Cobras fumantes, i liberatori venuti dal Brasile, di Stefano Pareti
Truppe brasiliane e americane ebbero il compito di occupare Piacenza nell’aprile 1945 nei giorni della Liberazione. Va subito rilevato che è poco noto il ruolo svolto dalle truppe brasiliane tra gli Alleati ed è anche scarsa la documentazione sul loro operato e carenti le testimonianze. Un prezioso libro scritto nel 1947 e pubblicato in Brasile nel 1952 ci informa su aspetti ed episodi di quei giorni ormai lontani, fornendo un quadro insolito degli avvenimenti che si svolsero nella nostra città e in alcune località della sua provincia.
Il libro si intitola “Crônicas de Guerra” ed è stato edito dalla “Biblioteca do Exército” del Brasile. E’ stato reperito grazie alla tenacia di Daniela Morsia della Biblioteca Passerini Landi e ai buoni uffici dell’Ambasciata del Brasile a Roma. I capitoli che ci riguardano sono stati magistralmente tradotti da Elena Esposto. Autore dell’opera fu il colonnello Olivio Gondim de Uzêda, comandante del 1° Battaglione del Reggimento Sampaio, presente a Piacenza in quel tempo di grandi sconvolgimenti.
Il Corpo di Spedizione brasiliano (circa 25mila uomini) operò sul teatro di guerra tra il 16 luglio 1944 e il 2 maggio 1945, suddiviso in 3 divisioni, un cui Battaglione fu destinato ad intervenire a Piacenza. I soldati brasiliani erano soprannominati “Cobras fumantes” (Cobra fumanti) dal loro distintivo. La FEB (Força Expedicionària Brasileira) fu così protagonista, a fianco dei nostri partigiani, degli ultimi avvenimenti del secondo conflitto mondiale a Piacenza.
Va ricordato che malgrado le avversità meteorologiche di quella stagione, il Corpo di Spedizione Brasiliano in Italia liberò più di 50 paesi e città, partecipando così assai attivamente alle operazioni di guerra, aggregato alla Va Armata USA comandata dal generale Mark Clark.
L’effettivo della FEB era giunto nel nostro Paese via mare, in 5 scaglioni successivi, mentre 111 infermiere erano state trasportate con mezzi aerei. Il comportamento dei militari brasiliani durante il conflitto fu sempre impeccabile. I rapporti con la popolazione civile, anche nel piacentino, come vedremo, furono sempre ottimi.
Il libro si intitola “Crônicas de Guerra” ed è stato edito dalla “Biblioteca do Exército” del Brasile. E’ stato reperito grazie alla tenacia di Daniela Morsia della Biblioteca Passerini Landi e ai buoni uffici dell’Ambasciata del Brasile a Roma. I capitoli che ci riguardano sono stati magistralmente tradotti da Elena Esposto. Autore dell’opera fu il colonnello Olivio Gondim de Uzêda, comandante del 1° Battaglione del Reggimento Sampaio, presente a Piacenza in quel tempo di grandi sconvolgimenti.
Il Corpo di Spedizione brasiliano (circa 25mila uomini) operò sul teatro di guerra tra il 16 luglio 1944 e il 2 maggio 1945, suddiviso in 3 divisioni, un cui Battaglione fu destinato ad intervenire a Piacenza. I soldati brasiliani erano soprannominati “Cobras fumantes” (Cobra fumanti) dal loro distintivo. La FEB (Força Expedicionària Brasileira) fu così protagonista, a fianco dei nostri partigiani, degli ultimi avvenimenti del secondo conflitto mondiale a Piacenza.
Va ricordato che malgrado le avversità meteorologiche di quella stagione, il Corpo di Spedizione Brasiliano in Italia liberò più di 50 paesi e città, partecipando così assai attivamente alle operazioni di guerra, aggregato alla Va Armata USA comandata dal generale Mark Clark.
L’effettivo della FEB era giunto nel nostro Paese via mare, in 5 scaglioni successivi, mentre 111 infermiere erano state trasportate con mezzi aerei. Il comportamento dei militari brasiliani durante il conflitto fu sempre impeccabile. I rapporti con la popolazione civile, anche nel piacentino, come vedremo, furono sempre ottimi.
