LA CASA DELLA PICCOLA
MARTA
Le bombe su Cà de Badin del 12 agosto 1944, di Alberto Magnani
Le bombe su Cà de Badin del 12 agosto 1944, di Alberto Magnani
Il poeta Camillo Sbarbaro
era uno dei tanti sfollati che, nell’agosto del 1944, per sfuggire ai
bombardamenti cercarono rifugio nell’entroterra ligure. Il 12 agosto, il poeta
era salito al paesino di Magnone, alle spalle di Spotorno, in cerca di pane.
Quel giorno il cielo si riempì di bombardieri: piovvero bombe su Savona, Vado,
Varigotti, Finale, Toirano, Pietra Ligure. E, più a levante, su Albisola,
Celle, Arenzano…
Dall’alto di Magnone, che era stato risparmiato, la gente guardava più giù: le bombe erano arrivate sino a Tosse, un borgo composto da casolari sparsi tra le viti e gli ulivi. Sbarbaro si fece strada tra la folla. “Mi indicano tra le poche case di Tosse, bene in vista da quassù, una che manca;” annoterà, “una fumata al suo posto si sta disperdendo.” Il poeta conosceva bene Tosse: “hanno preso in pieno la casa un po’ in disparte dove abitava Marta.” Marta, la figlia tredicenne dei Basadonne, una ragazzina schiva che Sbarbaro vedeva sempre in cucina, intenta a cucire; “la piccola Marta, schiacciata dal tetto con tanti altri che vi erano rifugiati sotto.” (1)
Le vittime furono in totale ventinove.
La missione 78 del 463° Group
Le incursioni del 12 agosto si collocano nel quadro di una vasta offensiva aerea, rivolta contro le difese costiere delle coste liguri e francesi. L’operazione doveva aprire la strada a uno sbarco delle forze angloamericane, già previsto in Provenza: i bombardamenti avvenivano però in un’area molto più estesa, per impedire ai tedeschi di individuare il reale obiettivo.
Il tratto di costa tra Vado e Pietra Ligure era stato assegnato al 5° Wing dell’Aeronautica dell’Esercito degli Stati Uniti. Il 463° Group, uno dei cinque gruppi in cui si articolava il 5° Wing, doveva bombardare le installazioni situate sul promontorio alle spalle di Noli, tra Voze e il Bric dei Crovi (2). Tutti gli aerei in forza al Wing erano quadrimotori B-17, noti come “Fortezze Volanti”, ciascuno dei quali aveva dieci aviatori di equipaggio e un carico di 12 bombe da 500 libbre (227 kg) RDX, cioè piene di una miscela composta al 60% da esplosivo chimico T4 e al 40% da tritolo (3). Erano più potenti delle bombe da 500 libbre comuni: adatte, quindi, a colpire bunker e difese in calcestruzzo armato.
I ventotto B-17 del 463° Group destinati alla missione erano al comando del maggiore Emerson Tolle. A settant’anni di distanza, Tolle è un maturo signore che vive nello Stato di Washington e non si sottrae alle domande sul suo passato di pilota (lo si può ascoltare in un video caricato in rete): su 51 missioni cui partecipò, ne guidò 49. Il suo compito consisteva nel pilotare l’aereo di testa, dotato di impianto radar, che avrebbe sganciato le bombe per primo, fungendo così da punto di riferimento per gli altri. All’epoca, il maggiore era un giovane di ventiquattro anni, che esibiva un paio di baffetti ispirati, probabilmente, all’attore Clark Gable.
Gli aerei decollarono poco dopo le 8 di mattina da Foggia. Si disposero in quattro formazioni (box), composte ciascuna da sette apparecchi, ognuna con un aereo-guida, e si unirono allo sciame di 500 bombardieri che si dirigeva verso nord-ovest dalle basi in Puglia: i box disegnavano una sorta di rombo, con il gruppo di Tolle (A) in testa, quello guidato dal capitano Hocken Stoughton (D) più arretrato, gli altri due, affidati ai capitani Loran Dirremberger (C) e John Frazeur (B), rispettivamente, al lato destro e sinistro (4).
I duecentottanta uomini che componevano gli equipaggi erano ventenni o poco più, provenienti da tutti gli Stati dell’Unione e da tutte le componenti etniche. Cognomi slavi, francesi, ispanici, tedeschi. Non mancavano gli italo-americani: Renzo Balestri, Rocco Pellegrini, Anthony Pacitti, Peter De Chellis, Anthony Palumbo, Anthony Ginnetti.
