Le "Tramways" piacentine
di Giancarlo Anselmi
di Giancarlo Anselmi
Dopo la metà del 1870 anche in provincia di Piacenza, come già fatto in Lombardia, si pensa alla costituzione di linee tranviarie a vapore per raggiungere i centri più importanti della provincia. Le prime concessioni furono date a società straniere: il 15 aprile 1880, con atto del notaio Alfred Domison, si costituisce la società "The Piacenza Bettola and Cremona Tramway Company Ltd.", con sede a Londra, rappresentata dall'ingegnere Robert Fowler Mackenzie, per questo motivo nota come "Compagnia Inglese".
I lavori di costruzione furono affidati all'impresa italiana di Natale Taino, con sede a Cremona, che lavorava già in Lombardia per conto della società inglese.
Le prime linee entrate in costruzione furono la Piacenza-Bettola, la Piacenza-Cremona e la Grazzano Visconti-Rivergaro. Altre linee (la Piacenza Castel San Giovanni Pianello Nibbiano, la Piacenza Carpaneto Lugagnano, la Cremona Fiorenzuola Castell'Arquato Lugagnano) furono appannaggio della società francese "Dolfus and C." Anche la società francese affida la costruzione all'impresa di Natale Taino. Nel 1906 la società francese passa in mano al capitale italiano e la stessa sorte tocca nel 1908 alla società inglese che prende il nome di "Società dei Tramways a Vapore nella Provincia di Piacenza", nome che in seguito venne modificato in "Società Italiana di Ferrovie e Tranvie" (S.I.F.T.).
I lavori di costruzione furono affidati all'impresa italiana di Natale Taino, con sede a Cremona, che lavorava già in Lombardia per conto della società inglese.
Le prime linee entrate in costruzione furono la Piacenza-Bettola, la Piacenza-Cremona e la Grazzano Visconti-Rivergaro. Altre linee (la Piacenza Castel San Giovanni Pianello Nibbiano, la Piacenza Carpaneto Lugagnano, la Cremona Fiorenzuola Castell'Arquato Lugagnano) furono appannaggio della società francese "Dolfus and C." Anche la società francese affida la costruzione all'impresa di Natale Taino. Nel 1906 la società francese passa in mano al capitale italiano e la stessa sorte tocca nel 1908 alla società inglese che prende il nome di "Società dei Tramways a Vapore nella Provincia di Piacenza", nome che in seguito venne modificato in "Società Italiana di Ferrovie e Tranvie" (S.I.F.T.).
La linea tranviaria correva in percorso promiscuo, utilizzando cioè anche le normali strade carrozzabili. Da ricordare che lungo la linea Piacenza Bettola vi erano serbatoi d'acqua per i rifornimenti alle locomotive, come ad esempio quello di Mulino Croce nel comune di Ponte dell'Olio, che veniva alimentato da una piccola sorgente. Le locomotive a vapore, oltre al numero aziendale, portavano il nome di un paese o di persone importanti. La maggior parte dei convogli era a composizione mista: passeggeri e merci. Il trasporto delle merci era di primaria importanza: ad esempio i sassi raccolti lungo il torrente Nure venivano trasportati nel Cremonese e utilizzati per la costruzione degli argini a difesa del Po, mentre ai cementifici di Piacenza giungeva la marna cementifera estratta da una miniera nelle vicinanze di Biana, in località Case Bardelli, nel comune di Bettola. In questo caso, tramite un raccordo con la linea primaria, i vagoni della tranvia entravano direttamente in galleria per essere caricati.
Nel 1924 la Provincia di Piacenza ipotizzò la trasformazione delle linee a vapore ormai vetuste in tranvie elettriche a 3000 volt in corrente continua, ma tale progetto non venne mai realizzato. Nel 1927 si pensa alla progettazione di linee ferroviarie in sostituzione delle vecchie linee tranviarie a vapore. La società SIFT affida al Politecnico di Milano tale progettazione, nelle persone del milanese ing. Marco Semenza e del cuneese ing. Arturo Danusso; essa è la prima linea in Italia ad adottare criteri di metropolitana di superficie e semafori luminosi. Le linee progettate sono la Piacenza Bettola, la Piacenza Cremona, La Grazzano Rivergaro, La Piacenza Carpaneto Lugagnano e la Piacenza Castel San Giovanni Pianello Nibbiano.
