"Avevamo paura, memorie di guerra di Bruna Bongiorni"
Autore, Thomas Trenchi
Autore, Thomas Trenchi
A casa mia c’è una regola di quelle che non sono scritte da nessuna parte, ma guai ad ignorarle: i pranzi terminano sulle note dei canti di guerra, intonati dalla mia (bis)Nonna Bruna. “Avevamo paura – Memorie di guerra di Bruna Bongiorni” nasce proprio da questi pasti culminati nel sottofondo delle canzoni popolari. Nasce da una frase pronunciata senza vergogna, con gli occhi ludici e il sorriso sulle labbra, per scalfire un muro di ricordi più brutti che belli: «Abbiamo capito solo dopo cosa significava, i giovani partivano e noi restavamo sole, a casa. Avevamo paura». Nasce dalla necessità di sottolineare quanto brutta e nauseante sia la guerra, dalla volontà di strappare alle grinfie del tempo un patrimonio inestimabile di voci, aneddoti e orrori vissuti durante il secondo conflitto mondiale. “Avevamo paura – Memorie di guerra di Bruna Bongiorni” non è un documentario scientifico o una perfetta ricostruzione cronologica degli avvenimenti. È una testimonianza femminile dell’impatto terribile che la guerra ha avuto su chi l’ha vissuta, un insieme di dettagli, odori, colori e pensieri (che forse solo le donne sono in grado di cogliere), una fotografia della percezione di chi ha percorso il conflitto nell’umiltà del lavoro.
Le donne, quando descrivono la guerra, tendono spesso a farlo tramite le parole dei loro mariti, riportando ciò che i loro uomini hanno vissuto nello scontro armato; tralasciano, però, ciò che loro – madri, mogli e fidanzate – hanno vissuto in prima persona: nei campi, nelle case, per strada, con la tavola vuota, con la schiena piegata al sole, e la fortuna – nella sfortuna! – di vivere in campagna. Il racconto di Bruna, che durante la guerra abitava a Lisignano, vicino a Gazzola, parte da una condizione quotidiana e profondamente ingiusta: la povertà. Bruna ricorda sua mamma che barattava il sale con lo zucchero, le scarsissime dosi delle tessere annonarie, il pane duro e per nulla buono, la diffusione del mercato nero…
La (bis)Nonna Bruna, nata nel 1925, passava le giornate prima nelle risaie e poi col grembiule da serva a Palazzo Costa-Trettenero (dove siamo tornati, io e lei, ottant’anni dopo). Ancora adesso, canta le canzoni fasciste, che le hanno insegnato a scuola, e i cori della Resistenza, che ha imparato nelle campagne, quando vedeva clandestinamente il suo fidanzato e futuro marito, scappato sui monti a combattere nei partigiani. Rammenta il terrore dei bombardamenti, la sua vicina di casa violentata dai nazisti di fronte ai genitori, i passaggi aerei di “Pippo” che colpivano ogni fonte di luce e tenevano costantemente all’erta le famiglie, il padre morto a poco più di quarant’anni per uno scompenso cardiaco. Perché raccontare la guerra vuol dire farlo anche attraverso gli occhi, l’esperienza, la memoria di chi l’ha vissuta. Di chi ne ha vissuto i dolori, le promesse, e il soffio di libertà al suo termine. Di chi, nel tempo, ne ha fatto una ricchezza, l’ha trasmessa ai figli e ai nipoti, pur conservandone tutte le cicatrici.
Le donne, quando descrivono la guerra, tendono spesso a farlo tramite le parole dei loro mariti, riportando ciò che i loro uomini hanno vissuto nello scontro armato; tralasciano, però, ciò che loro – madri, mogli e fidanzate – hanno vissuto in prima persona: nei campi, nelle case, per strada, con la tavola vuota, con la schiena piegata al sole, e la fortuna – nella sfortuna! – di vivere in campagna. Il racconto di Bruna, che durante la guerra abitava a Lisignano, vicino a Gazzola, parte da una condizione quotidiana e profondamente ingiusta: la povertà. Bruna ricorda sua mamma che barattava il sale con lo zucchero, le scarsissime dosi delle tessere annonarie, il pane duro e per nulla buono, la diffusione del mercato nero…
La (bis)Nonna Bruna, nata nel 1925, passava le giornate prima nelle risaie e poi col grembiule da serva a Palazzo Costa-Trettenero (dove siamo tornati, io e lei, ottant’anni dopo). Ancora adesso, canta le canzoni fasciste, che le hanno insegnato a scuola, e i cori della Resistenza, che ha imparato nelle campagne, quando vedeva clandestinamente il suo fidanzato e futuro marito, scappato sui monti a combattere nei partigiani. Rammenta il terrore dei bombardamenti, la sua vicina di casa violentata dai nazisti di fronte ai genitori, i passaggi aerei di “Pippo” che colpivano ogni fonte di luce e tenevano costantemente all’erta le famiglie, il padre morto a poco più di quarant’anni per uno scompenso cardiaco. Perché raccontare la guerra vuol dire farlo anche attraverso gli occhi, l’esperienza, la memoria di chi l’ha vissuta. Di chi ne ha vissuto i dolori, le promesse, e il soffio di libertà al suo termine. Di chi, nel tempo, ne ha fatto una ricchezza, l’ha trasmessa ai figli e ai nipoti, pur conservandone tutte le cicatrici.
Ringrazio Domenico Sannino, che ha prestato la sua voce alla narrazione; la professoressa Chiara Bozzoni, che ha appoggiato il progetto e ha messo a disposizione le proprie nozioni storiche; la professoressa Elisabetta Malvicini, che ha sostenuto l’idea, contribuendo a revisionarla; Salvatore Battini, Cristiano Maggi, l’Istituto storico della Resistenza e l’Archivio Croce, che hanno reso disponibili le immagini delle loro ricchissime collezioni; Alberto Callegari, che ha permesso di registrare alcuni contenuti audio presso il proprio studio. Ringrazio, ovviamente, la (bis)Nonna Bruna, che ha accettato di raccontare e raccontarsi. Spero di non dimenticare nessuno. Mi auguro soprattutto che questo video, visto il delicato momento storico nel quale viviamo, indipendentemente dal pensiero politico, possa contribuire a rimarcare la schifezza della guerra, l’irrazionalità di un fenomeno che porta solo dispiacere e morte.