Dalla Wehrmacht alle formazioni partigiane piacentine
Facevano parte dell’esercito tedesco la maggior parte dei militari di nazionalità straniera che fra il 1943 e il 1945, in provincia di Piacenza, passarono dalla parte dei partigiani. 40 i caduti fra quei partigiani di origine straniera. (di Romano Repetti)
Non tutti i militari delle divisioni tedesche che invasero l’Italia durante la Seconda guerra mondiale erano dei nazisti o uomini che comunque condividessero l’obiettivo hitleriano di conquistare e sottoporre al dominio della Germania le altre nazioni dell’Europa. Tanto meno si riconoscevano in tale obiettivo i soldati di altre nazionalità inquadrati di forza in reparti della Wehrmacht dopo che il loro Paese era stato occupato dalle forze armate tedesche. Di ciò se ne è avuta una notevole manifestazione proprio in provincia di Piacenza, con la diserzione dalla Wehrmacht di centinaia di militari ed il loro passaggio nelle file delle formazioni partigiane piacentine, nell’ambito delle quali diversi si distinsero non solo per la loro abilità ed esperienza militare, ma anche per determinazione nei combattimenti.
A premessa del caso piacentino va tenuto presente che nei Paesi europei la Seconda guerra mondiale ed in particolare le occupazioni tedesche furono caratterizzate anche dallo spostamento di molti milioni di uomini da un territorio nazionale ad un altro, in qualità di militari catturati e custoditi nei campi di prigionia, di militari invasori, di ebrei e oppositori politici del nazifascismo deportati nei campi di concentramento, di lavoratori deportati e sottoposti al lavoro coatto. Ciò generò anche uno straordinario fenomeno di compartecipazione plurinazionale ai movimenti partigiani di resistenza e liberazione. Anche alcune migliaia di ex soldati italiani ed un buon numero di civili antifascisti italiani combatterono all’estero contro le forze armate hitleriane, in Jugoslavia, in Grecia, in Albania ed in Francia. Ma altrettanto fecero appunto in Italia cittadini di altri paesi, militari in specifico, che le vicende della guerra avevano portato nel nostro Paese.
In provincia di Piacenza aderirono al movimento partigiano locale esponenti di ben dieci paesi esteri. Il fenomeno non è stato particolarmente trattato dai pur numerosi libri pubblicati sulla Resistenza piacentina, ma la figura, l’abilità tattica, il coraggio, l’umanità, il sacrificio della vita di questi compagni stranieri è stato spesso presente nei racconti verbali dei singoli ex partigiani piacentini che con essi avevano condiviso sacrifici, rischi e combattimenti. Questo straordinario fenomeno è stato infine portato alla luce nel suo complesso da una specifica ricerca, sui documenti conservati nell’archivio dell’Anpi provinciale piacentino e su altre fonti, compiuta dall’autore del presente testo in funzione di una convegno pubblico a Piacenza del novembre del 2011, ricerca poi rielaborata e inserita nel volume “Comandanti partigiani giunti da lontano” (di G.L. Cavanna e R. Repetti, edito nel 2018), nel quale sono state anche, ed in particolare, ricostruite le biografie dei sette comandanti di origine straniera presenti nel movimento partigiano piacentino e la storia delle formazioni combattenti di cui furono al comando.
A premessa del caso piacentino va tenuto presente che nei Paesi europei la Seconda guerra mondiale ed in particolare le occupazioni tedesche furono caratterizzate anche dallo spostamento di molti milioni di uomini da un territorio nazionale ad un altro, in qualità di militari catturati e custoditi nei campi di prigionia, di militari invasori, di ebrei e oppositori politici del nazifascismo deportati nei campi di concentramento, di lavoratori deportati e sottoposti al lavoro coatto. Ciò generò anche uno straordinario fenomeno di compartecipazione plurinazionale ai movimenti partigiani di resistenza e liberazione. Anche alcune migliaia di ex soldati italiani ed un buon numero di civili antifascisti italiani combatterono all’estero contro le forze armate hitleriane, in Jugoslavia, in Grecia, in Albania ed in Francia. Ma altrettanto fecero appunto in Italia cittadini di altri paesi, militari in specifico, che le vicende della guerra avevano portato nel nostro Paese.
In provincia di Piacenza aderirono al movimento partigiano locale esponenti di ben dieci paesi esteri. Il fenomeno non è stato particolarmente trattato dai pur numerosi libri pubblicati sulla Resistenza piacentina, ma la figura, l’abilità tattica, il coraggio, l’umanità, il sacrificio della vita di questi compagni stranieri è stato spesso presente nei racconti verbali dei singoli ex partigiani piacentini che con essi avevano condiviso sacrifici, rischi e combattimenti. Questo straordinario fenomeno è stato infine portato alla luce nel suo complesso da una specifica ricerca, sui documenti conservati nell’archivio dell’Anpi provinciale piacentino e su altre fonti, compiuta dall’autore del presente testo in funzione di una convegno pubblico a Piacenza del novembre del 2011, ricerca poi rielaborata e inserita nel volume “Comandanti partigiani giunti da lontano” (di G.L. Cavanna e R. Repetti, edito nel 2018), nel quale sono state anche, ed in particolare, ricostruite le biografie dei sette comandanti di origine straniera presenti nel movimento partigiano piacentino e la storia delle formazioni combattenti di cui furono al comando.