Nel 1927 a Milano in Corso Italia n.6 si costituisce una società di matrice ferroviaria col nome di "Sud Milano", di cui fa parte la SIFT, con lo scopo di progettare e costruire una ferrovia elettrica a 3000 volt proiettata verso il sud della Lombardia e l'Emilia, da Milano verso Sant'Angelo Lodigiano San Colombano Terme Castel San Giovanni Pianello Nibbiano, con la possibilità in futuro di arrivare fino al mare. Tale progetto non fu però mai realizzato. Delle linee progettate la SIFT realizzò solo la Piacenza Bettola, ritenuta molto importante per il trasporto di passeggeri e merci.
Intanto, nel 1929 la SIFT acquista un'automotrice DKW con motore a benzolo e un'altra rimorchiata (cioè a due cabine anteriore e posteriore) costruita a Milano dalle officine Nicola Romeo su licenza della tedesca DKW, ma sulle linee tranviarie ebbero scarso rendimento.
Intanto, nel 1929 la SIFT acquista un'automotrice DKW con motore a benzolo e un'altra rimorchiata (cioè a due cabine anteriore e posteriore) costruita a Milano dalle officine Nicola Romeo su licenza della tedesca DKW, ma sulle linee tranviarie ebbero scarso rendimento.
A causa della rivalutazione imposta da Mussolini nel 1926 (la cosi detta "quota 90") la SIFT fallisce e subentra la "Società Edison" di Milano; nel 1943 subentra la "Max Fioruzzi" di Piacenza, impresa di costruzioni ferroviarie. La stazione tranviaria di Piacenza era stata trasformata per la ferrovia elettrica, la ferrovia usciva a mo' di metropolitana, era stato scavato un trincerone, ed arrivava in superficie in prossimità dei raccordi militari chiamati "San Giuseppe". Era stato costruito un sottopasso chiamato "della Lupa" dove vi era anche una fermata con una scala in cemento che permetteva l'ingresso e l'uscita dei passeggeri in Viale Patrioti. Durante la seconda guerra mondiale detta fermata funzionava anche come stazione per alleviare l'afflusso dei passeggeri in Piazzale Marconi e fu realizzato un altro sottopasso chiamato "di Via Farnesiana". Nell'anzidetto trincerone era stato anche predisposto il tracciato per le altre linee che non furono mai costruite: al centro vi era l'uscita della Piacenza Bettola e sulla sinistra era prevista quella delle linee Piacenza Lugagnano e Piacenza Cremona. Tutte uscivano in superficie in prossimità dei raccordi di San Giuseppe. Sulla destra, a piano ribassato, risultava la Piacenza Castel San Giovanni che doveva transitare la Via 4 Novembre dove, in seguito, venne costruito un raccordo superficiale per raggiungere l'Ospedale Militare, l'Arsenale e il Tabacchificio.
La vecchia stazione tranviaria di Piacenza in Piazzale Marconi trasformata per la ferrovia elettrica era di testa e classificata di classe "A". Le stazioni erano distinte in tre classi: A, B e C. La classe A aveva la sala d'attesa di prima e seconda classe più il bar, allora chiamato caffè; la classe B aveva solo la sala d'attesa di terza classe; l'ultima infine, la classe C, era una casa cantoniera trasformata in stazione.
Sulla linea Piacenza Bettola, la fermata di Cave Albarola non aveva la stazione; durante la II guerra mondiale, a causa dei bombardamenti sul ponte ferroviario sul torrente Nure, la linea venne interrotta. Alla fine della guerra, quando ricominciarono a funzionare i trasporti, questa linea, causa il ponte inagibile, riprese il servizio su due tratte: Ponte dell'Olio Bettola e Ponte dell'Olio Piacenza. Il treno arrivava fino al passaggio a livello sulla strada comunale per Folignano e poi a piedi, passando sul ponte detto di "Maria Luigia" ci si recava alla fermata di Cave Albarola, dove era stata posta una piccolo "casotto" per la vendita dei biglietti. Anche a Piacenza il treno non entrava in stazione perché ancora inagibile dopo i danni causati dalla guerra, ma si fermava e ripartiva dalla "Stazione Lupa". Il tracciato della linea correva in mezzo ai campi, abbastanza lontano dai centri abitati; solo in due punti affiancava la strada provinciale per qualche centinaio di metri. Molti erano i passaggi a livello su strade private di campagna con sbarre chiuse a chiave ed i proprietari li aprivano e chiudevano quando i convogli transitavano. Sulle strade provinciali e comunali i passaggi a livello erano incustoditi, essi erano segnalati con una croce, detta di "Sant'Andrea", ed in bella evidenza la scritta "Attenti al treno!".
