L'Impresa Lodigiani
di Giuseppe Zurla
di Giuseppe Zurla
La stragrande maggioranza di coloro che erano giovani verso la fine del secolo scorso penso ignorino completamente che il nostro Paese una volta non era famoso nel mondo come ora per le griffe della moda, il cavallino rosso della Ferrari o per la Juventus, ma lo era per il lavoro (con la L maiuscola), quello delle grandi opere capaci di far decollare l’economia di una nazione o addirittura di un continente. Una delle imprese protagoniste di questo boom fu la piacentina Lodigiani, che nata e consolidatasi come Ditta individuale negli anni si unì poi con altre in associazione d’impresa per avere i numeri e la possibilità di partecipare ad appalti di enorme complessità, ma dove quasi sempre esercitava una funzione primaria. Alla fine della seconda guerra mondiale l’Europa era un cumulo di macerie, industria e commerci languivano ovunque la priorità era ricostruire, far ripartire un’economia disastrata dai cinque lunghi anni del conflitto. Parallelamente i paesi del terzo mondo arretrati, ma ricchi di materie prime e con inespresse potenzialità come l’Africa, l’Asia il Sudamerica, come se si risvegliassero da secolari torpori si dotavano di piani che prevedevano la costruzione di infrastrutture di ogni genere: dighe, centrali, aeroporti, strade viadotti, ponti. Appalti giganteschi da compiere per lo più in località impervie e desertiche, dove non era possibile reperire qualcosa in loco, ma tutto, da qualsiasi attrezzatura a ogni sacchetto di cemento e fino all’ultimo chiodo arrivava nel cantiere da migliaia di chilometri. Così per le derrate alimentari che dovevano essere sufficienti per migliaia di persone. La logistica ricalcava quella già usata in tanti cantieri. Una volta aggiudicatasi i lavori un pool di esperti raggiungeva il posto e progettava in loco l’ubicazione più favorevole per l’impiantistica occorrente. Per primo venivano costruiti i villaggi degli operai, baracche dormitorio per gli scapoli, camerette per le famiglie, strutture complete di riscaldamento allacciamenti idrici (spesso si doveva anche trovare una sorgente e poi incanalarla), apprestare un sistema fognario, cucine, mense, aula scolastica per i bambini, infermeria per il pronto soccorso, perfino una cappella per i devoti. Terminato tutto questo partivano migliaia di lavoratori da tutta Italia, molti dall’Emilia (dove Piacenza faceva la parte del leone), dal Veneto e dal Friuli, regioni che erano veri serbatoi di mano d’opera qualificata. Muratori e carpentieri, gente che nasceva con il martello e la cazzuola in mano e soprattutto con una gran voglia di lavorare. Ovviamente si usava anche parecchia manodopera locale, ma gli specialisti arrivavano tutti dall’Italia. Non erano tempi di grande mobilità, gli aerei erano più piccoli e per una questione di costi i voli erano centellinati. Si viveva in cantiere come in una città, i turni di riposo ridotti al minimo per non sforare i tempi di consegna. Mediamente un’opera richiedeva dai 3 ai 5 anni. Il lavoro dei nostri connazionali era stimatissimo. Mi è stato raccontato di un comunicato emesso da uno stato sudamericano per la costruzione di una diga che diceva all’incirca cosi: "Sono state aperte le buste con le offerte. Il prezzo più conveniente ci è stato offerto da un consorzio Anglo-Tedesco, ma abbiamo ugualmente affidato il lavoro agli italiani perché lavorano bene e rispettano i tempi". Considerazioni che valgono come una medaglia al valore. Erano tempi in cui a casa nostra fummo capaci in solo otto anni di costruire l’autostrada del sole da Milano a Napoli. In questo turbine di attività la Lodigiani collaborava alla progettazione, eseguiva e dirigeva i lavori, coordinava i subappalti e curava i rapporti coi dirigenti locali e le stazioni appaltanti. Come era incominciato tutto questo?