1. Militari ex prigionieri o giunti in Italia con i reparti della Wehrmacht
Gli stranieri, quasi tutti militari, che si inserirono nelle formazioni partigiane piacentine o erano militari appartenenti agli eserciti di Paesi contro cui l’Italia mussoliniana era scesa in guerra, catturati nei primi tre anni del conflitto ed internati nei campi di prigionia attivati nel piacentino e nella vicina provincia di Parma, prigionieri che l’8/9 settembre ’43 riuscirono a fuggire prima dell’arrivo delle forze tedesche che li avrebbero trasferiti in Germania, o erano uomini inseriti nei reparti della Wehrmacht presenti stabilmente in provincia di Piacenza o qui impiegati temporaneamente per i grandi rastrellamenti antipartigiani ed il succesivo presidio del territorio.
I già prigionieri in Italia di cui si è trovato documentazione dell’adesione al movimento partigiano piacentino furono 42 jugoslavi, 14 inglesi o del Commonwealth britannico, 7 greci e 5 francesi. E’ da aggiungere che da questi sorsero sei dei sette comandanti di formazione partigiana di cui si è accennato: lo sloveno Gasper Camernik, noto come “Gaspare”, che costituì e guidò contro le forze nazifasciste la prima banda partigiana della media-alta Val Trebbia; Andreas Spanoyannis, noto come ‘Il Greco”, il quale pure costituì e diresse una delle prime formazioni partigiane, nel territorio fra il comune piacentino di Pecorara e quello pavese di Zavattarello; Milic Dusan, noto come “Montenegrino”, che fu il capo della Brigata “Stella Rossa” operante in Val Nure; il già ufficiale inglese Archibald Donald Mackenzie, noto come “Capitano Mack”, vicecomandante e stratega della suddetta Brigata “Stella Rossa”; Joven Grcavaz, noto come “Giovanni lo Slavo”, che comandò la “38a Brigata Garibaldi” operante in Val D’Arda.
A loro volta, i militari dalla Wermacht dei quali è documentato il passaggio, in provincia di Piacenza, dalla parte dei partigiani, furono in numero veramente sorprendente: ben 590. Precisiamo subito però che per circa 500 di questi si trattava di uomini provenienti dalle regioni meridionali dell’allora Unione Sovietica, là reclutati e inquadrati nell’esercito tedesco durante la fase di avanzata e occupazione hitleriana di quei territori; trasferiti poi in Italia e impiegati particolarmente contro il movimento partigiano. Esporremo più avanti alcuni dettagli di questa che fu la componente straniera più rilevante nell’ambito delle formazioni partigiane piacentine.
I già prigionieri in Italia di cui si è trovato documentazione dell’adesione al movimento partigiano piacentino furono 42 jugoslavi, 14 inglesi o del Commonwealth britannico, 7 greci e 5 francesi. E’ da aggiungere che da questi sorsero sei dei sette comandanti di formazione partigiana di cui si è accennato: lo sloveno Gasper Camernik, noto come “Gaspare”, che costituì e guidò contro le forze nazifasciste la prima banda partigiana della media-alta Val Trebbia; Andreas Spanoyannis, noto come ‘Il Greco”, il quale pure costituì e diresse una delle prime formazioni partigiane, nel territorio fra il comune piacentino di Pecorara e quello pavese di Zavattarello; Milic Dusan, noto come “Montenegrino”, che fu il capo della Brigata “Stella Rossa” operante in Val Nure; il già ufficiale inglese Archibald Donald Mackenzie, noto come “Capitano Mack”, vicecomandante e stratega della suddetta Brigata “Stella Rossa”; Joven Grcavaz, noto come “Giovanni lo Slavo”, che comandò la “38a Brigata Garibaldi” operante in Val D’Arda.
A loro volta, i militari dalla Wermacht dei quali è documentato il passaggio, in provincia di Piacenza, dalla parte dei partigiani, furono in numero veramente sorprendente: ben 590. Precisiamo subito però che per circa 500 di questi si trattava di uomini provenienti dalle regioni meridionali dell’allora Unione Sovietica, là reclutati e inquadrati nell’esercito tedesco durante la fase di avanzata e occupazione hitleriana di quei territori; trasferiti poi in Italia e impiegati particolarmente contro il movimento partigiano. Esporremo più avanti alcuni dettagli di questa che fu la componente straniera più rilevante nell’ambito delle formazioni partigiane piacentine.
2. 57 i militari della Grande Germania hitleriana passati fra i partigiani
Comunque, dopo quelli originari dall’Urss, i militari più numerosi che in provincia di Piacenza passarono in tempi diversi fra i partigiani furono quelli appartenenti proprio alla “Grande Germania” nazista. E’ dai registri stessi delle formazioni partigiane piacentine che si è potuto costruire un elenco di almeno 57 militari del III Reich che, ad un certo punto, hanno scelto di combattere con i nostri partigiani per porre fine al nazifascismo e alla guerra scatenata da Hitler. E nel 75% dei casi non si trattava di soldati provenienti da paesi di lingua tedesca che erano stati annessi alla Germania, come si era portati a pensare, in particolare dall’Austria, ma provenienti proprio dalla Germania.