Nel corso dell’estate, le incursioni aeree sulla Liguria si erano sempre più intensificate. Mai come allora gli aerei entrarono nel vissuto quotidiano. Si ripetevano attacchi condotti da cacciabombardieri contro impianti di avvistamento, stazioni ferroviarie, strade. A Spotorno si erano succeduti con ritmo quasi giornaliero. Ricorderà Giuliano Cerutti: “le strade erano ricoperte dai vetri delle finestre infrante dallo spostamento d’aria delle bombe. Le truppe tedesche dirette in Francia (viaggiavano solo di notte con carri, cavalli e cannoni) si accampavano all’alba nelle vie interne del paese per riposare e sfuggire agli attacchi aerei.” (5)
Molti abitanti di Spotorno avevano deciso di rifugiarsi lontano dalla costa, presso parenti, conoscenti o, semplicemente, gente ospitale. Si inoltravano sulle colline boscose sino a Tosse, Magnone o Vezzi, oppure si rintanavano nelle grotte naturali o nelle gallerie ferroviarie. Si mescolavano a famiglie provenienti da Savona, ma anche da Genova o La Spezia. Camillo Sbarbaro, da Genova si era trasferito nella sua casa di Spotorno. Scacciato dai tedeschi, che gliela requisirono, aveva trovato un casolare abbandonato nella località Borsana, presso Magnone: vi si era insediato, trasportando poche masserizie su un carro di buoi. In mezzo alle piante, alle lucciole, al ronzio degli insetti, vi aveva trovato un po’ di pace. Almeno sino al 12 agosto.
Giuliano Cerutti aveva seguito un percorso analogo, riparando con la famiglia propria e degli zii a Tosse. Vi giunsero il 10 agosto e furono alloggiati nella vecchia casa di una signora nota come la Maria de Tusse. Altre famiglie che avevano fatto il viaggio con loro, invece, vennero accolte dai Basadonna a Cà de Badin, più lontano dal centro del borgo.
I ventotto bombardieri, giunti in prossimità della costa, compirono un’ampia virata a forma di cerchio, in modo da portarsi sul punto di inizio (IP Initial Point), distante in genere una trentina di chilometri dall’obiettivo. Allora, intrapresero la manovra d’attacco (bombing run). Molti abitanti del posto, quindi, li videro arrivare dalla terraferma e poté così diffondersi la voce che i bombardieri tornavano da un’incursione su Torino.
Gli allarmi avevano segnalato il pericolo. Purtroppo, erano in molti a sottovalutare i rischi di un bombardamento: a parte chi, morbosamente attratto dallo spettacolo, rimaneva a guardare, la popolazione civile ignorava che i sistemi di puntamento consentivano margini di errore molto ampi e che non si era al sicuro neppure a chilometri di distanza dagli obiettivi. L’apparecchio di puntamento Norden, usato dagli americani – il più preciso, per la tecnologia dell’epoca – permetteva di gettare in media meno della metà del carico di bombe entro un raggio di seicento metri dal bersaglio; le altre, finivano più lontano.
A Tosse esisteva un rifugio improvvisato in prossimità della chiesa. Il parroco, don Flavio Quaglia, e alcuni abitanti vi cercarono riparo: tra di essi, la famiglia di Giuliano Cerutti. Questi ricorda che suo zio, Ottavio Marengo, era privo della vista, per cui fu adagiato su una branda (6). Gli occupanti di casa Basadonne a Cà de Badin, invece, rimasero nell’edificio. Vi entrarono anche altre persone, sorprese dall’incursione mentre tornavano da una sorgente dove si erano rifornite di acqua. Probabilmente, pensavano che, data la posizione isolata, potevano considerarsi al sicuro.
Il cielo era limpido e splendeva il sole. L’aereo di Emerson Tolle compì indisturbato la sua corsa e sganciò il primo grappolo di bombe verso le 11.14 (7). Subito dopo i cannoni della contraerea si misero a sparare: le loro granate esplodevano in aria, senza però fermare i quadrimotori.
L’aereo di Loren Dirremberger fu improvvisamente tradito da un motore – non sappiamo se per un problema tecnico o perché centrato da qualche frammento di granata. Sylvan Levey, il puntatore, riuscì a sganciare soltanto sei bombe sull’obiettivo; le altre sei caddero a casaccio (8). Ora, pur non potendo disporre di assolute certezze, possiamo avanzare l’ipotesi che fossero quelle sei bombe a finire sull’abitato di Tosse.