La prima impressione del Battaglione brasiliano giunto a Piacenza sui nostri partigiani è incoraggiante e amichevole: <<Incontrammo i partigiani a Piacenza, l’importante e storica città sulle sponde del Po, che loro avevano conquistato. Lì prendemmo coscienza del magnifico lavoro che essi avevano realizzato. Li vedemmo morire, soccorremmo i loro feriti e fummo testimoni di un altro tipo di partigiani: coraggiosi e
valenti>>. Occorre precisare che in altra parte del libro si lamentava, riferendosi ad alcuni partigiani incontrati in altre provincie, eccessive pretese e poca disciplina, mentre da noi queste problematiche non si posero.
Il battaglione carioca aveva raggiunto Pontenure nelle prime ore del 28 aprile 1945 con il compito di proteggere i genieri americani in arrivo e rimpiazzare un Reggimento USA. Nella stessa giornata i brasiliani si dirigevano poi a Piacenza, che viene così descritta:<< … la città si trovava già in mano ai “partigiani” ma non era ancora stata occupata dagli Alleati … constatammo che era in corso una sparatoria … Ci trovavamo alle porte meridionali della città in una piazza della quale avevamo letto il nome su di un cartello, dalla quale concludemmo che la sparatoria era in via Roma. gli spari partivano da due edifici, l’uno di fronte all’altro. Ecco apparire un partigiano, con i suoi tradizionali capelli lunghi e ricci, cavaliere medioevale; armato fino ai denti, con metà uniforme americana e metà tedesca, con un fazzoletto rosso al collo. Ci riconobbe subito. Lo chiamammo e gli chiedemmo cosa succedeva in città. Ci informò che tutto andava bene, la stavano semplicemente “ripulendo “ dai fascisti.>>. Il racconto prosegue:<< Avevamo il compito di impedire la traversata del fiume, proteggere i genieri americani, una truppa specializzata che avrebbe costruito un ponte di barche sul Po, poiché quello vecchio era distrutto, e inviare pattuglie con il compito di “ripulire” la regione dagli elementi nemici là sparsi. ( … ) Il giorno seguente il Reggimento di fanteria americano si era ritirato. Piacenza aveva un aspetto più calmo. Decidemmo di occuparla e fare un sopralluogo per la nostra missione di proteggere la costruzione del ponte. In attesa dell’arrivo dei genieri americani, ci venne l’idea di rendere visita al Vescovo di Piacenza. ( … ) Sapevamo che non saremmo mai entrati in una città italiana come dominatori. Da lì l’idea di presentarci in città, alla sua popolazione di più di 70.000 abitanti, non con il potere delle nostre armi, ma portati dalle mani del suo Vescovo. Andammo così alla sede de Vescovato accompagnati solo dal nostro Cappellano, padre Francisco Freire, e dal nostro medico>>.
valenti>>. Occorre precisare che in altra parte del libro si lamentava, riferendosi ad alcuni partigiani incontrati in altre provincie, eccessive pretese e poca disciplina, mentre da noi queste problematiche non si posero.
Il battaglione carioca aveva raggiunto Pontenure nelle prime ore del 28 aprile 1945 con il compito di proteggere i genieri americani in arrivo e rimpiazzare un Reggimento USA. Nella stessa giornata i brasiliani si dirigevano poi a Piacenza, che viene così descritta:<< … la città si trovava già in mano ai “partigiani” ma non era ancora stata occupata dagli Alleati … constatammo che era in corso una sparatoria … Ci trovavamo alle porte meridionali della città in una piazza della quale avevamo letto il nome su di un cartello, dalla quale concludemmo che la sparatoria era in via Roma. gli spari partivano da due edifici, l’uno di fronte all’altro. Ecco apparire un partigiano, con i suoi tradizionali capelli lunghi e ricci, cavaliere medioevale; armato fino ai denti, con metà uniforme americana e metà tedesca, con un fazzoletto rosso al collo. Ci riconobbe subito. Lo chiamammo e gli chiedemmo cosa succedeva in città. Ci informò che tutto andava bene, la stavano semplicemente “ripulendo “ dai fascisti.>>. Il racconto prosegue:<< Avevamo il compito di impedire la traversata del fiume, proteggere i genieri americani, una truppa specializzata che avrebbe costruito un ponte di barche sul Po, poiché quello vecchio era distrutto, e inviare pattuglie con il compito di “ripulire” la regione dagli elementi nemici là sparsi. ( … ) Il giorno seguente il Reggimento di fanteria americano si era ritirato. Piacenza aveva un aspetto più calmo. Decidemmo di occuparla e fare un sopralluogo per la nostra missione di proteggere la costruzione del ponte. In attesa dell’arrivo dei genieri americani, ci venne l’idea di rendere visita al Vescovo di Piacenza. ( … ) Sapevamo che non saremmo mai entrati in una città italiana come dominatori. Da lì l’idea di presentarci in città, alla sua popolazione di più di 70.000 abitanti, non con il potere delle nostre armi, ma portati dalle mani del suo Vescovo. Andammo così alla sede de Vescovato accompagnati solo dal nostro Cappellano, padre Francisco Freire, e dal nostro medico>>.