Diversi si unirono ai partigiani negli ultimi mesi della guerra, ma vi fu chi lo fece già durante l’estate del ’44. Emblematico il caso del sottotenente Otto Stein, di Amburgo, capo equipaggio di un automezzo blindato. Verso la fine di settembre, con il compagno Albert Russkowski, tedesco-polacco di Danzica, ed il terzo componente dell’equipaggio, lasciò la sua macchina da guerra e raggiunse in Val Nure un gruppo partigiano al comando di Ludovico Muratori. Otto, un ragazzone biondo, era un deciso antinazista, come ha ricordato l’ex partigiano Renato Cravedi: fu poi ferito mortalmente dallo scoppio accidentale di una bomba anticarro, il 12 ottobre del 1944, mentre la squadra partigiana di cui faceva parte teneva sotto controllo, da una collina sovrastante, il presidio militare nazifascista di Perino in Val Trebbia.
Oltre allo Stein, passò fra i partigiani anche un altro sottotenente tedesco, Otto Bechmann, nonché il sottufficiale maresciallo Werner Optz.
Fra i militari tedeschi vi fu anche il fenomeno di chi, dopo essere stato fatto prigioniero dai partigiani, decise, pur senza costrizioni, di unirsi a questi. Le memorie di diversi partigiani piacentini concordano nell’affermare che, più in generale, i militari tedeschi fatti prigionieri non solo non facevano tentativi di fuga ma erano spesso decisamente contrari ad essere restituiti all’esercito germanico attraverso scambi con partigiani catturati dalle forze nazifasciste. E diversi di questi prigionieri anche quando non diventavano partigiani combattenti si prestavano volentieri in servizi di supporto di cui erano abili, ad esempio quello di riparatori meccanici. A dire insomma che anche i soldati delle Wehrmacht, usciti dagli ingranaggi del sistema hitleriano, tornavano ad essere uomini con i sentimenti e i desideri comuni agli altri uomini. E ciò, a maggior ragione, sottolinea quanto fosse innaturale, mostruoso, il regime nazista che si era andato edificando attorno a Hitler.
Diversi si unirono ai partigiani negli ultimi mesi della guerra, ma vi fu chi lo fece già durante l’estate del ’44. Emblematico il caso del sottotenente Otto Stein, di Amburgo, capo equipaggio di un automezzo blindato. Verso la fine di settembre, con il compagno Albert Russkowski, tedesco-polacco di Danzica, ed il terzo componente dell’equipaggio, lasciò la sua macchina da guerra e raggiunse in Val Nure un gruppo partigiano al comando di Ludovico Muratori. Otto, un ragazzone biondo, era un deciso antinazista, come ha ricordato l’ex partigiano Renato Cravedi: fu poi ferito mortalmente dallo scoppio accidentale di una bomba anticarro, il 12 ottobre del 1944, mentre la squadra partigiana di cui faceva parte teneva sotto controllo, da una collina sovrastante, il presidio militare nazifascista di Perino in Val Trebbia.
Oltre allo Stein, passò fra i partigiani anche un altro sottotenente tedesco, Otto Bechmann, nonché il sottufficiale maresciallo Werner Optz.
Fra i militari tedeschi vi fu anche il fenomeno di chi, dopo essere stato fatto prigioniero dai partigiani, decise, pur senza costrizioni, di unirsi a questi. Le memorie di diversi partigiani piacentini concordano nell’affermare che, più in generale, i militari tedeschi fatti prigionieri non solo non facevano tentativi di fuga ma erano spesso decisamente contrari ad essere restituiti all’esercito germanico attraverso scambi con partigiani catturati dalle forze nazifasciste. E diversi di questi prigionieri anche quando non diventavano partigiani combattenti si prestavano volentieri in servizi di supporto di cui erano abili, ad esempio quello di riparatori meccanici. A dire insomma che anche i soldati delle Wehrmacht, usciti dagli ingranaggi del sistema hitleriano, tornavano ad essere uomini con i sentimenti e i desideri comuni agli altri uomini. E ciò, a maggior ragione, sottolinea quanto fosse innaturale, mostruoso, il regime nazista che si era andato edificando attorno a Hitler.
3. Circa 500 uomini dall’Urss alla Wehrmacht e infine nelle file partigiane
Dopo l’otto settembre del 1943 a raggiungere il territorio appenninico piacentino e più tardi le prime formazioni partigiane che vi si erano costituite, oltre a militari slavi, dell’impero britannico e greci, provenienti dai campi italiani per prigionieri, furono presto anche alcuni russi, militari russi fatti prigionieri nel loro Paese e portati in Italia, a partire già dal 1942, da reparti dell’esercito germanico che qui li utilizzavano per lavori edili e per altri servizi. La loro presenza aumentò dopo l’8 settembre 1943 con l’aumento delle truppe germaniche in italia.