Giuliano Cerutti ricorda il momento di panico provato dentro il rifugio: “Cadevano sulla nostra testa del terriccio e delle pietre, perché il rifugio non era stato cementato. Col corpo riparai mia mamma, che aveva in braccio il piccolo Marino.” (9)
Due aerei, quelli dei tenenti Lawrence Gault e William Riley, dovettero rinunciare a sganciare le bombe, forse sempre a causa della contraerea: se ne sgraveranno più tardi, in mare aperto. Mentre gli spari della contraerea si spegnevano, i bombardieri concludevano la missione. Sul promontorio si era alzata una grande nube di fumo: sull’aereo-guida dell’ultimo box il navigatore, Ira Whitlock, non riuscì a inquadrare le batterie: sia lui, sia, di conseguenza, gli altri sei aerei che lo seguivano, non poterono sganciare e riportarono indietro il carico (10).
Tutto era durato nemmeno una decina di minuti. Un tempo che a Giuliano Cerutti era sembrato “immobile, incalcolabile”. Quando il rombo dei motori si perse in lontananza e le cicale ricominciarono a frinire, i superstiti uscirono dal rifugio. “Il campanile della chiesa segnava le 11.15”, ricorda Cerutti (11). Una gran nube di polvere si era sollevata da Cà de Badin, avvolgendo Tosse. Tutti si diressero verso la casa distrutta. Considerando la potenza di una bomba da 500 libbre RDX, destinata a farsi strada in strutture di acciaio e cemento, non ci si può stupire se l’impressione fu che il casolare dei Basadonne fosse stato praticamente disintegrato.
Don Flavio Quaglia fu tra coloro che trovarono la forza d’animo di avvicinarsi alle macerie. Seduta su un mucchio di pietre, inspiegabilmente viva, trovarono una bambina di quattro anni, Carmen Ottonelli. “Ho ancora la sensazione del fragore delle bombe cadute e la polvere gialla che scendeva come nebbia”, ricorderà, da adulta (12).
Altre bombe erano cadute nella campagna circostante, ma senza provocare vittime. In una baracca, una donna era ancora stretta al figlio di quattordici anni: entrambi illesi.
I superstiti incominciarono a scavare tra le macerie. Estrassero, ancora vivi, due bambini mutilati alle gambe. Don Quaglia li assistette e vide morire la femminuccia. Altri corpi venivano tirati fuori: il sacerdote impartiva l’estrema unzione ai moribondi. I cadaveri erano trasportati in chiesa. A Tosse non c’era un medico, perciò i feriti non potevano essere soccorsi adeguatamente. Molti morirono nelle ore successive (13).
Gli aerei rientrarono alla base intorno alle 14.20. La contraerea aveva prodotto solo danni trascurabili. Gli equipaggi vennero subito interrogati sull’esito del bombardamento: l’impressione generale era che poche bombe avessero colpito le batterie. L’equipaggio dell’aereo di Charles Grogan riferì di aver notato un’esplosione nel cielo di Savona: in effetti, sopra la città era esploso un quadrimotore B-24 del 461° Group, forse centrato dalla contraerea prima di poter sganciare (14).
L’esame delle fotografie e successivi voli di ricognizione confermarono che i risultati della missione erano stati scarsi. “Le bombe sono cadute sulle pendici boscose a circa un terzo di miglio a est della batteria di cannoni senza apparenti danni di carattere militare. La batteria non è stata danneggiata”, fu il rapporto conclusivo (15).
Dopo l’ondata dei quadrimotori, nel corso della giornata si erano succedute incursioni di cacciabombardieri, che avevano attaccato obiettivi singoli lungo la costa. A Spotorno, subirono danni Villa Ada e l’albergo Regina. L’allarme aveva suonato più volte, per cui solo nel tardo pomeriggio un’autoambulanza poté partire da Savona diretta a Tosse (16). Un bilancio provvisorio parlava di venti vittime. Quello definitivo fu di ventinove, due della quali decedute all’Ospedale San Paolo di Savona. L’elenco finale dei morti poté essere completato, però, molto tempo dopo: ancora il 28 agosto alcuni corpi giacevano sotto le macerie.
I superstiti, come sempre in casi del genere, sarebbero rimasti moralmente segnati per sempre. Carmen Ottonelli soffrì per anni di crisi d’ansia e fobìe nei confronti degli aerei. Don Quaglia, a quanto si racconta, fu ossessionato da ciò che aveva visto sino alla morte, avvenuta prematuramente nel 1949.
