I miei ricordi di guerra
di Giuseppe Piva
di Giuseppe Piva
Non so chi abbia inventato la “leggenda metropolitana” secondo cui il fatto che Piacenza fosse “in una buca” la preservasse durante la Seconda Guerra Mondiale dai bombardamenti alleati. Era una convinzione di molti, salvo ad essere naturalmente smentita nei fatti, ma la leggenda persiste tuttora se vi è chi attribuisce a tale presunta “buca” la nostra nebbia invernale.
Resta il fatto che malgrado la guerra avesse già gravato duramente le nostre abitudini per alcuni anni Piacenza fu risparmiata dalle incursioni aeree che colpivano invece diverse altre città italiane. Certo c'era chi si ricordava del rocambolesco bombardamento dell'aeroporto di San Damiano da parte dei francesi nei primissimi giorni di guerra. C'era stato lo scoppio e i morti della Pertite, l'aereo tedesco caduto sul Facsal nell'aprile del 1943, gli attentati con lo zucchero nella benzina agli aerei germanici ancora a San Damiano (io stesso ricordo di aver visto “scoppiare” un aereo dal ponte di Po nel 1942 il cui pilota precipitato nelle acque del fiume fu trascinato dalla corrente che aveva sommerso il paracadute del militare).
La guerra insomma c'era, ma sembrava che la nostra città, malgrado tutto, malgrado la guerra persa, l'8 settembre, la RSI, la resistenza e tutto il resto potesse passare indenne nella bufera. Ma nel maggio del 1944 le bombe cadute su Piazza Duomo e le vie adiacenti suonavano come un doloroso risveglio, fu l'inizio e poi ce ne furono tanti altri. La mia famiglia, come tante altre, già all'inizio del 1943 si era spostata a Zaffignano in cerca di maggiore tranquillità ancorchè il campo d'aviazione di San Damiano non fosse poi tanto lontano.
Mia madre e le mie sorelle vi erano in permanenza. Io andavo e venivo perchè dovevo finire l'anno scolastico. Ma dopo i bombardamenti di piazza Duomo anche io rimasi colà. Mio padre no, doveva lavorare. E così altri familiari. A Piacenza in settimana e poi al sabato pomeriggio tutti al paesello. Spostamenti fino ad un certo periodo con la littorina fino a Pontedellolio (o a Cave di Albarola), ma successivamente in bicicletta facendo attenzione a chi si incontrava per strada. A mio nonno, che pure si recava al lavoro in città, capitò di vedersi requisire la bicicletta da un ufficiale tedesco, al comando di un convoglio nei pressi di Torrano, che assicurava di averne assoluta necessità, ma che l'avrebbe restituita. Mio nonno tornò a piedi, sconsolato, a Zaffignano, certo di non avere più la sua amata bici, che invece gli fu resa a Piacenza con mille ringraziamenti e scuse come promesso.
Così il 14 maggio 1944, un sabato, finito il lavoro, mio padre si apprestava a prendere la strada per la collina quando fu sorpreso, sul Fascal, da un bombardamento proprio sulla caserma allogata nell'ex convento di Sant' Agostino, dove adesso c'è anche Eataly e che allora credo ospitasse il IV Artiglieria Pesante. Le bombe cadevano a 100-200 metri di distanza. Mio padre si accucciò dietro ad un provvidenziale platano per ripararsi dalle schegge e soprattutto dagli spostamenti d'aria... Spostamenti che furono invece fatali ad un militare germanico che, investito in pieno dall'onda d'urto, fu letteralmente proiettato nel fossato sottostante. Benchè terribilmente sconvolto dalla vicinanza dell'evento, quella sera fu tutta dedicata al racconto della vicenda che fece a noi bambini ed agli altri familiari.
L'indomani domenica 14 maggio 1944, il cappellano del paese, don Danani , fra l'altro proprietario delle case occupate dagli sfollati, di cui noi eravamo già una importante componente, aveva celebrato il rito domenicale, con gran parte degli uomini fuori dalla chiesetta. Donne e bambini dentro. Il giorno era stupendo, il sole primaverile baciava tutto il creato. La gente si accodava al pozzo prospicente la chiesetta per attingere acqua. E don Danani si era dimenticato di “staccare i coltelli” che fornivano l'elettricità agli sfollati che così potevano ascoltare la radio (i coltelli erano delle grosse lame che fungevano da interruttore della corrente elettrica).
