o danneggiate seriamente furono 44, i vani di abitazione resi inagibili 191.
Macerie del bombardamento, popolate da topi e gatti randagi, erano ancora visibili negli anni Sessanta. Le ferite di guerra, si sa, impiegano molto tempo a rimarginarsi.
Il partigiano Marcellino Franchino scrive, nelle sue memorie, di avere visto due Stuka. <<Sorvolarono alcune volte le colline a nord del paese, sparando raffiche di mitraglia, poi iniziarono il bombardamento sull’abitato. La prima picchiata la effettuarono sulla caserma dei Carabinieri, che venne distrutta. Parecchie altre case furono colpite e distrutte lungo le vie.>>
Anche Pietro Bonola, all’epoca tredicenne, ha fissato nella memoria l’immagine di due Stuka, che effettuarono un primo giro mitragliando e colpendo la sua abitazione. Una bomba cadde nell’orto di casa, scavando un enorme cratere e distruggendo gli alberi. Poi gli aerei proseguirono e bombardarono la caserma dei Carabinieri.
Angela Scribante si stava invece recando al mercato, quando fu sorpresa dai boati delle esplosioni e vide alzarsi nubi di fumo. La gente incominciò a fuggire. Un uomo che soffriva di turbe psichiche gesticolava in preda al terrore. La Scribante ricorda una sua conoscente, Celestina Paolotti, che cercò la salvezza tra i rassicuranti muri di casa e vi trovò la morte, perché l’edificio fu centrato da una bomba.
Le bombe caddero in più punti del borgo, sfiorando l’Ospedale, la chiesa parrocchiale e colpendo molti edifici. Artemio Comazzi racconta che il bombardamento durò una ventina di minuti: lui e la sua famiglia si salvarono per miracolo, in quanto la sua casa venne colpita, ma le macerie dei piani superiori crollarono sul pavimento del primo piano, che resse al loro peso, proteggendo gli abitanti riuniti al piano terra. In un’altra casa, ricorda Silvio Albertinetti, una bomba <<ha bucato tetto e pavimenti e c’era un ragazzino seduto, l’ha sfiorato ma non è scoppiata.>>
Tra gli edifici coinvolti vi fu l’asilo delle suore. Angela Caron, che all’epoca era bambina e lo frequentava, ricorda bene quel giorno: <<Erano le 8.30 del mattino quando si sente arrivare uno stormo di aeroplani, cosa non insolita in quel tempo di guerra. Si intuisce subito che sta per succedere qualcosa di terribile, perché si sentono boati qua e là per le vie del paese. Le bombe che cadono sollevano un polverone e pare che tutto il paese sia stato incendiato. Tutti cerchiamo di metterci in salvo più o meno cercando uno spazio libero e chi anche nelle cantine. Passati i primi momenti di smarrimento e di paura, ognuno ha cercato di rendersi conto di quello che era veramente successo.>>
Le suore si resero conto che i danni erano ingenti, ma non c’erano vittime: <<Un braccio della nostra casa venne colpito dalle bombe e perciò raso completamente al suolo, e così la lavanderia, il laboratorio, la dispensa, una camera attigua alla Cappella, la cucina dell’asilo nido e tutto il salone, dove dormivano le sfollate del Calzificio Torinese, venne distrutto. Il resto della casa rimase sinistrato e così pure il locale dell’Asilo. Fu un miracolo della Madonna se non si contano vittime in casa nostra!>>
Quando l’incursione cessò e gli aerei scomparvero all’orizzonte, il già citato Silvio Albertinetti, che aveva quattordici anni e stava lavorando in campagna, si precipitò in paese per vedere cosa fosse successo: <<Il paese era morto, non vedevi più nessuno camminare, niente. Erano tutti sotto, nelle cantine.>>
Poco alla volta, la gente incominciò a uscire dagli improvvisati rifugi ove s’era rintanata, a guardarsi attorno, a scavare tra le macerie. Il partigiano Luigi Poletti ricorda di aver forzato le grate di una cantina e di aver estratto una donna, che vi era rimasta imprigionata. Don Antonio Guarnieri, giovane sacerdote appena ordinato, si affrettò in bicicletta verso la canonica: <<Giunsi mentre stavano caricando su una carriola una donna di mezza età: era stata estratta dalle macerie da alcuni volontari. La rincuorai: era ferita a una gamba.>>
Vengono estratti anche corpi senza vita, come quelli di due sorelle ventenni. <<Una l’hanno trovata subito>>, riferisce sua zia Angela Scribante. <<Stava andando nel cortile, la bomba l’ha presa dietro e poi è andata a uccidere nella stalla. L’altra l’abbiamo trovata dopo ventiquattro ore, sotto le macerie… Lì è stato uno strazio. Lei era con una signora, si sono messe sotto una tettoia credendo di essere riparate… Invece è venuta giù. L’han trovata che aveva tutti i chiodi nella testa, come una corona. Una cosa… Il grido che ha fatto suo padre! E’ una cosa che non mi andrà mai via dalla mente.>>
Le operazioni di soccorso furono turbate, verso le ore 11, dall’arrivo di un mezzo blindato, che si mise a sgranare raffiche di mitragliatrice. Don Antonio Guarnieri rischiò di essere falciato: <<Afferrai la bicicletta per allontanarmi. Nel salire il manubrio mi si girò a sinistra: un proiettile che proveniva dalla piazza alle mie spalle, sfiorò la mia schiena e colpì cerchio e gomma della ruota anteriore. Segnò anche un lembo della mia veste talare. Mi buttai a terra. I proiettili, a raffiche, schizzavano scintille sulle colonne di granito del portichetto, che era quasi di fronte alla casa bombardata sul lato opposto del corso. Da un portone mi urlarono di togliermi dalla strada e di ripararmi sotto il portico. Esitai a togliermi le braccia dalla testa, poi mi decisi e, strisciando faticosamente, raggiunsi il portico dove afferrai una mano che mi tirò al riparo. Quando il mezzo corazzato si allontanò dalla piazza, tentai la fuga, trascinando la bicicletta inutilizzabile.>>
Il blindato finì per allontanarsi. Il bilancio di quella giornata fu di nove vittime: Silvino Paolotti, 68 anni; Celestina Perino, 66 anni; Ines Patriarca, 23 anni; Piera Patriarca, 19 anni; Virginia Petterino, 45 anni; Eder Pietrovecchio, 20 anni; Lorenza Camagna, 4 anni; Giuseppe Camagna, 38 anni; Quintina Gibellino, 65 anni. Le unità immobiliari distrutte o danneggiate seriamente furono 44, i vani di abitazione resi inagibili 191.
Macerie del bombardamento, popolate da topi e gatti randagi, erano ancora visibili negli anni Sessanta. Le ferite di guerra, si sa, impiegano molto tempo a rimarginarsi.
Foto sopra a sinistra: lapide affissa nel comune di Gattinara a ricordo del triste giorno. Foto sopra a destra: gli effetti del bombardamento sugli edifici cittadini... (Foto archivio Comune di Gattinara)
Riferimenti bibliografici
Enrico Pagano, Era di martedì. 20 giugno 1944. Gattinara bombardata, Varallo 2018.
Nick Beale, Ghost bombers. The Moonlight War of NSG 9, Crowborough 2001.
Pagina pubblicata il 10 febbraio 2021