L'Impresa nata a Piacenza aveva una storia antica. Fondata più di un secolo fa nel 1906 da Vincenzo Lodigiani, che nacque nel 1875, figlio di un agricoltore di Settima, ottavo di nove figli che si laureò al Politecnico di Torino in ingegneria civile. Il lontano esordio fu la progettazione di alcuni edifici scolastici fra i quali quelli di San Bonico e Vallera; ma in quei tempi non era facile reperire altri lavori di edilizia pubblica e l’ ingegner Vincenzo, che nel frattempo aveva messo su famiglia e doveva lavorare, s’impiegò presso una Società francese, che aveva costituito nello zuccherificio di Sarmato la “Compagnie sucrière de Sarmato”, con la qualifica di “Sous chef de production”. Dal matrimonio nacquero 4 figli: Luigi nel 1904, che per tutti era Gino, Silvia nel 1905, Paolo nel 1908 e per ultimo, nel 1918, Giuseppe. Con il padre allo zuccherificio la famiglia abitava in una villetta vicina allo stabilimento. Non fu per molto perchè non era questo il genere di lavoro cui Vincenzo ambiva, era nato costruttore e pensava più in grande, i suoi progetti erano altri. Certamente nel cambiamento della sua attività ebbe un ruolo suo cognato Enrico Ranza, di cui aveva sposato la sorella, anche lui ingegnere, che era quello che progettò e costruì a Piacenza il primo ponte sul Po in muratura. I due congiunti assieme a un terzo socio costituirono l’associazione d’impresa Ranza, Fioruzzi, e Lodigiani, che si aggiudicò i lavori per la costruzione della linea ferroviaria Rimini-San Marino. A questo primo incarico altri ne seguirono, ma Vincenzo caratterialmente era un solista e, spalleggiato in questo dalla moglie che lo incoraggiò, si mise nelle condizioni di ricevere solo per la sua Impresa un appalto dalle ferrovie dello Stato; un lavoro importante, la costruzione del ponte sul Taro della linea Fidenza-Fornovo, lungo più di 600 metri, con 23 arcate in muratura. Nel frattempo era andato ad abitare a Piacenza al numero 4 di via Felice Frasi e si firmava come “Impresa lavori pubblici Vincenzo Lodigiani Appaltatore di Piacenza”.
Impossibile qui elencare tutte le opere che da allora si susseguirono a ritmo sempre più costante, e poi a quei tempi lavorare per le ferrovie era un biglietto da visita molto qualificato. Nel libro di memorie della famiglia, scritto dal figlio Giuseppe, dalla fondazione al 1926 si contano ben 18 opere di grande rilievo quali ponti, gallerie, quartieri di edilizia abitativa e altri fabbricati di notevoli dimensioni. La Lodigiani, nel panorama nazionale era ancora un’azienda medio piccola con sede in una città provinciale, ma lo stima di cui godeva nel settore portò il titolare alla carica di Presidente dell’ANCE (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili). Il passo successivo, necessario al definitivo decollo, fu quello di spostare la sede dell’attività da Piacenza a Milano costruendo un palazzo in via Senato, che fungeva da abitazione per le famiglie e aveva gli spazi occorrenti per gli uffici della direzione. Alla fine del 1927 l'Impresa si dotò di una struttura societaria più consona alle sue dimensioni passando da Ditta individuale a S.P.A.
Alcune delle opere costruite nel piacentino da Lodigiani
In quegli anni un’opera di un certo rilievo, almeno per il territorio piacentino, fu la costruzione del ponte di Travo sul Trebbia, per il collegamento del paese alla statale 45. Infine venne il momento di compiere un altro salto di qualità, che fu quello di occuparsi delle dighe. Era appena stata costruita quella sul Tidone di modeste proporzioni e la Lodigiani assieme a un consorzio di agricoltori Valdardesi con notevole coraggio e imprenditorialità s’impegnò nella costruzione della diga di Mignano, allora la più grande d'Italia, con un’altezza di 64 metri, dove occorsero 230.000 metri cubi di calcestruzzo e dove si formò un invaso di 15 milioni di metri cubi d'acqua. Impegnarsi per l’acquisto dei macchinari, del materiale occorrente e reperire la liquidità necessaria per compiere i lavori, voleva dire semplicemente mettersi in gioco con tutte le sostanze accumulate in anni di lavoro. Era una scommessa non facile in considerazione che quello era il primo lavoro del genere, ma questo non spaventò Vincenzo e pur tra diverse difficoltà, che allungarono i tempi di consegna di ben 4 anni, nel 1933 la diga fu terminata. Da quel momento la Lodigiani si occupò principalmente di costruzioni idrauliche secondo uno slogan “dai ponti alle dighe”. Si possono sostanzialmente dividere i tempi dell'Impresa in due distinti periodi: quello storico, dalla fondazione alla morte del fondatore Vincenzo avvenuta a Roma nel 1942, con lavori eseguiti prevalentemente in ambito nazionale, e quello successivo quando venne condotta dai figli, che si rivolsero anche all’estero, acquisendo un'impronta internazionale. Alla morte repentina del padre la presidenza e quindi il timone della società sarebbe spettato al primogenito Luigi, ma questi, ritenendo più adatto il fratello Paolo gliela cedette, compiendo una scelta che testimonia il grande affiatamento che regnava fra di loro e compiendo al tempo stesso un atto di rara abnegazione. Nel frattempo l’ultimo dei fratelli, Giuseppe, nel 1943 già ingegnere, durante la guerra allo scopo di evitare l’invio in zone calde s'iscrisse alla facoltà aeronautica e acquisì una seconda laurea. Tra le tante opere cui partecipò la Lodigiani non si può non citare quella che le diede una notorietà mondiale: la diga sul fiume Zambesi in Rodesia, ora divisa tra Zambia e Zimbabwe, quella comunemente chiamata Kariba allora la più grande del mondo.