Sulla linea Piacenza Bettola, la fermata di Cave Albarola non aveva la stazione; durante la II guerra mondiale, a causa dei bombardamenti sul ponte ferroviario sul torrente Nure, la linea venne interrotta. Alla fine della guerra, quando ricominciarono a funzionare i trasporti, questa linea, causa il ponte inagibile, riprese il servizio su due tratte: Ponte dell'Olio Bettola e Ponte dell'Olio Piacenza. Il treno arrivava fino al passaggio a livello sulla strada comunale per Folignano e poi a piedi, passando sul ponte detto di "Maria Luigia" ci si recava alla fermata di Cave Albarola, dove era stata posta una piccolo "casotto" per la vendita dei biglietti. Anche a Piacenza il treno non entrava in stazione perché ancora inagibile dopo i danni causati dalla guerra, ma si fermava e ripartiva dalla "Stazione Lupa". Il tracciato della linea correva in mezzo ai campi, abbastanza lontano dai centri abitati; solo in due punti affiancava la strada provinciale per qualche centinaio di metri. Molti erano i passaggi a livello su strade private di campagna con sbarre chiuse a chiave ed i proprietari li aprivano e chiudevano quando i convogli transitavano. Sulle strade provinciali e comunali i passaggi a livello erano incustoditi, essi erano segnalati con una croce, detta di "Sant'Andrea", ed in bella evidenza la scritta "Attenti al treno!".
Le stazioni di San Bonico, Gariga, Podenzano, Grazzano Visconti, Vigolzone, Villò, Biana e Recesio erano di classe "B"; la stazione di Grazzano Visconti era stata costruita in stile mediavale per intonarsi alle costruzioni del paese. Anche la stazione di Castell'Arquato, se fosse stata eseguita l'elettrificazione della linea Piacenza Lugagnano, era in progetto di costruirla come quella di Grazzano per gli stessi motivi. Le stazioni di Albarola, Riva, Molino Croce e Roncovero erano di classe "C", mentre quelle di Ponte dell'Olio e Bettola erano di classe "A". La vecchia stazione di Bettola era di testa, la nuova era di transito perché secondo il progetto del 1866 dell'ingegnere Guglielmo Della Cella, che fu anche il progettista del Santuario della Beata Vergine della Quercia in Bettola, avrebbe dovuto proseguire verso il mare fino a Chiavari.
La linea ferroviaria elettrificata venne inaugurata il 21 aprile 1932, ma entrò in servizio solamente il 27 settembre 1933. Detta linea fu la prima in Italia con il segnale di blocco automatico e semafori luminosi, nei colori rosso, blu e verde. Se sorgevano problemi a qualche convoglio, scattava il segnale e bloccava gli altri treni in corsa mentre i semafori diventavano tutti rossi. Solo ad Albarola vi era un passaggio a livello vicino alla stazione, con sbarre che un addetto chiudeva ed apriva al passaggio dei treni. Il progetto dell'ing. Marco Semenza seguiva un criterio di metropolitana di superficie con sistema di blocco automatico e semafori luminosi. In un'intervista l'ing. Antonino Bertelli, specialista nelle ferrovie a trazione elettrica ed allievo del Semenza, affermò che la ferrovia Piacenza Bettola costituiva una base di studio per la costruzione della metropolitana di Milano. Dopo la II guerra mondiale il nuovo codice della strada non permetteva più passaggi a livello "liberi" su strade provinciale e comunali. Allora furono applicati dei semafori luminosi di colore rosso e segnali acustici tramite campanelli che scattavano al sopraggiungere dei treni. Molte persone tuttavia transitavano anche col semaforo rosso, pensando che il treno si sarebbe fermato in stazione... Per salvaguardare anche gli imprudenti la SIFT nelle sue officine di Piacenza applicò allora un sistema a pedale sulle motrici. Il macchinista teneva schiacciato il pedale ed un dispositivo lungo la linea bloccava il passaggio a livello; ad Albarola ne era stato installato uno. A Bettola erano stati costruiti un deposito per il ricovero di un'elettromotrice ed un dormitorio per il personale. La linea di contatto per molti passaggi a livello sulla tratta Piacenza Bettola aveva un altezza di 6 metri per permettere ai carri agricoli di transitare senza pericoli...