Vescovo di Piacenza era in quegli anni monsignor Ersilio Menzani che svolgeva il mandato dal 16 dicembre 1920 e l’avrebbe conservato fino alla sua scomparsa il 30 giugno 1961. Il Vescovo di Piacenza era ammalato ma non si sottrasse alla visita degli insoliti stranieri. Ed ecco il racconto dell’incontro:<<Dopo pochi minuti di attesa nella sala delle udienze, apparve zoppo, trascinando i piedi, capelli bianchi, mani giunte umilmente, sguardo affettuoso e amichevole, con una espressione piena di bontà, il vecchio sacerdote. Il nostro Cappellano si inginocchiò e noi lo imitammo. Le nostre armi nei loro foderi, i nostri elmetti d’acciaio sotto il braccio, dicemmo all’eminente prelato che la nostra visita aveva lo scopo di avanzare tre richieste: una benedizione per il nostro Battaglione, il permesso di celebrare una Messa nella cattedrale; e perché annunciasse agli abitanti che la città si trovava sotto il controllo delle forze brasiliane e che il comando brasiliano augurava pace e felicità. Il sacerdote mise la sua mano tremante sulla nostra testa e balbettò una preghiera, benedicendo il nostro Battaglione. Poi l’augusto e anziano sacerdote rimase in silenzio. Ci alzammo. Trovandoci di nuovo di fronte a quella figura veneranda, vedemmo le lacrime rotolare sul suo viso rugoso, le sue labbra tremanti di emozione, senza forza per aprirsi. Alla fine disse: “In tutti i miei lunghi anni di vita, nei quali ho assistito a tante guerre, è la prima volta che vedo un vincitore, il comandante di una truppa vittoriosa, inchinarsi davanti a Gesù Cristo, alla mia presenza. Per un così magnifico esempio di fede e devozione, di fraternità, d’affetto, è stato necessario che il Brasile mandasse i suoi soldati in Italia”>>. Qualche giorno dopo il Comando brasiliano di Piacenza ricevette da monsignor Menzani una commossa lettera di ringraziamento datata 11 maggio 1945: <<Illustrissimo signor Comandante, compio il grato dovere di manifestarle il mio più vivo ringraziamento per la visita che si degnò di farmi in compagnia del Cappellano Francisco Freire, e per la cerimonia religiosa che comandò di celebrare il 1° maggio c.m, nella Basilica di San Francesco.Il Sacro Ufficio assunse un carattere altamente solenne grazie alla presenza della S.V, degli ufficiali e dei soldati ai vostri ordini. La postura e la devozione espressa da tutti suscitarono viva ammirazione nel popolo numeroso che presenziò, e le parole nobili e confortanti del Reverendissimo Cappellano, dopo la celebrazione del Divino Mistero, e intonate nell'ora tragica che passiamo, hanno portato commozione profonda a tutti i presenti. La ringrazio per il magnifico esempio dato e chiedo al Cielo che elargisca sulla S.V. le sue più preziose benedizioni. Con ossequiosa deferenza. Della S.V. illustrissima, molto devoto, ERSILIO, vescovo>>.