Diga di Kariba, costruita sul fiume Zambesi, al confine tra Zambia e Zimbabwe. L'invaso é capiente cinque volte il Lago di Garda. Per avere un'idea della vastità del lago artificiale si pensi al puntino sulla carta sopra che indica Lusaka, la capitale dello Zambia, la quale ha quasi mezzo milione di abitanti in più di Milano. (Immagine satellitare tratta da Google Earth).
L’anno era il 1956 nell’associazione d’impresa figurano Lodigiani, Girola, Torno e Impresit. Le cifre sono da capogiro: lavori appaltati per un importo di 25.000.000 di Sterline, un contratto 10 volte più grande di quelli fatti fino ad allora. I numeri possono testimoniare: 975.000 mc. di calcestruzzo, un’altezza di 126 metri una lunghezza di 580. Le gallerie scavate per ricevere turbine e generatori da 600 mw. con una cubatura pari a quella del duomo di Milano. Il lago formato dal bacino è cinque volte più capace del Garda. Qui le pagine del volume di memorie sono avvincenti come quelle di un libro d’avventura. Gli uomini che sfidano il Dio fiume Nyami-Nyami lungo tremila chilometri, che si ribella e, come un idolo sanguinario, esige sacrifici umani (un incidente in cui morirono 14 operai con cui si corse il rischio di uno stop ai lavori), ma poi infine la tenacia umana riuscì a domarlo. Tutto è infinitamente grande, un affluente che lo alimenta, il Sanyati porta la massa d’acqua a 16.000 mc. al secondo e a un’altezza di 40 metri, che si muove alla velocità di 50 Km. all’ora. Le piene giungono violente e improvvise e fanno il rumore di una carica di cavalleria, in quel frastuono nemmeno la più stentorea delle voci riesce a farsi sentire.
Alcune costruzioni realizzate dalla Lodigiani in Italia e nel mondo
Una lettura avvincente per una descrizione tecnica, che mi ha fatto meditare sull’alto livello cui doveva essere allora la scuola Italiana. Temo non ci siano più ingegneri scrittori. Ora abbiamo laureati, certamente preparati nelle rispettive materie, ma che non conoscono la lingua madre, influenzati da tutto ciò che è anglosassone si esprimono in un italiano basic, ignorano i congiuntivi e ogni tanto cadono in vistose sgrammaticature. Giuseppe Lodigiani, due volte ingegnere, conosce l'italiano e la sintassi, scrive di cose tecniche in modo chiaro, costruisce compiuti periodi, usa la punteggiatura e riesce a interessare il lettore con un lessico da romanziere. E’ lui che dalla Lodigiani viene delegato a tenere i rapporti con i committenti, perché oltre conoscere la materia in maniera approfondita parlava fluentemente diverse lingue. Venne inviato a colloqui con banchieri, ministri, capi di stato; è l’uomo immagine dell'Impresa nel mondo, che girò con curiosità e voglia d’apprendere. Nella prefazione del volume "Ricordi di vita e di lavoro", cita un pensiero del filosofo Seneca sulla brevità della vita, conosce i classici russi,Tolstoj, Dostoevskij, poi della nostra letteratura, Guicciardini e Montale, s’interessò dei costumi di queste nuove nazioni africane e ai problemi che potevano sorgere per una troppo rapida decolonizzazione. E’ religioso e nei momenti più bui si affida all’Angelo Custode che, almeno una volta, ricorreva nelle preghiere che le mamme insegnavano ai figli; ma è ammirevole la sua preparazione umanistica: è certamente un uomo di vasta cultura. Dopo Kariba gli italiani continuano a stupire il mondo con la diga di Akosombo sul fiume Volta in Ghana. La sua realizzazione comporta la soluzione di diversi problemi, ogni opera è sempre una nuova sfida ma ormai l’esperienza acquisita è grande. A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 tra lavori a conduzione diretta (21) con Impregilo (8) e in associazione d’impresa con terze (13) l'Impresa Lodigiani ha ben 42 cantieri aperti. Numeri che fanno impressione.