Il 13 agosto, vi fu un’altra offensiva aerea. Una terza, il 14. Il 15, finalmente, avvenne lo sbarco in Provenza.
Nel corso delle incursioni, i cacciabombardieri avevano distrutto anche la casa di Camillo Sbarbaro, a Spotorno. Il poeta godeva del vantaggio di riuscire a trarre conforto dalla natura. Del giorno in cui lasciò il suo rifugio per recarsi, in mezzo ai boschi, a constatare la rovina della propria casa, fissò sulla carta un solo ricordo: “odo per la prima volta al sole le pigne scrosciare.”
L’autore desidera ringraziare per la collaborazione: Agostino Alberti, Claudio Devigili, Karen Needles, Giacomo Nervi, Gianluigi Usai.
1. Camillo Sbarbaro, 1940-1945, in Poesie e prose, Milano, Garzanti, 1999, p. 451.
2. National Archives and Record Administration, Washington, USA (d’ora in avanti: NARA), Fifth Wing. Operation order N° 660, Gli altri gruppi impegnati erano: il 97°, cui era stata assegnata la batteria alla base del Monte Castellaro, il 2°, (batterie costiere a Pietra Ligure), il 301° (batterie sulla costa tra Vado e Bergeggi) e il 483° (batterie nella zona Zinola-Fornaci). Il 97° venne però sostituito dal 99°.
3. Uno studio preciso sugli aspetti tecnici dei bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale è stato eseguito da Claudio Devigili, in Guerra aerea sul Trentino 1943-1945. Bombardamenti su Trento e Ponte dei Vodi, Trento, Temi, 2013. Sulle bombe, vedasi pp. 53-68.
4. NARA, Loading lists.
5. Giuliano Cerutti, I bombardamenti di Tosse e di Spotorno, “Il Letimbro”, 5 agosto 1994.
6. Giuliano Cerutti, Bombe e pane nero. I miei ricordi della Seconda Guerra Mondiale a Spotorno, Albenga, Bacchetta, 2010, p. 83.
7. NARA, Mission reports, risposte fornite dai singoli equipaggi subito dopo il rientro alla base: venivano riportate su appositi questionari, uno per aereo. Nel suo, Tolle aveva indicato prima le 11.13, correggendosi poi e facendo scrivere 11.14.
8. NARA, Mission reports, rapporto dell’equipaggio del B-17 numero 251. Gli aerei, dopo aver compiuto la virata in direzione ovest, piegarono poi verso est attaccando la postazione. Presumibilmente, l’aereo sganciò sei bombe, poi ebbe problemi ai motori (failure); il ritardo di pochi istanti bastò a portarlo oltre Voze e a seminare le sei bombe rimaste su Tosse. Dirremberger puntò quindi verso Savona, virò di nuovo e prese la via del ritorno.
9. Cerutti, Bombe e pane nero cit., p. 83.
10. NARA, Mission reports, rapporto dell’equipaggio del B-17 numero 283.
11. Cerutti, I bombardamenti di Tosse e Spotorno, cit.
12. Cerutti, Bombe e pane nero cit., p. 84.
13. Roberto Nicolick, Il terribile bombardamento di Tosse, in nicolickblog.blogspot.it. Ricostruzione che si avvale della memoria lasciata da don Flavio Quaglia.
14. Bruno Chionetti-Riccardo Rosa-Gianluigi Usai, Aerei su Savona. Storie di piloti ed aerei caduti in provincia di Savona, Marvia, Voghera, 2010, pp. 33-42. Cfr., Alberto Magnani, Il bombardamento del 12 agosto 1944 e la strage di via alla Strà, “Quaderni Savonesi”, marzo 2014, pp. 78-79.
15. NARA, Final strike assessment report, 463rd B.G.
16. Rapporto della Prefettura di Savona dalle ore 8 del 12 agosto alle ore 9 del 13 agosto 1944, copia gentilmente fattami pervenire da Gianluigi Usai.
Dall’alto di Magnone, che era stato risparmiato, la gente guardava più giù: le bombe erano arrivate sino a Tosse, un borgo composto da casolari sparsi tra le viti e gli ulivi. Sbarbaro si fece strada tra la folla. “Mi indicano tra le poche case di Tosse, bene in vista da quassù, una che manca;” annoterà, “una fumata al suo posto si sta disperdendo.” Il poeta conosceva bene Tosse: “hanno preso in pieno la casa un po’ in disparte dove abitava Marta.” Marta, la figlia tredicenne dei Basadonne, una ragazzina schiva che Sbarbaro vedeva sempre in cucina, intenta a cucire; “la piccola Marta, schiacciata dal tetto con tanti altri che vi erano rifugiati sotto.” (1)
Le vittime furono in totale ventinove.
