"Appunti partigiani" di Giuseppe Zurla
(Dalle memorie di Don Giovanni Amasanti parroco di Groppo Ducale dal '35 al '56)
(Dalle memorie di Don Giovanni Amasanti parroco di Groppo Ducale dal '35 al '56)
Il 70esimo della Resistenza come un’occasione per rileggere più attentamente la nostra storia, soffermarsi su alcuni aspetti prima trascurati magari per fretta, confrontare testimonianze che aggiungono particolari al racconto generale fino a fornirne un quadro più completo e veritiero. Sono parecchi nella nostra provincia i luoghi che possono prestarsi ad analisi del genere ed uno di questi è certamente Groppo Ducale, piccolo paese proprio nel cuore dell’Appennino Piacentino. Situato a un’altezza media di 800 metri alle pendici del monte La Penna, nel bacino idrografico del Nure ha, negli immediati dintorni, altri 3 nuclei abitati nell’ordine: Cordani, Forlini e più in alto, sul crinale, Costa. Appena fuori dal contesto dell’urbanizzato spicca la chiesa, di pregevole architettura con uno svettante campanile e sul davanti un piccolo sagrato da dove lo sguardo può spaziare nel fondovalle fin quasi al Nure. A fianco della chiesa, su uno sperone di roccia, quello che rimane del castello, residua testimonianza dell’età feudale. Ancora adesso in quei luoghi dove si svolsero le vicende connesse alla Resistenza poco o nulla è cambiato da allora.
Dall’otto Settembre 1943 la località divenne un crocevia importante perchè percorsa in entrambi i sensi da interminabili colonne di giovani che attraverso gli itinerari dei monti cercavano di raggiungere le proprie case. Anche 17 ufficiali inglesi fuggiti dal campo di concentramento di Veano vi arrivarono con l’intento di raggiungere la Liguria da dove cercare un imbarco o un qualche altro mezzo per arrivare al confine Svizzero. Tra di loro anche uno scozzese, Archibald McKenzie che poi non proseguì ma scelse di ridiscendere la valle per unirsi ai Partigiani, divenendo in breve tempo vicecomandante della Brigata Stella Rossa della Divisione Valnure. Nome di battaglia Mack che poi morì eroicamente in uno scontro a fuoco presso le cave di Albarola ai primi d’ottobre del 1944. Testimone e protagonista di quegli eventi è il parroco del paese Don Giovanni Amasanti, nelle sue memorie descrive le tribolazioni di una popolazione che pur già avvezza ad una vita dura si trovò ad aver a che fare con rastrellamenti continui, minacce, sequestro di animali, razzie. Torna ad onore di quei montanari la generosità con la quale divisero con i prigionieri le loro scarse risorse. I successi militari dei Partigiani contribuivano a far lievitare sempre più il numero dei prigionieri. Il tetto massimo raggiunto fu di 223 unità comprensivi di una cinquantina di tedeschi.
Non mancavano nemmeno diverse donne, non si a a che titolo tenute prigioniere, cui fu trovata una idonea e comune sistemazione. Nel racconto non si fa menzione della consistenza delle truppe Partigiane che, in ogni caso, dovevano essere sufficienti per gestire una comunità così numerosa e sparsa su un vasto territorio. Entrò persino in funzione un tribunale che comminò condanne a morte per fascisti e per Partigiani che si erano resi colpevoli d’indegnità disonorando così tutto il movimento. Un buon numero di prigionieri venne smistato al Colombello, un gruppo di case appena dopo Prato Barbieri sulla carraia che va al passo di Santa Franca. ma per raggiungerlo si doveva camminare per più di un’ora. Don Giovanni mise pure a disposizione della Resistenza alcune stanze della canonica, anche per il servizio di barberia. Girava fra i parrocchiani per ascoltarne i bisogni, portava medicine, distribuiva i Sacramenti e i libri della biblioteca parrocchiale. In tutto questo fu aiutato dal confratello Don Giuseppe Borea parroco di Obolo, che per le sue attività a favore dei Partigiani, dopo un processo farsa, venne fucilato al cimitero di Piacenza appena prima della Liberazione.
Nel rastrellamento di Luglio del 1944 Don Giovanni venne brutalmente e a lungo interrogato davanti a tutta la popolazione perché svelasse il nascondiglio dei giovani o almeno dicesse quanti figli avevano i vecchi che gli venivano via via messi davanti. L’eco di quelle urla rauche rimbombarono a lungo sinistramente per tutta la valle. Riuscì a non parlare ma per punizione fu obbligato a seguire le truppe tedesche fino a Bettola portando sulle spalle una cassetta di munizioni di 20Kg. Poi fu costretto a seguirli in camion a Pontedellolio e infine fino a Fornovo dove fu rinchiuso in una casa e da dove, dopo qualche giorno, venne liberato grazie all’interessamento del vescovo di Parma. Il 3 Dicembre 1944 9 persone vennero fucilate al passo di Santa Franca. Chi, o coloro che emisero la sentenza erano certamente intimamente convinti della decisione ma non esistono scritti o verbali a supporto. Ma il parroco di montagna quando ne venne a conoscenza andò a recuperare i corpi con carri e slitte il giorno 11 mentre infuriava una tormenta di neve, poi ufficiò la cerimonia funebre e diede a quegli sventurati una cristiana sepoltura nel cimitero del paese.
Trascrisse i loro nomi nel “Liber Mortuorum” della parrocchia tracciando una croce vicino ad ogni nome e in fondo alla pagina puntigliosamente aggiunse “Morti senza conforti religiosi perché il parroco non è stato avvertito” Lo scrupolo di Don Giovanni permise ai famigliari dei giustiziati , a guerra finita, di recuperarne i corpi e portarli a sepoltura nei posti d’origine. Solo un episodio fra i tanti tragici ed eroici che accadevano giornalmente. Meditando su tutto questo anche a distanza di anni si rimane stupiti che tutto ciò sia potuto accadere fra uno scenario di inaudita bellezza in posti che ispirano pace e serenità dove è piacevole vivere e dove si dovrebbe morire solo per cause naturali. A distanza di appena 70 anni dal delirio collettivo che fu la seconda guerra mondiale, un evento che causò milioni di morti, macerie materiali e morali lutti, dolore e disperazione ci sono ancora nel mondo parole e atteggiamenti che paiono preludere ad una inesausta voglia di guerra. Persino il Papa ha detto che la terza guerra mondiale forse è già cominciata, in maniera subdola con tanti focolai in diversi continenti. Qualcuno ha scritto: qualunque sia il motivo del contendere, la guerra non è mai stata la soluzione. Nel museo del Prado a Madrid, c’è un’opera grafica di Francisco Goya dal titolo ammonitore “Il sonno della ragione genera mostri” ed è molto spiacevole constatare che il ventre che ha generato quei mostri è ancora fecondo.