Era russo, ricordato dai compagni come “Nich”, il primo caduto partigiano in Val Tidone, l’11 maggio 1944, nel corso di un attacco della “Banda Piccoli” alla caserma della GNR di Pianello. Dal registro della “Brigata Caio” risulta che alcuni russi si sarebbero uniti a “Istriano” già nel marzo 1944 quando il futuro comandante di brigata era ancora nell’alta Val Ceno al comando di un distaccamento partigiano parmense; altri ex soldati sovietici raggiunsero la sua formazione nei mesi di maggio e di luglio in alta Val Nure.
Più in generale è nella seconda parte dell’estate del 1944 che le formazioni partigiane piacentine vennero via via raggiunte da piccoli gruppi di russi fuggiti da reparti tedeschi: i successi che i partigiani stavano conseguendo unitamente al fatto che anche in Unione sovietica la guerra cominciava ad andare male per gli hitleriani, rappresentavano evidentemente un incoraggiamento a fuggire dalle forze armate tedesche e ad unirsi a chi in Italia le combatteva. Ad esempio, a fine agosto ‘44, i partigiani piacentini Piero Cella e Angelo Scacchi ne accompagnarono 5 o 6 da Sant’Antonio fino al comando divisionale di “Fausto”, a La Sanese. L’ex partigiano Emilio Pecorari di Monticelli d’Ongina ha ricordato l’arrivo, in settembre, di un altro gruppo in Val d’Arda nella formazione di “Giovanni lo Slavo”.
Il grande fenomeno del passaggio con i partigiani, di elementi provenienti dalle regioni meridionali dell’Urss ma inquadrati nella Wehrmacht, si verificò però dopo l’arrivo nel territorio piacentino, per il sanguinoso rastrellamento antipartigiano dell’inverno 1944-’45, della 162a Infanterie-Division “Turkistan”, costituita da ufficiali tedeschi e da soldati prevalentemente turkmeni, kirkisi e kasaki, quei soldati che per i loro tratti somatici vennero nel piacentino identificati come “mongoli” e che erano accompagnati da una fama di saccheggio e violenza che generava terrore nella popolazione.
Però anche i soldati della “Turchistan”, trascinati dai loro lontani paesi in Italia, erano vittime della follia nazista. E certamente ne erano anche consapevoli. Tanto è vero che anch’essi, appena ne intravidero la possibilità, in grande numero, e con tutti i rischi, abbandonarono l’esercito tedesco per passare con i partigiani.
E’ documentato che i primi gruppi disertarono non molto tempo dopo il loro arrivo nel territorio piacentino. Già all’inizio del mese di dicembre 1944, mentre i reparti della Turkistan rastrellavano la Val Tidone, la Val Trebbia e la bassa e media Val Nure, decine di questi soldati andavano a raggiungere i partigiani della Val d’Arda non ancora investiti e travolti dal rastrellamento, e, all’inizio del successivo mese di gennaio furono anch’essi impiegati per tentare di arginare l’attacco nazi-fascista a quella vallata, circostanza in cui fra i caduti di parte partigiana vi fu anche quella del quarantunenne ex caporale tedesco-lsaziano Jakob Hoch.
Alcuni altri di quei soldati con cittadinanza sovietica già da dicembre si erano uniti alla Brigata partigiana di “Istriano” in Val d’Aveto. Nell’alto territorio di Piozzano, in Val Tidone, sempre in dicembre, è Lino Vescovi, grande figura di giovane partigiano chiamato e passato alla storia come il “Valoroso”, ad essere raggiunto a inizio di dicembre in una cascina di Damessano da due successive copie di “mongoli” con il proprio armamento, nonostante che dopo il rastrellamento, che aveva spazzato via la divisione partigiana di Fausto Cossu, Valoroso si trovasse lì con soli 3 o 4 compagni, nascosto e braccato.
E’ vero peraltro che il maggior numero dei soldati della Turkistan passarono fra i partigiani a partire dal mese di febbraio 1945, ma è anche vero che solo in quel mese avvenne la ricostruzione delle brigate partigiane in tutte le vallate e la loro ripresa di controllo del territorio appenninico. Il passaggio continuò in marzo e a quel punto indubbiamente gli arrivi fra i partigiani dei soldati della Turkistan fu più che frutto di una scelta di lotta contro i nazifascisti piuttosto la ricerca di protezione nei confronti dei militari germanici che avevano deciso di trasferire dal piacentino ed utilizzare la Divisione in situazioni di maggior rischio per la vita di quei soldati.
Nell’archivio dell’Anpi di Piacenza è conservato l’elenco di 484 nominativi di questi cittadini sovietici/soldati della Wehrmacht che conclusero la guerra nelle file partigiane. Erano persone che al loro rimpatrio in Urss temevano a ragione di essere sottoposti a severe punizioni, fino alla fucilazione, per essere stati collaborazionisti del nemico. Ci tenevano quindi molto a dimostrare che invece, giunti in Italia, appena avevano potuto farlo si erano uniti anche loro ai combattenti partigiani contro le forze nazifasciste.
Era russo, ricordato dai compagni come “Nich”, il primo caduto partigiano in Val Tidone, l’11 maggio 1944, nel corso di un attacco della “Banda Piccoli” alla caserma della GNR di Pianello. Dal registro della “Brigata Caio” risulta che alcuni russi si sarebbero uniti a “Istriano” già nel marzo 1944 quando il futuro comandante di brigata era ancora nell’alta Val Ceno al comando di un distaccamento partigiano parmense; altri ex soldati sovietici raggiunsero la sua formazione nei mesi di maggio e di luglio in alta Val Nure.