La missione 78 del 463° Group
Le incursioni del 12 agosto si collocano nel quadro di una vasta offensiva aerea, rivolta contro le difese costiere delle coste liguri e francesi. L’operazione doveva aprire la strada a uno sbarco delle forze angloamericane, già previsto in Provenza: i bombardamenti avvenivano però in un’area molto più estesa, per impedire ai tedeschi di individuare il reale obiettivo.
Il tratto di costa tra Vado e Pietra Ligure era stato assegnato al 5° Wing dell’Aeronautica dell’Esercito degli Stati Uniti. Il 463° Group, uno dei cinque gruppi in cui si articolava il 5° Wing, doveva bombardare le installazioni situate sul promontorio alle spalle di Noli, tra Voze e il Bric dei Crovi (2). Tutti gli aerei in forza al Wing erano quadrimotori B-17, noti come “Fortezze Volanti”, ciascuno dei quali aveva dieci aviatori di equipaggio e un carico di 12 bombe da 500 libbre (227 kg) RDX, cioè piene di una miscela composta al 60% da esplosivo chimico T4 e al 40% da tritolo (3). Erano più potenti delle bombe da 500 libbre comuni: adatte, quindi, a colpire bunker e difese in calcestruzzo armato.
I ventotto B-17 del 463° Group destinati alla missione erano al comando del maggiore Emerson Tolle. A settant’anni di distanza, Tolle è un maturo signore che vive nello Stato di Washington e non si sottrae alle domande sul suo passato di pilota (lo si può ascoltare in un video caricato in rete): su 51 missioni cui partecipò, ne guidò 49. Il suo compito consisteva nel pilotare l’aereo di testa, dotato di impianto radar, che avrebbe sganciato le bombe per primo, fungendo così da punto di riferimento per gli altri. All’epoca, il maggiore era un giovane di ventiquattro anni, che esibiva un paio di baffetti ispirati, probabilmente, all’attore Clark Gable.
Gli aerei decollarono poco dopo le 8 di mattina da Foggia. Si disposero in quattro formazioni (box), composte ciascuna da sette apparecchi, ognuna con un aereo-guida, e si unirono allo sciame di 500 bombardieri che si dirigeva verso nord-ovest dalle basi in Puglia: i box disegnavano una sorta di rombo, con il gruppo di Tolle (A) in testa, quello guidato dal capitano Hocken Stoughton (D) più arretrato, gli altri due, affidati ai capitani Loran Dirremberger (C) e John Frazeur (B), rispettivamente, al lato destro e sinistro (4).
I duecentottanta uomini che componevano gli equipaggi erano ventenni o poco più, provenienti da tutti gli Stati dell’Unione e da tutte le componenti etniche. Cognomi slavi, francesi, ispanici, tedeschi. Non mancavano gli italo-americani: Renzo Balestri, Rocco Pellegrini, Anthony Pacitti, Peter De Chellis, Anthony Palumbo, Anthony Ginnetti.
Nel corso dell’estate, le incursioni aeree sulla Liguria si erano sempre più intensificate. Mai come allora gli aerei entrarono nel vissuto quotidiano. Si ripetevano attacchi condotti da cacciabombardieri contro impianti di avvistamento, stazioni ferroviarie, strade. A Spotorno si erano succeduti con ritmo quasi giornaliero. Ricorderà Giuliano Cerutti: “le strade erano ricoperte dai vetri delle finestre infrante dallo spostamento d’aria delle bombe. Le truppe tedesche dirette in Francia (viaggiavano solo di notte con carri, cavalli e cannoni) si accampavano all’alba nelle vie interne del paese per riposare e sfuggire agli attacchi aerei.” (5)
Molti abitanti di Spotorno avevano deciso di rifugiarsi lontano dalla costa, presso parenti, conoscenti o, semplicemente, gente ospitale. Si inoltravano sulle colline boscose sino a Tosse, Magnone o Vezzi, oppure si rintanavano nelle grotte naturali o nelle gallerie ferroviarie. Si mescolavano a famiglie provenienti da Savona, ma anche da Genova o La Spezia. Camillo Sbarbaro, da Genova si era trasferito nella sua casa di Spotorno. Scacciato dai tedeschi, che gliela requisirono, aveva trovato un casolare abbandonato nella località Borsana, presso Magnone: vi si era insediato, trasportando poche masserizie su un carro di buoi. In mezzo alle piante, alle lucciole, al ronzio degli insetti, vi aveva trovato un po’ di pace. Almeno sino al 12 agosto.
