La gabbia sulla torre
I lavori di consolidamento della torre del Duomo e la conseguente installazione di un ascensore sul fianco della struttura hanno consentito a tanti Piacentini di avere una visione panoramica a 360 gradi sulla città da un osservatorio centrale e privilegiato. Sono stato fra quelli che hanno approfittato dell’occasione e nella salita sono passato vicinissimo a quella gabbia di ferro che destò il mio stupore appena la vidi per la prima volta da bambino ormai tanti anni fa. Una visione sinistra, uno strumento capace di incutere ancora adesso una certa inquietudine, a me ha fatto la stessa impressione che mi fece in un recente viaggio della memoria, il crematorio di Gusen. Ricordo che è sempre circolata una versione buonista che assicurava non fosse mai stata usata. L’occasione è stata propizia per una breve ricerca. La storia racconta che vi fu applicata per ordine di Ludovico il Moro, Signore di Milano e di Piacenza con lo scopo preciso: …dovrà servire a rinchiudervi i sacrileghi a fine che serva ad esempio agli altri.
Nelle Storie Piacentine del Boselli, che si rifà al Malvicini, è riportato l’ordine di Ludovicus M. Sfortia Anglus, Dux Mediolanum datato 2 febbraio 1495 agli spectabili equiti et doctori Consiliario et Placentie …ad fare una gabbia di ferro suso il campanile presso la piazza della città de quella larghezza, altitudine e lunghezza che quella del campanile del Broletto de questa nostra inclita città…
Un esaustivo volumetto sulla Storia del Duomo pubblicato nel 1963 da Don Luigi Tagliaferri che vi fu parroco per un ventennio così la descrive. E’ forgiata a mano in ferro ed è ancora ben sicura. La porticina d’ingresso misura m. 1,20 per 0,48, la gabbia è larga m.0,90, lunga m. 1,80 ed è alta m. 1,88. Venne sospesa sotto la cella campanaria, èd è una rarità curiosa poiché quell’arnese, oggetto di barbaria medievale, non è consono allo spirito di un edificio sacro. Ma, in quei tempi, non fu solo Piacenza ad essere dotata di un simile strumento. Oltre alla già citata sul campanile del Broletto a Milano di cui la nostra è una fedele copia, ve n’era una sul campanile di San Marco a Venezia, una fin dal 1311 in Bologna sulla parete esterna del Palazzo del Podestà, poi a Mantova e siccome i cattivi esempi sono contagiosi chissà in quante altre città. Leggiamo anche che, in origine, la pena della gabbia di ferro dovesse essere inflitta ai preti bestemmiatori e fornicatori ma in realtà fu messa per incutere terrore a tutti. Un’acquaforte del 1500 ci mostra un condannato sospeso nella gabbia a Venezia. Anche a Piacenza vi fu rinchiuso un prete che fu condannato a restarci in perpetuo ma ebbe la fortuna di godere di una provvidenziale amnistia. Ne scrive sempre il Boselli. Il 14 Novembre 1523 dopo un solo anno di pontificato muore Papa Adriano VI e vi succede il cardinale Giulio De’ Medici col nome di Clemente VII. I Piacentini corrono ad omaggiarlo: ...Oggi il consiglio generale ha scelto i messi speciali che andranno a Roma per prestar giuramento di fedeltà al Papa. Gli inviati furono assai ben accolti ed ottennero un diploma di conferma delle concessioni già fatte, a favore dei Piacentini dai predecessori Giulio II, Leone X, e Adriano VI. Pel nuovo eletto si son fatte molte feste e infinite processioni per le vie della città nei giorni 20, 21,e 22 Novembre cui hanno preso parte anche i carcerati rimessi in libertà e fra di essi il prete che era nella gabbia e fu liberato il 19 novembre, 5 giorni dopo la morte del papa, appena eletto il nuovo.
Il Conclave doveva essere stato brevissimo, al limite di una formalità. I particolari si fermano qui, non viene citato il nome e nemmeno il motivo per cui meritò una simile condanna. Ma se ci fu una persona che meritava di finire fra quelle sbarre fu proprio Il Moro, usurpatore del Ducato di Milano reo di ogni angheria e misfatto. Il popolo Piacentino immaginandosi la sua carcerazione nella gabbia recitava questo sonetto:
Lu la insima al malediva
Tutt al popul dil nos terr
Ma la testa l’agh pindiva
Zù tramezz a il sbarr ad ferr…
Nelle Storie Piacentine del Boselli, che si rifà al Malvicini, è riportato l’ordine di Ludovicus M. Sfortia Anglus, Dux Mediolanum datato 2 febbraio 1495 agli spectabili equiti et doctori Consiliario et Placentie …ad fare una gabbia di ferro suso il campanile presso la piazza della città de quella larghezza, altitudine e lunghezza che quella del campanile del Broletto de questa nostra inclita città…
Un esaustivo volumetto sulla Storia del Duomo pubblicato nel 1963 da Don Luigi Tagliaferri che vi fu parroco per un ventennio così la descrive. E’ forgiata a mano in ferro ed è ancora ben sicura. La porticina d’ingresso misura m. 1,20 per 0,48, la gabbia è larga m.0,90, lunga m. 1,80 ed è alta m. 1,88. Venne sospesa sotto la cella campanaria, èd è una rarità curiosa poiché quell’arnese, oggetto di barbaria medievale, non è consono allo spirito di un edificio sacro. Ma, in quei tempi, non fu solo Piacenza ad essere dotata di un simile strumento. Oltre alla già citata sul campanile del Broletto a Milano di cui la nostra è una fedele copia, ve n’era una sul campanile di San Marco a Venezia, una fin dal 1311 in Bologna sulla parete esterna del Palazzo del Podestà, poi a Mantova e siccome i cattivi esempi sono contagiosi chissà in quante altre città. Leggiamo anche che, in origine, la pena della gabbia di ferro dovesse essere inflitta ai preti bestemmiatori e fornicatori ma in realtà fu messa per incutere terrore a tutti. Un’acquaforte del 1500 ci mostra un condannato sospeso nella gabbia a Venezia. Anche a Piacenza vi fu rinchiuso un prete che fu condannato a restarci in perpetuo ma ebbe la fortuna di godere di una provvidenziale amnistia. Ne scrive sempre il Boselli. Il 14 Novembre 1523 dopo un solo anno di pontificato muore Papa Adriano VI e vi succede il cardinale Giulio De’ Medici col nome di Clemente VII. I Piacentini corrono ad omaggiarlo: ...Oggi il consiglio generale ha scelto i messi speciali che andranno a Roma per prestar giuramento di fedeltà al Papa. Gli inviati furono assai ben accolti ed ottennero un diploma di conferma delle concessioni già fatte, a favore dei Piacentini dai predecessori Giulio II, Leone X, e Adriano VI. Pel nuovo eletto si son fatte molte feste e infinite processioni per le vie della città nei giorni 20, 21,e 22 Novembre cui hanno preso parte anche i carcerati rimessi in libertà e fra di essi il prete che era nella gabbia e fu liberato il 19 novembre, 5 giorni dopo la morte del papa, appena eletto il nuovo.