"Tarbela, l'opera della maturità"
Tra le opere significative spiccano il ponte sul Guayaquil in Ecuador lungo 2900 metri, poi altri in Argentina e Colombia. Infine arriva Tarbela, che Giuseppe Lodigiani definisce “l’opera della maturità”; uno sbarramento enorme situato nella parte nord occidentale del Pakistan al confine con l’Afghanistan, un complesso di 3 dighe sull'Indo, il fiume che scende dai sacri altopiani del Tibet. A confronto nemmeno la grande diga di Assuan può starvi alla pari. Vi lavorarono ben 16.000 persone, ne uscì un’opera che anche al giorno d’oggi viene visitata come un museo. Sul motore di ricerca di Google digitando “Tarbela” è possibile vederne parecchie foto. Tra la miriade di dati che qui non si possono citare, rimane impresso a chi allora visitò il cantiere, il torneare delle grandi macchine che si muovevano nell’enorme spianata dove fervevano i lavori: erano 9 mostruosi escavatori con benne da 12 metri cubi, sei con benne da 8 metri cubi, 64 gru mobili e a torre, 260 betoniere e tanto altro. In casa nostra è della Lodigiani il viadotto più alto d'Italia sulla Salerno- Reggio Calabria ben 261 metri.
I templi del Faraone Ramses II
Tra le realizzazioni dell'Impresa non si può far a meno di citare un prodigio d'ingegneria che ebbe risonanza mondiale e che fu necessario per salvare alle future generazioni una grande opera del passato. Il tempio del faraone della seconda dinastia Ramesse ll e, quello contiguo, della sua consorte la Regina Nefertiti detti comunemente i templi di Abu Simbel. Entrambi i monumenti stavano per essere sommersi dall’acqua del Nilo che colmando la diga di Assuan li avrebbe definitivamente sepolti. In uno slancio ammirevole per un’operazione culturale si mosse l’umanità intera. Dopo aver esaminato i metodi possibili, venne scelto quello che prevedeva di tagliare i templi in blocchi e poi, come un immenso puzzle, rimontare il tutto in zona di sicurezza. Non mancavano i contrari a un simile modo di procedere temendo danni irreversibili alle antiche pietre, ma il nome dell’impresa e la grande fiducia nelle sue capacità era di per se una garanzia. Fu fondata una Joint Venture di 5 ditte e alla Lodigiani venne affidato il compito più difficile, quello di sezionare i templi in grandi blocchi (1041), poi spostarli e rimontarli. Attraverso l'UNESCO i finanziamenti arrivarono senza vincoli o condizionamenti (ben 25 milioni di dollari) e questo grazie alla fama della Lodigiani, ma bisognava fare presto e bene. Il famoso archeologo francese Cristophe, inizialmente contrario, a lavoro finito fu prodigo d’elogi scrisse che era stata fatta con amore e perizia una delicatissima operazione chirurgica. Nulla fu lasciato al caso. I templi furono ricostruiti con lo stesso orientamento che ebbero dagli antichi costruttori 3 millenni prima e così anche tuttora nel giorno del compleanno del Faraone il sole nascente entra nel lungo corridoio dell’ingresso arriva fino alla sala del trono e pur tra tante statue va ad illuminare quella di Ramesse. Un’altra notevole realizzazione fu la diga di Mosul in Irak che divenne tributaria dell’acquedotto di Bagdad e permise l’irrigazione di migliaia di ettari di terreno. Si parla di opere dello stesso livello di quella di Assuan.