Giuliano Cerutti aveva seguito un percorso analogo, riparando con la famiglia propria e degli zii a Tosse. Vi giunsero il 10 agosto e furono alloggiati nella vecchia casa di una signora nota come la Maria de Tusse. Altre famiglie che avevano fatto il viaggio con loro, invece, vennero accolte dai Basadonna a Cà de Badin, più lontano dal centro del borgo.
I ventotto bombardieri, giunti in prossimità della costa, compirono un’ampia virata a forma di cerchio, in modo da portarsi sul punto di inizio (IP Initial Point), distante in genere una trentina di chilometri dall’obiettivo. Allora, intrapresero la manovra d’attacco (bombing run). Molti abitanti del posto, quindi, li videro arrivare dalla terraferma e poté così diffondersi la voce che i bombardieri tornavano da un’incursione su Torino.
Gli allarmi avevano segnalato il pericolo. Purtroppo, erano in molti a sottovalutare i rischi di un bombardamento: a parte chi, morbosamente attratto dallo spettacolo, rimaneva a guardare, la popolazione civile ignorava che i sistemi di puntamento consentivano margini di errore molto ampi e che non si era al sicuro neppure a chilometri di distanza dagli obiettivi. L’apparecchio di puntamento Norden, usato dagli americani – il più preciso, per la tecnologia dell’epoca – permetteva di gettare in media meno della metà del carico di bombe entro un raggio di seicento metri dal bersaglio; le altre, finivano più lontano.
A Tosse esisteva un rifugio improvvisato in prossimità della chiesa. Il parroco, don Flavio Quaglia, e alcuni abitanti vi cercarono riparo: tra di essi, la famiglia di Giuliano Cerutti. Questi ricorda che suo zio, Ottavio Marengo, era privo della vista, per cui fu adagiato su una branda (6). Gli occupanti di casa Basadonne a Cà de Badin, invece, rimasero nell’edificio. Vi entrarono anche altre persone, sorprese dall’incursione mentre tornavano da una sorgente dove si erano rifornite di acqua. Probabilmente, pensavano che, data la posizione isolata, potevano considerarsi al sicuro.
Il cielo era limpido e splendeva il sole. L’aereo di Emerson Tolle compì indisturbato la sua corsa e sganciò il primo grappolo di bombe verso le 11.14 (7). Subito dopo i cannoni della contraerea si misero a sparare: le loro granate esplodevano in aria, senza però fermare i quadrimotori.
L’aereo di Loren Dirremberger fu improvvisamente tradito da un motore – non sappiamo se per un problema tecnico o perché centrato da qualche frammento di granata. Sylvan Levey, il puntatore, riuscì a sganciare soltanto sei bombe sull’obiettivo; le altre sei caddero a casaccio (8). Ora, pur non potendo disporre di assolute certezze, possiamo avanzare l’ipotesi che fossero quelle sei bombe a finire sull’abitato di Tosse.
Giuliano Cerutti ricorda il momento di panico provato dentro il rifugio: “Cadevano sulla nostra testa del terriccio e delle pietre, perché il rifugio non era stato cementato. Col corpo riparai mia mamma, che aveva in braccio il piccolo Marino.” (9)
Due aerei, quelli dei tenenti Lawrence Gault e William Riley, dovettero rinunciare a sganciare le bombe, forse sempre a causa della contraerea: se ne sgraveranno più tardi, in mare aperto. Mentre gli spari della contraerea si spegnevano, i bombardieri concludevano la missione. Sul promontorio si era alzata una grande nube di fumo: sull’aereo-guida dell’ultimo box il navigatore, Ira Whitlock, non riuscì a inquadrare le batterie: sia lui, sia, di conseguenza, gli altri sei aerei che lo seguivano, non poterono sganciare e riportarono indietro il carico (10).
Tutto era durato nemmeno una decina di minuti. Un tempo che a Giuliano Cerutti era sembrato “immobile, incalcolabile”. Quando il rombo dei motori si perse in lontananza e le cicale ricominciarono a frinire, i superstiti uscirono dal rifugio. “Il campanile della chiesa segnava le 11.15”, ricorda Cerutti (11). Una gran nube di polvere si era sollevata da Cà de Badin, avvolgendo Tosse. Tutti si diressero verso la casa distrutta. Considerando la potenza di una bomba da 500 libbre RDX, destinata a farsi strada in strutture di acciaio e cemento, non ci si può stupire se l’impressione fu che il casolare dei Basadonne fosse stato praticamente disintegrato.