Più in generale è nella seconda parte dell’estate del 1944 che le formazioni partigiane piacentine vennero via via raggiunte da piccoli gruppi di russi fuggiti da reparti tedeschi: i successi che i partigiani stavano conseguendo unitamente al fatto che anche in Unione sovietica la guerra cominciava ad andare male per gli hitleriani, rappresentavano evidentemente un incoraggiamento a fuggire dalle forze armate tedesche e ad unirsi a chi in Italia le combatteva. Ad esempio, a fine agosto ‘44, i partigiani piacentini Piero Cella e Angelo Scacchi ne accompagnarono 5 o 6 da Sant’Antonio fino al comando divisionale di “Fausto”, a La Sanese. L’ex partigiano Emilio Pecorari di Monticelli d’Ongina ha ricordato l’arrivo, in settembre, di un altro gruppo in Val d’Arda nella formazione di “Giovanni lo Slavo”.
Il grande fenomeno del passaggio con i partigiani, di elementi provenienti dalle regioni meridionali dell’Urss ma inquadrati nella Wehrmacht, si verificò però dopo l’arrivo nel territorio piacentino, per il sanguinoso rastrellamento antipartigiano dell’inverno 1944-’45, della 162a Infanterie-Division “Turkistan”, costituita da ufficiali tedeschi e da soldati prevalentemente turkmeni, kirkisi e kasaki, quei soldati che per i loro tratti somatici vennero nel piacentino identificati come “mongoli” e che erano accompagnati da una fama di saccheggio e violenza che generava terrore nella popolazione.
Però anche i soldati della “Turchistan”, trascinati dai loro lontani paesi in Italia, erano vittime della follia nazista. E certamente ne erano anche consapevoli. Tanto è vero che anch’essi, appena ne intravidero la possibilità, in grande numero, e con tutti i rischi, abbandonarono l’esercito tedesco per passare con i partigiani.
E’ documentato che i primi gruppi disertarono non molto tempo dopo il loro arrivo nel territorio piacentino. Già all’inizio del mese di dicembre 1944, mentre i reparti della Turkistan rastrellavano la Val Tidone, la Val Trebbia e la bassa e media Val Nure, decine di questi soldati andavano a raggiungere i partigiani della Val d’Arda non ancora investiti e travolti dal rastrellamento, e, all’inizio del successivo mese di gennaio furono anch’essi impiegati per tentare di arginare l’attacco nazi-fascista a quella vallata, circostanza in cui fra i caduti di parte partigiana vi fu anche quella del quarantunenne ex caporale tedesco-lsaziano Jakob Hoch.
Alcuni altri di quei soldati con cittadinanza sovietica già da dicembre si erano uniti alla Brigata partigiana di “Istriano” in Val d’Aveto. Nell’alto territorio di Piozzano, in Val Tidone, sempre in dicembre, è Lino Vescovi, grande figura di giovane partigiano chiamato e passato alla storia come il “Valoroso”, ad essere raggiunto a inizio di dicembre in una cascina di Damessano da due successive copie di “mongoli” con il proprio armamento, nonostante che dopo il rastrellamento, che aveva spazzato via la divisione partigiana di Fausto Cossu, Valoroso si trovasse lì con soli 3 o 4 compagni, nascosto e braccato.
E’ vero peraltro che il maggior numero dei soldati della Turkistan passarono fra i partigiani a partire dal mese di febbraio 1945, ma è anche vero che solo in quel mese avvenne la ricostruzione delle brigate partigiane in tutte le vallate e la loro ripresa di controllo del territorio appenninico. Il passaggio continuò in marzo e a quel punto indubbiamente gli arrivi fra i partigiani dei soldati della Turkistan fu più che frutto di una scelta di lotta contro i nazifascisti piuttosto la ricerca di protezione nei confronti dei militari germanici che avevano deciso di trasferire dal piacentino ed utilizzare la Divisione in situazioni di maggior rischio per la vita di quei soldati.
Nell’archivio dell’Anpi di Piacenza è conservato l’elenco di 484 nominativi di questi cittadini sovietici/soldati della Wehrmacht che conclusero la guerra nelle file partigiane. Erano persone che al loro rimpatrio in Urss temevano a ragione di essere sottoposti a severe punizioni, fino alla fucilazione, per essere stati collaborazionisti del nemico. Ci tenevano quindi molto a dimostrare che invece, giunti in Italia, appena avevano potuto farlo si erano uniti anche loro ai combattenti partigiani contro le forze nazifasciste.
Dopo la Liberazione venne attivato a anche a Piacenza un “Ufficio Patrioti” che aveva fra l’altro il compito di rilasciare, a coloro che avevano contribuito alla lotta armata contro i nazifascisti, il cosiddetto “Diploma di Alexander”, dal nome del maresciallo inglese comandante supremo alleato delle forze nel Mediterraneo. Diploma in cui era scritto:
“Nel nome dei governi e dei popoli delle Nazioni Unite, ringraziamo (cognome e nome) per aver combattuto il nemico sui campi di battaglia, militando nei ranghi dei patrioti. I possessori di questo attestato saranno acclamati come patrioti che hanno combattuto per l’onore e la libertà.”