Materiale rotabile: le elettromotrici, le rimorchiate ed i locomotori erano stati progettati dalle Officine Meccaniche Reggiane di Reggio Emilia. Contando sulla costruzione di tutte le linee a trazione elettrica nella provincia di Piacenza, la SIFT fece un ordine di nove elettromotrici, otto rimorchiate e tre locomotrici. Il materiale rotabile era alimentato con corrente continua a 3000 volt, aveva portiere pneumatiche ed un sistema di sicurezza chiamato "uomo morto". Infatti, dato che il macchinista era uno solo, durante il viaggio doveva tenere una mano su un dispositivo che, in caso di malore del conducente, fermava il treno. Un altro sistema di sicurezza era sulle portiere pneumatiche: se una portiera non si chiudeva il treno non partiva finché la stessa fosse stata richiusa a dovere. Le rimorchiate erano "pilota", avevano cioè due cabine guida, una di testa ed una di coda. Causa del suo fallimento, la SIFT ritirò solo tre elettromotrici, due rimorchiate e due locomotori. Le casse dei tre locomotori vennero costruite a Piacenza dalla OMP (Officina Meccanica Piacentina), su ordine delle Officine Reggiane. Il materiale rotabile, motrice e rimorchiato, era stato collaudato alla velocità di 120 chilometri orari, traino o spinta.
Nel 1931 a Piacenza arrivarono le prime macchine con le sigle MACD (M, motrice; A, classe I; C, classe III; D, bagagliaio) e RC (R, rimorchiata; C, classe III) I locomotori avevano la sigla LD (L, locomotore; D, bagagliaio). La SIFT ritirò solo due locomotori. La terza cassa (carrozzeria) non venne mai montata e rimase nel deposito di Piacenza fino al 1967, quando cessò il servizio ferroviario. Nel 1940, per l'aumento dei passeggeri, la SIFT trasformò, nelle proprie officine, la motrice DWK e la rimorchiata, che erano accantonate nel deposito di Piacenza, in rimorchiate da agganciare ai convogli passeggeri. Nel 1955 la SIFT acquistò dalla società FMP (Ferrovia Mantova Peschiera) due rimorchiate Breda 1932 danneggiate dalla guerra. Vennero ricostruite nelle proprie officine e le casse furono trasformate in carrozze semi-pilota (con una sola cabina di guida) su progetto del materiale rotabile in uso. Detto materiale, che disponeva di un maggior numero di posti a sedere, sostituì le rimorchiate DWK.
La SIFT, ormai fallita, non fece costruire le restanti linee già progettate e neanche ritirò tutto il materiale rotabile prenotato. Nel 1936 furono le FS (Ferrovie dello Stato) a ritirare dalle Officine Reggiane il materiale rotabile prenotato dalla SIFT, aventi le seguenti sigle: Motrici: E624-003, E624-004, E624-005, E624-006, E624-007 e E624-008. Rimorchiate: 620-001, 620-002, 620-003, 620-004, 620-005, 620-006. Nella versione SIFT i numeri aziendali erano: MACD-51, MACD-52, MACD-53 e MACD-54 acquistata di seconda mano nel 1943 dalla SIFT di proprietà rimorchiata FS con la sigla E624-008.
Materiale rotabile: le elettromotrici, le rimorchiate ed i locomotori erano stati progettati dalle Officine Meccaniche Reggiane di Reggio Emilia. Contando sulla costruzione di tutte le linee a trazione elettrica nella provincia di Piacenza, la SIFT fece un ordine di nove elettromotrici, otto rimorchiate e tre locomotrici. Il materiale rotabile era alimentato con corrente continua a 3000 volt, aveva portiere pneumatiche ed un sistema di sicurezza chiamato "uomo morto". Infatti, dato che il macchinista era uno solo, durante il viaggio doveva tenere una mano su un dispositivo che, in caso di malore del conducente, fermava il treno. Un altro sistema di sicurezza era sulle portiere pneumatiche: se una portiera non si chiudeva il treno non partiva finché la stessa fosse stata richiusa a dovere. Le rimorchiate erano "pilota", avevano cioè due cabine guida, una di testa ed una di coda. Causa del suo fallimento, la SIFT ritirò solo tre elettromotrici, due rimorchiate e due locomotori. Le casse dei tre locomotori vennero costruite a Piacenza dalla OMP (Officina Meccanica Piacentina), su ordine delle Officine Reggiane. Il materiale rotabile, motrice e rimorchiato, era stato collaudato alla velocità di 120 chilometri orari, traino o spinta.