Don Flavio Quaglia fu tra coloro che trovarono la forza d’animo di avvicinarsi alle macerie. Seduta su un mucchio di pietre, inspiegabilmente viva, trovarono una bambina di quattro anni, Carmen Ottonelli. “Ho ancora la sensazione del fragore delle bombe cadute e la polvere gialla che scendeva come nebbia”, ricorderà, da adulta (12).
Altre bombe erano cadute nella campagna circostante, ma senza provocare vittime. In una baracca, una donna era ancora stretta al figlio di quattordici anni: entrambi illesi.
I superstiti incominciarono a scavare tra le macerie. Estrassero, ancora vivi, due bambini mutilati alle gambe. Don Quaglia li assistette e vide morire la femminuccia. Altri corpi venivano tirati fuori: il sacerdote impartiva l’estrema unzione ai moribondi. I cadaveri erano trasportati in chiesa. A Tosse non c’era un medico, perciò i feriti non potevano essere soccorsi adeguatamente. Molti morirono nelle ore successive (13).
Gli aerei rientrarono alla base intorno alle 14.20. La contraerea aveva prodotto solo danni trascurabili. Gli equipaggi vennero subito interrogati sull’esito del bombardamento: l’impressione generale era che poche bombe avessero colpito le batterie. L’equipaggio dell’aereo di Charles Grogan riferì di aver notato un’esplosione nel cielo di Savona: in effetti, sopra la città era esploso un quadrimotore B-24 del 461° Group, forse centrato dalla contraerea prima di poter sganciare (14).
L’esame delle fotografie e successivi voli di ricognizione confermarono che i risultati della missione erano stati scarsi. “Le bombe sono cadute sulle pendici boscose a circa un terzo di miglio a est della batteria di cannoni senza apparenti danni di carattere militare. La batteria non è stata danneggiata”, fu il rapporto conclusivo (15).
Dopo l’ondata dei quadrimotori, nel corso della giornata si erano succedute incursioni di cacciabombardieri, che avevano attaccato obiettivi singoli lungo la costa. A Spotorno, subirono danni Villa Ada e l’albergo Regina. L’allarme aveva suonato più volte, per cui solo nel tardo pomeriggio un’autoambulanza poté partire da Savona diretta a Tosse (16). Un bilancio provvisorio parlava di venti vittime. Quello definitivo fu di ventinove, due della quali decedute all’Ospedale San Paolo di Savona. L’elenco finale dei morti poté essere completato, però, molto tempo dopo: ancora il 28 agosto alcuni corpi giacevano sotto le macerie.
I superstiti, come sempre in casi del genere, sarebbero rimasti moralmente segnati per sempre. Carmen Ottonelli soffrì per anni di crisi d’ansia e fobìe nei confronti degli aerei. Don Quaglia, a quanto si racconta, fu ossessionato da ciò che aveva visto sino alla morte, avvenuta prematuramente nel 1949.
Il 13 agosto, vi fu un’altra offensiva aerea. Una terza, il 14. Il 15, finalmente, avvenne lo sbarco in Provenza.
Nel corso delle incursioni, i cacciabombardieri avevano distrutto anche la casa di Camillo Sbarbaro, a Spotorno. Il poeta godeva del vantaggio di riuscire a trarre conforto dalla natura. Del giorno in cui lasciò il suo rifugio per recarsi, in mezzo ai boschi, a constatare la rovina della propria casa, fissò sulla carta un solo ricordo: “odo per la prima volta al sole le pigne scrosciare.”
L’autore desidera ringraziare per la collaborazione: Agostino Alberti, Claudio Devigili, Karen Needles, Giacomo Nervi, Gianluigi Usai.
1. Camillo Sbarbaro, 1940-1945, in Poesie e prose, Milano, Garzanti, 1999, p. 451.
2. National Archives and Record Administration, Washington, USA (d’ora in avanti: NARA), Fifth Wing. Operation order N° 660, Gli altri gruppi impegnati erano: il 97°, cui era stata assegnata la batteria alla base del Monte Castellaro, il 2°, (batterie costiere a Pietra Ligure), il 301° (batterie sulla costa tra Vado e Bergeggi) e il 483° (batterie nella zona Zinola-Fornaci). Il 97° venne però sostituito dal 99°.
