Il partigiano della vecchia osteria di Giuseppe Zurla
Sono sparite le osterie, una volta diffusissime in tutta la città. Si sono estinte come i dinosauri ma non è stato un meteorite bensì l'evolversi dei tempi e dei gusti delle nuove generazioni che preferiscono altri ambienti e altre bevande. Il vino resiste a tavola, ma sembra sparito dai tavoli pomeridiani delle partite a carte e delle infinite discussioni su ogni possibile argomento. Ma quei posti rimangono nella mente di chi li ha conosciuti con la nostalgia e il rispetto che si deve ai luoghi dell'anima. Qualcuno ha scritto che in un'osteria nessuno era mai solo. Una delle più conosciute, nel popolarissimo quartiere di via Taverna (Stralve') era la Gaetano Lupi una cooperativa di soci che prese quel nome in onore di un giovane antifascista ucciso a pistolettate negli anni '20 durante un raid punitivo di ras locali. E' ancora aperta, ma, rispetto a una volta, è tutto cambiato a cominciare dalla tipologia del cliente anche se è ancora presente qualcuno, della vecchia guardia. L'ingresso non è più su via Taverna, ora si è un po' ristretta. Vi si accede tramite un lungo e stretto corridoio che sfocia su di un cortiletto interno ribattezzato "Piazzale della Libertà". Lo spazio rimanente è occupato dal bar e da una sala ristorante mentre è rimasto invariato un ampio spazio esterno una volta occupato dal gioco delle bocce e adesso adibito a giardino estivo. C'è una targa che ricorda che negli anni 1921/1922 "gli arditi di Cantarana" difesero il rione Taverna e la cooperativa dall'assalto delle squadracce fasciste. Una sorta di richiamo della foresta mi ha ricondotto in quel posto che fu molto frequentato dai miei famigliari, da mio padre, ai miei zii e anche dal nonno materno. E' li che ho avuto l'opportunità' di conoscere Gaetano Cella, un habitué che puntualmente ogni mattina percorre in bicicletta i pochi metri che lo separano dalla sua abitazione per sedersi al tavolino, bere il caffè e dare una sbirciatina al giornale. Partigiano, classe 1926 è un piacentino doc nato e tutt'ora abitante al numero 183 di via Taverna. La sua vita, a parte il periodo bellico, si è svolta interamente attorno al suo quartiere. Terminate le elementari e il triennio di avviamento al lavoro Gaetano fu assunto all'Arsenale nel 1940 con la qualifica di aggiustatore meccanico.
Via Taverna, in quei tempi, aveva meritata fama di essere un'enclave della sinistra dove i giovani erano educati con spirito libertario e insofferenza al regime fascista, un posto dove le camicie nere transitavano con qualche apprensione guardandosi bene attorno. Cresciuto con simili principi il giovane Gaetano nei giorni successivi al 25 Luglio 1943 quando pareva che con l'arresto del Duce la dittatura fosse finita fu subito in prima fila nella rivolta contro i caporioni fascisti che dettavano legge nello stabilimento e si distinse assieme ai più ardimentosi nella cancellazione di quei famosi motti che erano disseminati un po' ovunque dalle pareti delle officine fino alla sala mensa. Ma dopo l'otto settembre e la conseguente fondazione della Repubblica di Salò, i fascisti si riorganizzarono e per coloro che avevano manifestato sentimenti di ribellione i tempi si fecero molto duri. Fu giocoforza fuggire e, non ancora diciottenne, raggiunse in montagna i partigiani aggregandosi alla formazione di Ernesto Poldrugo più noto come l'Istriano che era di stanza in alta Val Nure. Partecipo' alla battaglia di Farini dove morì il celebre Caio, medaglia d'oro al valore, in uno scontro cruento riportato da parecchie cronache della Resistenza. Pur tra molte vicissitudini riuscì a salvarsi e partecipò con la sua compagnia alla sfilata della Liberazione in Piazza Cavalli in un tripudio di canti e di gioia per la ritrovata libertà. Finita la guerra fu proclamata la Repubblica e approvata la Costituzione. Si sposò e riprese il suo posto nell'arsenale, ma le tribolazioni non erano finite. Negli anni '50 si era in piena guerra fredda e qualcuno pensò bene di epurare i comunisti o comunque quelli di sinistra dagli stabilimenti militari. Fu così che nel 1954 ricevette dalla direzione, assieme a diversi altri, una lettera di licenziamento motivata "per mancato rinnovo del contratto di lavoro" che poi, per assurdo, terminava con un attestato di buona condotta. Si arrivava quindi all'incredibile che coloro che avevano lottato per la liberazione rischiando la vita e gli stenti di due terribili inverni in montagna una volta tornati vincitori venivano trattati come reietti ed emarginati dall'Italia Repubblicana. Fu persino fondata un'associazione degli epurati dagli stabilimenti militari. Gaetano anche adesso non porta rancore per quell'atto e si dichiara fortunato perché qualche anno dopo per un doveroso quanto tardivo ripensamento gli furono corrisposte le mensilità perdute. Nel frattempo aveva trovato un impiego migliore, ma mise in quadro e conserva tuttora la lettera di licenziamento a ricordo e per futura memoria. Ho raccolto questa storia qualche giorno fa dalla viva voce del protagonista che mi onora della sua amicizia da diverso tempo, ma che non mi aveva mai parlato delle sue personali e sofferte vicissitudini. Piccole storie private di grande significato dalle quali si evince una lezione di libertà e democrazia che ispira un profondo rispetto. Più medito su questi fatti e più mi convinco che costituiscono un patrimonio e una speranza per un futuro migliore del nostro Paese. Questi personaggi ci lasciano un'eredità importante e una grande lezione etica e morale. Cerchiamo di recepirla fino in fondo e di esserne degni.