Nel 1931 a Piacenza arrivarono le prime macchine con le sigle MACD (M, motrice; A, classe I; C, classe III; D, bagagliaio) e RC (R, rimorchiata; C, classe III) I locomotori avevano la sigla LD (L, locomotore; D, bagagliaio). La SIFT ritirò solo due locomotori. La terza cassa (carrozzeria) non venne mai montata e rimase nel deposito di Piacenza fino al 1967, quando cessò il servizio ferroviario. Nel 1940, per l'aumento dei passeggeri, la SIFT trasformò, nelle proprie officine, la motrice DWK e la rimorchiata, che erano accantonate nel deposito di Piacenza, in rimorchiate da agganciare ai convogli passeggeri. Nel 1955 la SIFT acquistò dalla società FMP (Ferrovia Mantova Peschiera) due rimorchiate Breda 1932 danneggiate dalla guerra. Vennero ricostruite nelle proprie officine e le casse furono trasformate in carrozze semi-pilota (con una sola cabina di guida) su progetto del materiale rotabile in uso. Detto materiale, che disponeva di un maggior numero di posti a sedere, sostituì le rimorchiate DWK.
La SIFT, ormai fallita, non fece costruire le restanti linee già progettate e neanche ritirò tutto il materiale rotabile prenotato. Nel 1936 furono le FS (Ferrovie dello Stato) a ritirare dalle Officine Reggiane il materiale rotabile prenotato dalla SIFT, aventi le seguenti sigle: Motrici: E624-003, E624-004, E624-005, E624-006, E624-007 e E624-008. Rimorchiate: 620-001, 620-002, 620-003, 620-004, 620-005, 620-006. Nella versione SIFT i numeri aziendali erano: MACD-51, MACD-52, MACD-53 e MACD-54 acquistata di seconda mano nel 1943 dalla SIFT di proprietà rimorchiata FS con la sigla E624-008.
La Val Nure era una zona mineraria: nei comuni di Vigolzone, Ponte dell'Olio e Bettola vi erano diverse miniere di sasso calcareo e marna cementifera. Il trasporto del materiale estratto dalle cave era cominciato con la tranvia a vapore e proseguito con la ferrovia elettrica. Diversi erano i piani di carico collegati alla ferrovia: 1- Con silos per marna frantumata, ad esempio a Cave d'Albarola. Lo scavo avveniva in galleria e poi un trenino con vagoncini (chiamato "Decovil") trasportava la marna al frantoio. 2- Alla stazione di Ponte dell'Olio vi era un piano di carico con frantoio, collegato da una teleferica lunga nove chilometri alla miniera di Rio Ogone, nel comune di Bettola. 3- Un'altra teleferica dalla miniera dei Balzarelli, nel comune di Vigolzone, conosciuta come miniera del Rio Lombardo, collegava la stazione di Molino Croce e trasportava sassi di marna cementifera non frantumati. 4- A Roncovero un piano di carico per marna frantumata era collegato con una teleferica alla miniera di Monte Casella, nel comune di Bettola.
Il trasporto fino alle cementerie di Piacenza, veniva effettuato dapprima con la tranvia a vapore e poi con la ferrovia. Fino al 1953 furono usati comuni carri tranviari ed il materiale contenuto veniva scaricato manualmente. Nel 1952 la SIFT acquistò dei vagoni ferroviari americani ed inglesi, lasciati in Italia dopo la guerra ed usati dalle FS fino al 1950, e da questi ne ricavò, sfruttando l'ingegno delle proprie maestranze dei carri "autoscaricabili".
Il trasporto fino alle cementerie di Piacenza, veniva effettuato dapprima con la tranvia a vapore e poi con la ferrovia. Fino al 1953 furono usati comuni carri tranviari ed il materiale contenuto veniva scaricato manualmente. Nel 1952 la SIFT acquistò dei vagoni ferroviari americani ed inglesi, lasciati in Italia dopo la guerra ed usati dalle FS fino al 1950, e da questi ne ricavò, sfruttando l'ingegno delle proprie maestranze dei carri "autoscaricabili".