3. Uno studio preciso sugli aspetti tecnici dei bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale è stato eseguito da Claudio Devigili, in Guerra aerea sul Trentino 1943-1945. Bombardamenti su Trento e Ponte dei Vodi, Trento, Temi, 2013. Sulle bombe, vedasi pp. 53-68.
4. NARA, Loading lists.
5. Giuliano Cerutti, I bombardamenti di Tosse e di Spotorno, “Il Letimbro”, 5 agosto 1994.
6. Giuliano Cerutti, Bombe e pane nero. I miei ricordi della Seconda Guerra Mondiale a Spotorno, Albenga, Bacchetta, 2010, p. 83.
7. NARA, Mission reports, risposte fornite dai singoli equipaggi subito dopo il rientro alla base: venivano riportate su appositi questionari, uno per aereo. Nel suo, Tolle aveva indicato prima le 11.13, correggendosi poi e facendo scrivere 11.14.
8. NARA, Mission reports, rapporto dell’equipaggio del B-17 numero 251. Gli aerei, dopo aver compiuto la virata in direzione ovest, piegarono poi verso est attaccando la postazione. Presumibilmente, l’aereo sganciò sei bombe, poi ebbe problemi ai motori (failure); il ritardo di pochi istanti bastò a portarlo oltre Voze e a seminare le sei bombe rimaste su Tosse. Dirremberger puntò quindi verso Savona, virò di nuovo e prese la via del ritorno.
9. Cerutti, Bombe e pane nero cit., p. 83.
10. NARA, Mission reports, rapporto dell’equipaggio del B-17 numero 283.
11. Cerutti, I bombardamenti di Tosse e Spotorno, cit.
12. Cerutti, Bombe e pane nero cit., p. 84.
13. Roberto Nicolick, Il terribile bombardamento di Tosse, in nicolickblog.blogspot.it. Ricostruzione che si avvale della memoria lasciata da don Flavio Quaglia.
14. Bruno Chionetti-Riccardo Rosa-Gianluigi Usai, Aerei su Savona. Storie di piloti ed aerei caduti in provincia di Savona, Marvia, Voghera, 2010, pp. 33-42. Cfr., Alberto Magnani, Il bombardamento del 12 agosto 1944 e la strage di via alla Strà, “Quaderni Savonesi”, marzo 2014, pp. 78-79.
15. NARA, Final strike assessment report, 463rd B.G.
16. Rapporto della Prefettura di Savona dalle ore 8 del 12 agosto alle ore 9 del 13 agosto 1944, copia gentilmente fattami pervenire da Gianluigi Usai.
Emerson Tolle, il comandante di 26 anni che guidò i 28 bombardieri...
Emerson Tolle, 97, of Wenatchee, passed away on Thursday, December 11, 2014. He was born on August 6, 1917 near Maysville, Kentucky (oldest of seventeen children) to Gus Linn and Iva (Carpenter) Tolle. His father was a farmer and his main crops were tobacco, corn and hogs. Emerson worked with JC Penney as a shoe salesman in Maysville, Kentucky. He enlisted in the Army in August 1941 just before being drafted. He completed basic infantry training at Camp Roberts in California just prior to the attack on Pearl Harbor. He passed the tests at March Field, California for Army Air Force pilot training in January 1942 and graduated from flight school in August 1942 as a Pilot and Second Lieutenant. He completed pilot training for the B-17 Bomber in Spokane, and then transferred to Walla Walla to help train B-17 combat crews. While in Walla Walla he fell in love with June Reever. They were married on June 27, 1943. June passed away on May 12, 2013 after almost seventy years of a great marriage. In August of 1943 he was transferred to the new 463rd Heavy Bomb Group as Assistant Group Operations Officer to help organize and train the group for overseas assignment. In early 1944 the 463rd “Bomb Group was sent to the Fifteenth Air Force in Northern Italy. Prior to departure from the U.S. he was promoted to Captain and as Squadron Commander of the 774th Squadron. In May of 1944 he was promoted to Major. In January of 1942 he was a private in the infantry, two and a half years later in June 1944 he was promoted to Major in the Army Air Corp.After completing his combat tour of fifty one missions over Europe he returned to the U.S., learned to fly the B-29 Bomber and became the Director of Flight Training for B-29 combat crews at Kirkland Field in Albuquerque, New Mexico. During his combat tour he was awarded the: Silver Star; Distinguished Flying Cross; Air Medal (4); Croix De Guerre with Palm; American Defense Medal; Southern France Star; Theatre Ribbon with Italian Star; Oversea Service. (Tratto da: www.jonesjonesbetts.com)