La narrazione prosegue poi con un capitolo dedicato ai “Piccoli ciechi di Podenzano” che erano in realtà i bambini della Madonna della Bomba, sfollati in quel comune. L’incontro è commovente e pieno di gioia per i piccoli ospiti, ai quali i militari brasiliani avevano portato regali, provviste, caramelle e cioccolata. In una successiva occasione il Battaglione allestì uno spettacolo musicale, con l’ascolto di diverse canzoni brasiliane e anche di alcune italiane. Venne eseguito anche l’inno nazionale brasiliano, di cui furono tradotte le parole. E dopo alcuni giorni il Comando brasiliano ricevette una lettera di affettuoso ringraziamento:<< Signor Maggiore, la vostra graditissima visita e l'eccezionale delicatezza che dimostraste nel portarci, oltre ad abbondanti e buonissimi regali, l'allegria di ascoltare l'armonia e la dolce poesia del vostro bel Paese, ci ha commossi così, tanto profondamente, che abbiamo sentito la necessità di offrirVi il nostro ringraziamento più sincero. Quanta gratitudine, quanta ammirazione sentiamo per Voi, per i vostri soldati, che non disdegnarono di dare a noi, poveri e umili bambini, il vostro prezioso tempo e ci faceste conoscere la bontà e la cristiana fratellanza dell'animo brasiliano.Che il buon Dio faccia discendere sopra i Vostri cari l'abbondanza delle sue benedizioni; protegga e renda prospera la Vostra casa, la Vostra terra, e faccia sì che nessuna ombra di dolore che ha dilaniato la nostra infelice Patria, tocchi anche solo lievemente il benefico Brasile che venne da così lontano per asciugare le nostre lacrime e portarci la Pace.Vi chiediamo di portare i nostri saluti ai Vostri figli, i quali, se siamo certi, saranno buoni come il loro grande padre, che ricorderemo sempre con riconoscenza. Con il ringraziamento dei ciechi. Istituto per ciechi “Madonna della Bomba”. Piacenza, 11-6-45>>.
E sarà infine la volta di una visita a San Polo per una particolare processione, quella della semina, così narrata: << Padre Freire, il nostro Cappellano, ci trasmise un invito del vicario locale per recarci, noi tutti del Battaglione, alla processione che avrebbe avuto luogo la domenica seguente, a San Polo, e nella quale si sarebbe chiesto a Dio un buon risultato nella prossima semina. Il giorno e l'ora stabilita uscimmo di casa diretti alla chiesa locale. Nel tragitto osservammo che tutte le finestre erano decorate con panni bordati, varie bandiere ecc. Di fronte alla chiesa iniziava a formarsi la processione. Sotto il baldacchino trasportato da sei signori Padre Freire portava il Santissimo; e si sistemò nella stessa posizione a sinistra. La processione partì e, tra cantici religiosi, passò per le vie che formavano il perimetro della località. Ogni tanto la processione incontrava un capitello con un santo e si fermava. Il canto cessava e si iniziava a pregare. La processione proseguiva, ricominciavano i canti. E via così, fino a ritornare in chiesa. Evidentemente, questo speciale omaggio, che era una conquista del servizio religioso del Battaglione e la devozione dei nostri soldati, non fu fatto al comandante del Battaglione. Il vero omaggio fu al nostro Brasile, del quale eravamo i rappresentanti. Fu conil più grande orgoglio che percorremmo le vie di San Polo, sotto il baldacchino del Santissimo, durante la processione nel quale si chiedeva a Dio una buona semina>>.
Giornate splendenti di un ritrovato e graduale ritorno a quella pace e a quella normalità che si erano ormai dimenticate. Benché non si tacciano taluni giudizi critici per qualche partigiano che teneva comportamenti che “non coincidevano con la loro nobile ed elevata missione”, la valutazione complessiva dei brasiliani sui “compatrioti guerriglieri che combattono contro i tedeschi” è del tutto positiva:<< … organizzati in gruppi e orientati da capi fedeli agli Alleati, ai quali obbedivano ciecamente, questi patrioti, o come venivano chiamati, “partigiani”, furono molto utili agli Alleati: conquistando città, rendendo difficile la ritirata del nemico, combattendo i fascisti, minando il morale dei tedeschi, denunciandone i movimenti, rendendo loro difficile la vita, sia attraverso azioni di forza, sia attraverso un’insidiosa propaganda>>. Queste vicende sono state richiamate da Giulio Cattivelli in un articolo di Libertà del 25 aprile 1985, intitolato << Sabato 28 aprile 1945: finalmente! –Il giorno che a Piacenza finì la guerra>>.
Le immagini della presente pagina sono state concesse da: Archivio Studio Croce di Maurizio Cavalloni, eccetto la foto dei partigiani che proviene dall'archivio privato Ugo Burla di Groppovisdomo, Gropparello.