Il Conclave doveva essere stato brevissimo, al limite di una formalità. I particolari si fermano qui, non viene citato il nome e nemmeno il motivo per cui meritò una simile condanna. Ma se ci fu una persona che meritava di finire fra quelle sbarre fu proprio Il Moro, usurpatore del Ducato di Milano reo di ogni angheria e misfatto. Il popolo Piacentino immaginandosi la sua carcerazione nella gabbia recitava questo sonetto:
Lu la insima al malediva
Tutt al popul dil nos terr
Ma la testa l’agh pindiva
Zù tramezz a il sbarr ad ferr…
Il parroco Don Tagliaferri nel suo volumetto cita anche un altro particolare curioso. Un cappuccio in lamina di ferro che in passato era stato messo a protezione del culmine della guglia negli anni si era deteriorato perché corroso dalla ruggine rendendosi pericoloso. Rimuoverlo non era affatto semplice. Un ardimentoso carpentiere piacentino, Cesare Ferrari, nell’autunno del 1960 ci riuscì salendo fin lassù facendosi scala sulle piccole sporgenze dei mattoni. Non so quante persone in tutta la città sarebbero state capaci di una simile impresa. Come per tutte le cose di una certa rinomanza attorno alla gabbia circolò pure una leggenda. Negli anni precedenti all’ultimo conflitto era voce che per primo fosse stato rinchiuso un certo Bruciaferri nome piacentinizzato in Brusaferr un tipaccio descritto come capace delle peggiori nefandezze. Si raccontava che la sua odissea fosse stata ricavata da un antico manoscritto casualmente ritrovato dal titolo “Le memorie inedite di un delinquente”. Vi si narrava che il reo vi fosse stato rinchiuso il 7 di Ottobre del 1499 e che riuscì a fuggire dopo poco tempo approfittando di una disattenzione dei carcerieri che gli avevano portato il cibo dimenticandosi di chiudere la porticina d’accesso. La favoletta era ben congegnata, ricca di particolari che la resero credibile, al popolino piacque tanto che, continuamente ripetuta acquisì una parvenza di verità, e quindi la leggenda “ad Brusaferr indla gabbia” circolò in tutta la città . Ma su Libertà del 12/12/1949 il signor Ettore De Giovanni mortificato e pentito, confessa di essere stato l’autore della montatura, chiede scusa a tutti assicurando che mai più dirà bugie. Quindi accantonata la bufala di Brusaferr i 500 anni della gabbia sono serviti solo per rinchiudervi un prete per qualche giorno. Meglio così. E’ singolare riflettere sul fatto che mentre da altre parti sono state tolte, da noi è sempre li che incombe lugubre e inamovibile. Dopo il medioevo delle Signorie, i Farnese e il Ducato, il Congresso di Vienna e Maria Luigia d’Austria, la primogenitura con l’annessione al Piemonte, i Savoia e lo stato unitario e chissà quante decine di vescovi succedutesi alla guida della Diocesi, nessuno che abbia pensato di rimuoverla tanto che ormai è diventata parte integrante del panorama di Piazza Duomo. Penso che a questo punto, dopo tanto tempo, i Piacentini si saranno ormai abituati e vorranno tenerla per sempre. In effetti la torre sembrerebbe spoglia senza quella severa presenza, testimone di un’epoca, e anche simbolo di 5 secoli della nostra storia.
(Scritto di Giuseppe Zurla, già pubblicato su "L'urtiga, quaderni di cultura piacentina", nr 11, 2016)
(Scritto di Giuseppe Zurla, già pubblicato su "L'urtiga, quaderni di cultura piacentina", nr 11, 2016)
Bibliografia: “Storie Piacentine", volume 3°, di V. Boselli; “Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni”, di F. Giarelli; “Il Duomo di Piacenza, Storia, Arte e Costume”, di Don Luigi Tagliaferri; “Fondo archivio Repetti”, Biblioteca Passerini-Landi.