I diplomi, oltre a riportare la firma a stampa di Harold Alexander, dovevano essere firmati nominativamente dal capo della formazione a cui il partigiano aveva appartenuto e da un ufficiale anglo-americano. Potevano essere considerati partigiani combattenti, meritevole di questo attestato di patriota, coloro che avevano militato almeno tre mesi in una formazione partigiana e contribuito attivamente alla lotta contro il nazifascismo, o anche meno di tre mesi se erano stati feriti in combattimento, o caduti.
Quei 484 uomini tenevano quindi molto a ricevere il diploma di combattente contro le forze nazifasciste, ma solo una minoranza di essi era passata fra i partigiani almeno tre mesi prima della Liberazione. Non era quindi scontato il rilascio del certificato di patriota a tutti. Significativa al riguardo è la lettera, in data 26 maggio 1945, a firma del loro portavoce “Mastan”, inviata al colonnnelo Marzioli che a quella data era ancora formalmente il Capo della XIII zona partigiana, quella piacentina, lettera in cui era fra l’altro scritto:
“Signor colonnello, la invincibile URSS ma anche le nostre famiglie ci aspettano: noi ci troviamo in terre straniere già da 4 o 5 anni. So che alcuni russi vi hanno fatto del male, ma penso che voi come noi volete separarvi da noi come amici, e per questo vi prego di firmare i diplomi. Ancora una volta voglio ringraziarvi di cuore da parte di tutti i russi per la gentilezze che credo ci farete ancora in questo momento in cui si decide del nostro destino.”
I diplomi Alexander, di “patriota” per il contributo assicurato alla sconfitta della Germania hitleriana, furono rilasciati anche a tutti quegli ex soldati della Wehrmacht.
“Nel nome dei governi e dei popoli delle Nazioni Unite, ringraziamo (cognome e nome) per aver combattuto il nemico sui campi di battaglia, militando nei ranghi dei patrioti. I possessori di questo attestato saranno acclamati come patrioti che hanno combattuto per l’onore e la libertà.”
I diplomi, oltre a riportare la firma a stampa di Harold Alexander, dovevano essere firmati nominativamente dal capo della formazione a cui il partigiano aveva appartenuto e da un ufficiale anglo-americano. Potevano essere considerati partigiani combattenti, meritevole di questo attestato di patriota, coloro che avevano militato almeno tre mesi in una formazione partigiana e contribuito attivamente alla lotta contro il nazifascismo, o anche meno di tre mesi se erano stati feriti in combattimento, o caduti.
Quei 484 uomini tenevano quindi molto a ricevere il diploma di combattente contro le forze nazifasciste, ma solo una minoranza di essi era passata fra i partigiani almeno tre mesi prima della Liberazione. Non era quindi scontato il rilascio del certificato di patriota a tutti. Significativa al riguardo è la lettera, in data 26 maggio 1945, a firma del loro portavoce “Mastan”, inviata al colonnnelo Marzioli che a quella data era ancora formalmente il Capo della XIII zona partigiana, quella piacentina, lettera in cui era fra l’altro scritto:
“Signor colonnello, la invincibile URSS ma anche le nostre famiglie ci aspettano: noi ci troviamo in terre straniere già da 4 o 5 anni. So che alcuni russi vi hanno fatto del male, ma penso che voi come noi volete separarvi da noi come amici, e per questo vi prego di firmare i diplomi. Ancora una volta voglio ringraziarvi di cuore da parte di tutti i russi per la gentilezze che credo ci farete ancora in questo momento in cui si decide del nostro destino.”
I diplomi Alexander, di “patriota” per il contributo assicurato alla sconfitta della Germania hitleriana, furono rilasciati anche a tutti quegli ex soldati della Wehrmacht.
4. Alcune figure ed episodi di partigiani già militari della Wehrmacht
Foto sopra a sinistra: Sottotenente Otto Stein, di Amburgo, carrista capo carro, nel settembre del 1944 insieme al suo equipaggio raggiunse la Val Nure e si arruolarono con i partigiani comandatati da Ludovico Muratori. Morì il 12 ottobre 1944, per lo scoppio di una mina anticarro, mentre la squadra partigiana di cui faceva parte teneva sotto controllo, da una collina sovrastante, il presidio militare nazifascista di Perino in Val Trebbia. Foto sopra a destra: Sottufficiale Jacob Hoch, originario della Renania, classe 1903, posto nella squadra di retroguardia per coprire la ritirata dei partigiani durante il rastrellamento dei tedeschi, cadde in combattimento a Barzano di Gropparello il 6 gennaio 1944.
OTTO BECKMANN, sottotenente dell’esercito tedesco, che aveva disertato per passare con i partigiani nella brigata che operava in Val Tidone al comando di Enrico Rancati “Nico”, era stato posto al comando di una squadra di nove connazionali che come lui avevano fatto la scelta di lasciare l’esercito tedesco per combattere a fianco dei partigiani al fine di avvicinare la fine del nazifascismo e della guerra.