Album di famiglia
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Passano gli anni e iniziano una serie di lutti, nel 1968 muore il primogenito Gino; Paolo che fu presidente per 20 anni, dal 1943 al 1963, muore nel 1979; ma nel frattempo la carica era stata assunta da Giuseppe che la ricoprì dal 1973 al 1983. Caso unico nel nostro Paese ben tre componenti della stessa famiglia Vincenzo il fondatore e due suoi figli Paolo e Giuseppe ebbero l’onore di essere nominati Cavalieri del Lavoro dalla presidenza della Repubblica. In quegli anni erano già entrati in azienda con diverse mansioni i Lodigiani della terza generazione, Vincenzo figlio di Gino; Mario, Paolo ed Enrico figli di Giuseppe. Il ciclone “mani pulite” non risparmiò la Lodigiani e si abbattè con forza e clamore sulla famiglia, dal primo arresto di Mario con alcuni collaboratori e successivamente con i figli di Giuseppe che subirono 14 arresti per complessivi 7 mesi di carcere e 6 mesi di domiciliari. Occorre fare un passo indietro. Nel 1976 la Lodigiani subì un primo pesante avvertimento mafioso. In un cantiere nel milanese fu fatto saltare uno scavatore e con una serie di telefonate colui che si qualificava come “quello della bomba” chiedeva soldi. Furono immediatamente avvertiti i carabinieri che fecero indagini, misero i telefoni sotto controllo, ma non riuscirono ad arrivare agli autori del gesto; i quali, innervositi dalle mancate risposte, misero una seconda bomba su una finestra della sede in via Senato, che solo per caso non fece vittime. Visto che lo Stato non riusciva ad arrestare i mafiosi, la famiglia decise di pagare pur se con una cifra inferiore a quella della prima richiesta. Fu l’unica volta? Probabilmente no ma nel volume non si fa cenno ad altri episodi analoghi, ma per meglio inquadrare il contesto in cui si muoveva l’azienda c’è invece un fatto molto interessante successo addirittura nel 1945, solo 3 mesi dopo la fine della guerra. Il governo aveva deciso di ripristinare urgentemente i collegamenti ferroviari in Liguria ricostruendo i ponti distrutti dai bombardamenti alleati. La Lodigiani ebbe l’incarico per quello di Recco. Per abbreviare i tempi fu proposto di costruirne uno provvisorio in legno, nel frattempo i treni potevano passare e intanto con più calma si sarebbe terminato quello in cemento. Occorrevano molti tronchi lunghi più di 20 metri perfettamente cilindrici che furono trovati presso una segheria piemontese; il trasporto doveva essere autorizzato dall’autorità di occupazione, nel caso un colonnello inglese con l’ufficio a Genova, dove Giuseppe si presentò con la sua richiesta. L’ufficiale, con aplomb molto british rispose: “No problem mister Lodigiani, stasera stessa le firmerò il permesso senza farla aspettare, ma siccome qui in Italia tutto questo non potreste ottenerlo gratuitamente anch’io ho una richiesta, si presenti con …… lire". Un caso preclaro di concussione. All’esterrefatto Giuseppe mancarono le parole. La cifra era esattamente il massimo di quello che poteva dare e che poi, pur tra molti dubbi e tentennamenti decise di consegnargli. Questo accadeva oltre 70 anni fa e il protagonista non era un mafiosetto qualsiasi ma un ufficiale di sua maestà britannica. Così andava il mondo e purtroppo tutt’ora va in questo nostro sfortunato Paese. Ci sarà pure un motivo se da noi le opere pubbliche continuano mediamente a costare il doppio che dalle altre parti. Qualcuno ha detto che il denaro è il latte materno della politica, forse quello che possiamo imputare all’azienda è di non aver avuto il coraggio di ribellarsi quando godeva di un rispetto e di una considerazione mondiale, tanto meritoriamente conquistata. A sostegno di questa tesi riportiamo le parole che usò il giornalista Massimo Fini, cronista di "mani pulite", nel 1994: "Ci troviamo di fronte non a casi molteplici di corruzione personale, ma a un sistema generalizzato. Lo conferma il fatto che a pagare tangenti ai partiti, sia stata costretta un’antica azienda come la Lodigiani, alla quale, se le cose funzionassero regolarmente, basterebbe presentare se stessa e la propria secolare esperienza per vincere un appalto".
Il ponte sullo Stretto di Sicilia
Riferimenti bibliografici: "Ricordi di vita e di lavoro", scritto da Giuseppe Lodigiani sul finire dello scorso secolo. L'autore e' deceduto nel 2004
Repertorio fotografico: dove non espressamente citato, autore/propietario sotto l'immagine, le foto presenti su questa pagina sono dell'archivio Michele Lodigiani
Repertorio fotografico: dove non espressamente citato, autore/propietario sotto l'immagine, le foto presenti su questa pagina sono dell'archivio Michele Lodigiani