A casa nostra eravamo almeno una dozzina, forse di più. Ad occuparsi della cucina era mia nonna, coadiuvata dalle figlie e se del caso anche da qualche nipote. Ottima cuoca , malgrado le ristrettezze del tempo di guerra riusciva sempre a rimediare squisitezze e il profumo del sugo per la pasta asciutta di quel giorno lo sento ancora presente ogni volta che la memoria torna a quella domenica. Mezzogiorno era passato da poco, la pasta era già stata scolata, forse già condita, il formaggio grattugiato... Ero ormai abituato ad interpretare il rumore dei bombardieri e a capire se si dirigevano su Piacenza o su località più lontane. Ma quella volta il rumore era più intenso, più immediato. Capii che l'obiettivo era più vicino, diedi l'allarme. Fu un fuggi, fuggi . La pasta asciutta, condita o no che fosse, rimase sulla tavola.
Scendemmo tutti le scale per rifugiarci in un canaletto sulla strada del Sassone. Gli ultimi a scendere furono mio zio e mia nonna.
Tutti in fila, tutti accucciati, c'erano anche i vicini, c'era anche la “siura Rosa”. Ormai il bombardamento era in atto: scoppi, motori al massimo... Ma io ero in estasi... Non capivo più niente!!! Uno sguardo al cielo, che meraviglia... Aerei bassissimi, strisce bianche dappertutto, migliaia di striscioline argentate che scendevano in ogni dove... Esco dal canale corro... verso il cielo...
Ripeto, ero in estasi, finchè a risvegliarmi fu il sonoro ceffone che il povero padre mio fu costretto a rifilarmi per farmi tornare sulla terra, nel canale con tutti gli altri finchè gli aerei cessarono l'incursione che aveva avuto come obiettivo principale il campo di aviazione di San Damiano ma che, si seppe poi, aveva seminato morte un po' dappertutto nei paesi circostanti. Soprattutto a causa degli spezzoni dirompenti lanciati con quelli incendiari.
Non conosco con esattezza cosa sia successo dal punto di vista militare quel giorno, ma credo che l'aeroporto da allora fino a che non fu ricostruito molti anni dopo, sia stato reso inservibile agli scopi bellici.
Resta il fatto che malgrado la guerra avesse già gravato duramente le nostre abitudini per alcuni anni Piacenza fu risparmiata dalle incursioni aeree che colpivano invece diverse altre città italiane. Certo c'era chi si ricordava del rocambolesco bombardamento dell'aeroporto di San Damiano da parte dei francesi nei primissimi giorni di guerra. C'era stato lo scoppio e i morti della Pertite, l'aereo tedesco caduto sul Facsal nell'aprile del 1943, gli attentati con lo zucchero nella benzina agli aerei germanici ancora a San Damiano (io stesso ricordo di aver visto “scoppiare” un aereo dal ponte di Po nel 1942 il cui pilota precipitato nelle acque del fiume fu trascinato dalla corrente che aveva sommerso il paracadute del militare).
La guerra insomma c'era, ma sembrava che la nostra città, malgrado tutto, malgrado la guerra persa, l'8 settembre, la RSI, la resistenza e tutto il resto potesse passare indenne nella bufera. Ma nel maggio del 1944 le bombe cadute su Piazza Duomo e le vie adiacenti suonavano come un doloroso risveglio, fu l'inizio e poi ce ne furono tanti altri. La mia famiglia, come tante altre, già all'inizio del 1943 si era spostata a Zaffignano in cerca di maggiore tranquillità ancorchè il campo d'aviazione di San Damiano non fosse poi tanto lontano.
Mia madre e le mie sorelle vi erano in permanenza. Io andavo e venivo perchè dovevo finire l'anno scolastico. Ma dopo i bombardamenti di piazza Duomo anche io rimasi colà. Mio padre no, doveva lavorare. E così altri familiari. A Piacenza in settimana e poi al sabato pomeriggio tutti al paesello. Spostamenti fino ad un certo periodo con la littorina fino a Pontedellolio (o a Cave di Albarola), ma successivamente in bicicletta facendo attenzione a chi si incontrava per strada. A mio nonno, che pure si recava al lavoro in città, capitò di vedersi requisire la bicicletta da un ufficiale tedesco, al comando di un convoglio nei pressi di Torrano, che assicurava di averne assoluta necessità, ma che l'avrebbe restituita. Mio nonno tornò a piedi, sconsolato, a Zaffignano, certo di non avere più la sua amata bici, che invece gli fu resa a Piacenza con mille ringraziamenti e scuse come promesso.