Il 7 marzo 1945 “Nico” fece circondare Pianello Val Tidone dagli uomini della sua brigata per liberare definitivamente questo importante centro urbano che apriva la strada ai partigiani verso la pianura. Ma gli uomini del presidio nazifascista asserragliati nella Rocca tenevano duro e dall’alto della torre mitragliavano gli appostamenti partigiani. Nico fece allora intervenire la squadra di Beckmann alla quale erano stati affidati i Panzerfaust, quei “nuovi aggeggi” tedeschi - lanciarazzi anticarro - che altri partigiani avevano catturato qualche tempo prima sulla via Emilia ma che non sapevano usare.
Gli uomini di Otto fecero partire contemporaneamente quattro granate, che con il loro boato spaventoso e gli squarci prodotti nei muri della Rocca convinsero gli uomini del presidio nazifascista ad arrendersi.
ALBERT RUSSKOWSKI E FRANZ furono i due tedeschi di cui, nel novembre 1944, si avvalsero degli uomini del comandante partigiano Muratori alla stazione di San Nicolò per sostituire i due manovratori e catturare i soldati germanici arrivati su vagoni ferroviari. Nel giorno stabilito i partigiani scesero dalla loro sede nel Castello di Monteventano in comune di Piozzano al grosso centro abitato della Via Emilia, misero, per evitare sorprese, due squadre di sorveglianza sulla strada statale, una in direzione di Piacenza l’altra in direzione di Castel San Giovanni, bloccarono i due soldati tedeschi di servizio nella piccola stazione e si appostarono nella stessa in attesa del primo treno di passaggio.
Albert e Franz vestivano le loro divise ed erano armati con le loro armi di ordinanza perciò potevano essere scambiati per veri soldati dell’esercito hitleriano. Arrivato il treno, secondo il piano precedentemente concordato, lo fecero arrestare, salirono alle due estremità del convoglio ed invitarono i camerati tedeschi a scendere e a recarsi nella sala d’aspetto della stazione per un controllo. Lì i malcapitati si trovarono di fronte i mitra spianati dei partigiani e costretti ad alzare le mani e ad arrendersi. Erano una ventina, più dei partigiani che li portarono via quali loro prigionieri.
Visto il successo, l’azione fu ripetuta una quindicina di giorni più tardi con lo stesso copione ed esito ancora positivo.
In tutto furono catturati circa quaranta militari, soggetti preziosi per realizzare scambi con partigiani a loro volta prigionieri dei tedeschi.
Fra i catturati il comandante Muratori trovò a sorpresa un ragazzo tedesco di 15 anni di nome Emil Korac. Gli chiese se voleva restare con i partigiani ed il ragazzo accettò, diventò aiutante di cucina e restò con Muratori fino alla Liberazione.
HANS leale con i partigiani, come ha raccontato nel suo libro di memorie, forse in modo un po’ favolistico, il medico Piero Cavaciuti, fu un soldato tedesco ferito durante uno scontro e fatto prigioniero in Val d’Arda. Ricoverato e curato inizialmente nell’ospedale realizzato dai medici partigiani nel Preventorio di Bramaiano in comune di Bettola, all’inizio del rastrellamento della Turkestan lui e gli altri feriti gravi erano stati trasportati a Teruzzi, un villaggio isolato del comune di Morfasso ad oltre mille metri d’altitudine, e ricoverati in una casa vuota un po’ fuori dal paese, di proprietà di un emigrato in Francia.
In quell’improvvisata infermeria partigiana Hans, inizialmente visto con acredine era poi diventato amico degli altri feriti perché i comuni problemi di salute avevano cementato il cameratismo. Ma venne il giorno in cui il comandante dei partigiani della Val d’Arda, Giuseppe Prati, concordò uno scambio di prigionieri e la condizione pregiudiziale imposta dal comando tedesco fu la restituzione di Hans.
Molti dei partigiani si preoccuparono, il tedesco conosceva quel rifugio e tutti i loro segreti, malgrado l’amicizia insorta temevano che avrebbe potuto tradirli, oltretutto a Teruzzi già una volta erano arrivati i “mongoli” in perlustrazione. Dopo lo scambio alcuni avrebbero voluto quindi cambiare rifugio, ma infine prevalse la fiducia.
E invece qualche tempo dopo arrivò a Teruzzi una nuova squadra nemica e davanti a tutti si vide proprio Hans dirigersi sicuro verso la casa dove erano nascosti i feriti partigiani.
Precedette gli altri soldati, entrò nell’abitazione fra lo sbigottimento dei ricoverati, si fermò un attimo, poi uscì chiudendo la porta dietro di sé e disse ai commilitoni sopraggiunti, nella loro lingua: ”Via via, qui non c’è nessuno, la casa è vuota, raus, raus!”.