Curiosità: Biana, collaudo del ponte sul torrente Biana
Il convolgio del collaudo era composto da due grosse locomotive a vapore FS, un carro merci con un carico di 200 quintali ed una rimorchiata FS, carrozza per il trasporto dei tecnici, che veniva sganciata dal convoglio e stazionata a Biana. Durante le manovre di collaudo i tecnici si resero conto che la rimorchiata si era messa in movimento in direzione Piacenza, e nessuno era a bordo. Era presente anche il direttore della SIFT, ing. Mario Defacqz, che immediatamente allertò per telefono l'ufficio movimento di Piacenza. Venne subito messo a punto un piano per il recupero della "fuggitiva". Una locomotiva a vapore, N 34 Dalfocorna, tre assi, con a bordo il macchinista Aldo Della Lucia ed il fuochista Mazzoni detto "Caffè", venne inviata in soccorso. Avvistata la carrozza solitaria nella zona di Podenzano, la locomotiva invertì il senso di marcia e proseguì a tutto vapore verso Piacenza da dove era giunta. La fuggiasca adagio adagio si avvicinava e quando fu prossima alla locomotiva, l'abile macchinista operò per un "appoggio" e successivo arresto delle macchine. Da notare che la rimorchiata fuggita viaggiava a 70 chilometri all'ora ed era più pesante della locomotiva di soccorso... Nessun giornale pubblicò la notizia per tema che l'accaduto potesse essere letto come un affronto al regime.
Ponte sul Nure distrutto
Martedì 7 novembre 1944 alle 10 e trenta circa, aerei alleati bombardarono lo scalo ferroviario di Ponte dell'Olio. Venne colpita una casa operaia chiamata "Casermone" di proprietà della ditta Giovanni Rossi (poi Cementirossi), nell'esplosione trovarono la morte Angelo Ceresa, Casarina Bertucci e Marianna Barili. Nel bombardamento venne anche colpito il ponte ferroviario sul Nure. Uno degli aerei che aveva colpito il ponte, forse per essersi abbassato troppo, non riuscì più a riprendere quota e si schiantò poche centinaia di metri più a sud dell'arcata del ponte che aveva appena demolita. L'aereo cadde in un campo detto "della Bionda", nei pressi del Nure ed il pilota perì nell'incidente.
Vicino al luogo dove era precipitato l'aereo vi era l'officina meccanica di Giuseppe Conti, gestita dal figlio Carlo; che appena seppe dell'evento si recò al comando partigiano di Ponte per chiedere se poteva recuperare i rottami del velivolo. I partigiani acconsentirono e di li a poco la macchina volante, strumento di morte, venne trasformata, dalle abili mani che lavoravano nell'Officina Conti, in strumenti di vita: torchietti per fare la pasta... Nelle immagini qui a fianco un esemplare sopravvissuto...
Vicino al luogo dove era precipitato l'aereo vi era l'officina meccanica di Giuseppe Conti, gestita dal figlio Carlo; che appena seppe dell'evento si recò al comando partigiano di Ponte per chiedere se poteva recuperare i rottami del velivolo. I partigiani acconsentirono e di li a poco la macchina volante, strumento di morte, venne trasformata, dalle abili mani che lavoravano nell'Officina Conti, in strumenti di vita: torchietti per fare la pasta... Nelle immagini qui a fianco un esemplare sopravvissuto...
Note sulla tranvia/ferrovia Piacenza Bettola
Il 16 maggio1881 viene inaugurata la tranvia Piacenza Ponte dell'Olio, il servizio avveniva con tre corse giornaliere ed il tempo di percorrenza era di un'ora e mezza per percorrere i 23 chilometri. L'8 luglio del 1882 viene aperta anche la tratta Ponte dell'Olio Bettola, di 12 chilometri. La velocità dei tram extraurbani era di 12 km/h in città e 20 km/h in campagna. Le fermate fuori città erano: Galleana, Torricelle, San Bonico, Gariga, Due Case, Podenzano, Maiano, Grazzano, Vigolzone, Torrano, Villò, Albarola, Ponte dell'Olio, Riva, Scambio Gorroni, Molino Croce, Biana, Recesio, Spongiola, Roncovero e Bettola. Il viaggio durava circa due ore.
Negli anni trenta la tranvia viene sostituita dalla ferrovia. La tratta Piacenza Bettola viene inaugurata il 21 aprile 1932. Il tempo di percorrenza sull'intero percorso passa da due ore della tranvia a 45 minuti della ferrovia. La ferrovia fu chiusa definitivamente il 30 aprile 1967.
Negli anni trenta la tranvia viene sostituita dalla ferrovia. La tratta Piacenza Bettola viene inaugurata il 21 aprile 1932. Il tempo di percorrenza sull'intero percorso passa da due ore della tranvia a 45 minuti della ferrovia. La ferrovia fu chiusa definitivamente il 30 aprile 1967.
Quando nei paesi della nostra provincia c'erano le rotaie...
Le foto qui pubblicate sono state tratte dall'archivio personale di Giancarlo Anselmi