Così il 14 maggio 1944, un sabato, finito il lavoro, mio padre si apprestava a prendere la strada per la collina quando fu sorpreso, sul Fascal, da un bombardamento proprio sulla caserma allogata nell'ex convento di Sant' Agostino, dove adesso c'è anche Eataly e che allora credo ospitasse il IV Artiglieria Pesante. Le bombe cadevano a 100-200 metri di distanza. Mio padre si accucciò dietro ad un provvidenziale platano per ripararsi dalle schegge e soprattutto dagli spostamenti d'aria... Spostamenti che furono invece fatali ad un militare germanico che, investito in pieno dall'onda d'urto, fu letteralmente proiettato nel fossato sottostante. Benchè terribilmente sconvolto dalla vicinanza dell'evento, quella sera fu tutta dedicata al racconto della vicenda che fece a noi bambini ed agli altri familiari.
L'indomani domenica 14 maggio 1944, il cappellano del paese, don Danani , fra l'altro proprietario delle case occupate dagli sfollati, di cui noi eravamo già una importante componente, aveva celebrato il rito domenicale, con gran parte degli uomini fuori dalla chiesetta. Donne e bambini dentro. Il giorno era stupendo, il sole primaverile baciava tutto il creato. La gente si accodava al pozzo prospicente la chiesetta per attingere acqua. E don Danani si era dimenticato di “staccare i coltelli” che fornivano l'elettricità agli sfollati che così potevano ascoltare la radio (i coltelli erano delle grosse lame che fungevano da interruttore della corrente elettrica).
A casa nostra eravamo almeno una dozzina, forse di più. Ad occuparsi della cucina era mia nonna, coadiuvata dalle figlie e se del caso anche da qualche nipote. Ottima cuoca , malgrado le ristrettezze del tempo di guerra riusciva sempre a rimediare squisitezze e il profumo del sugo per la pasta asciutta di quel giorno lo sento ancora presente ogni volta che la memoria torna a quella domenica. Mezzogiorno era passato da poco, la pasta era già stata scolata, forse già condita, il formaggio grattugiato... Ero ormai abituato ad interpretare il rumore dei bombardieri e a capire se si dirigevano su Piacenza o su località più lontane. Ma quella volta il rumore era più intenso, più immediato. Capii che l'obiettivo era più vicino, diedi l'allarme. Fu un fuggi, fuggi . La pasta asciutta, condita o no che fosse, rimase sulla tavola.
Scendemmo tutti le scale per rifugiarci in un canaletto sulla strada del Sassone. Gli ultimi a scendere furono mio zio e mia nonna.
Tutti in fila, tutti accucciati, c'erano anche i vicini, c'era anche la “siura Rosa”. Ormai il bombardamento era in atto: scoppi, motori al massimo... Ma io ero in estasi... Non capivo più niente!!! Uno sguardo al cielo, che meraviglia... Aerei bassissimi, strisce bianche dappertutto, migliaia di striscioline argentate che scendevano in ogni dove... Esco dal canale corro... verso il cielo...
Ripeto, ero in estasi, finchè a risvegliarmi fu il sonoro ceffone che il povero padre mio fu costretto a rifilarmi per farmi tornare sulla terra, nel canale con tutti gli altri finchè gli aerei cessarono l'incursione che aveva avuto come obiettivo principale il campo di aviazione di San Damiano ma che, si seppe poi, aveva seminato morte un po' dappertutto nei paesi circostanti. Soprattutto a causa degli spezzoni dirompenti lanciati con quelli incendiari.
Non conosco con esattezza cosa sia successo dal punto di vista militare quel giorno, ma credo che l'aeroporto da allora fino a che non fu ricostruito molti anni dopo, sia stato reso inservibile agli scopi bellici.
Pagina pubblicata il 29 gennaio 2021