VASILIJ ZACHAROVIC PIVOVAROV era il suo nome ma dai partigiani era conosciuto come “Grosni”, dal nome della città, Groznyj, della Cecenia, una delle repubbliche dell’allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, da cui proveniva e dove era nato nel 1912. Tecnico edile era stato reclutato nell’Armata Rossa quale minatore-guastatore. Poco tempo dopo l’invasione tedesca dell’Urss venne catturato nei pressi di Minsk in Bielorussia ed internato in un campo di concentramento. Evitò la morte per fame o sterminio subita da circa tre milioni soldati sovietici prigionieri, accettando di seguire, con altri compagni, l’esercito tedesco in Italia dove finì in un accampamento circondato da filo spinato a Soragna in provincia di Parma ed è adibito a lavori di riparazioni sulla via Emilia bombardata dagli Alleati. Nel mese di settembre evase da quel campo con altri quattro compagni russi e raggiunse in alta Val d’Arda i partigiani della 62ª Brigata garibaldina al comando di “Giovanni lo Slavo”. Diede un contributo rilevante alla lotta contro i nazifascisti provvedendo fra l’altro a realizzare, a partire da grossi bossoli per canoni, delle mine rudimentali con detonatori elettrici a comando manuale. Con queste mine, piazzate presso i paracarri della strada, vennero tesi agguati agli automezzi tedeschi in transito sulla via Emilia, con cui fra l’altro i partigiani si procurano armi, munizioni e altri beni. In una di queste azioni, nel novembre ’44, Grosni rimase ferito, poi catturato e portato dai militari tedeschi nel carcere di Fiorenzuola d’Arda. Fu fucilato nella notte del 21 novembre.
I “MONGOLI” del “Valoroso”, cioè i quattro appartenenti alla Divisione tedesca Turkistan che, poco dopo l’inizio del grande rastrellamento invernale, raggiunsero, a Damassano di Piozzano, Lino Vescovi, futuro comandante di brigata, furono da questi collocati presso due altre cascine della zona, con la raccomandazione di stare nascosti e e non commettere imprudenze. Le due coppie maturarono una grande attaccamento per il Valoroso
Nella zona si aggirava anche un certo Emilio Tosca che risultava un coraggioso partigiano ma mirava anche a compiere estorsioni personali ai benestanti locali. Si era in particolare presentato dal conte Cigala di Tavernago nel comune di Agazzano, imponendogli di pagare un forte importo di denaro a sostegno della Resistenza. Questi, intimorito, disse di non disporre di un tale somma ma promise di procurarsela e di consegnarla il giorno successivo. Il Tosca, pensando che ripresentandosi al castello del conte poteva cadere in un agguato, contattò due di quei “mongoli”, Dimitri Dossembecom e Nizamidin Nadirov, e comunicò loro che per ordine del Valoroso dovevano compiere quella missione a casa del Cigala. Il conte consegnò il denaro ai due, i quali, probabilmente insospettiti, dissero poi al Tosca, che lo avrebbero consegnato solo nelle mani del Valoroso. Ma prima del loro arrivo alla cascina dove questi si trovava, il Tosca tese loro un agguato, li uccise e si prese il denaro. Era il 5 gennaio de ‘45.
I retroscena di questo orribile delitto si vennero presto a conoscere; Emilio Tosca fu catturato, processato dai partigiani del Valoroso e fucilato presso il cimitero di Agazzano.
Gli altri due “mongoli” che si era unita a Lino Vescovi si chiamavano Mocache Hirichboi e Torsino Nissau. Entrambi erano degli ottimi combattenti e Torsino, che al suo paese faceva il maestro elementare, anche un tiratore infallibile con il suo mitragliatore MG42 che aveva portato con se scappando dalla Turchistan . Nelle operazioni militari Valoroso utilizzava i due nel ruolo di copertura e non solo uscì personalmente indenne anche da azioni molto rischiose ma nemmeno subì mai perdita fra i suoi uomini. Ma nel giorno fatale del 16 aprile 1945, quando fu ferito mortamente presso il Castello di Monticello (comune di Gazzola), dopo che il suo soccorso era stato decisivo per sbaragliare i soldati nazifascisti che avevano chiuso in assedio 32 partigiani, Mocache e Torsino non avevano potuto coprigli le spalle perché qualche giorno prima li aveva inviati a presidiare un punto pericoloso di accesso alla Val Luretta.
Ma anche fra i 32 partigiani asserragliati nel castello di Monticello vi erano due russi, due “mongoli”. Raccontarono poi il loro compagni: “Del mongolo Michele fu la resistenza più tenace perché con il suo MG 42 non dava tregua ai militari nazifascisti che colpivano il castello dalla collina di fronte. A un certo punto un colpo di ‘panserfaust’ aprì un varco nel muro presso la finestra dietro cui lui si riparava. Michele restò coperto dai calcinacci, ma dopo un attimo di smarrimento si rialzò e riprese a sparare con più accanimento di prima”.
Il 7 marzo 1945 “Nico” fece circondare Pianello Val Tidone dagli uomini della sua brigata per liberare definitivamente questo importante centro urbano che apriva la strada ai partigiani verso la pianura. Ma gli uomini del presidio nazifascista asserragliati nella Rocca tenevano duro e dall’alto della torre mitragliavano gli appostamenti partigiani. Nico fece allora intervenire la squadra di Beckmann alla quale erano stati affidati i Panzerfaust, quei “nuovi aggeggi” tedeschi - lanciarazzi anticarro - che altri partigiani avevano catturato qualche tempo prima sulla via Emilia ma che non sapevano usare.
Gli uomini di Otto fecero partire contemporaneamente quattro granate, che con il loro boato spaventoso e gli squarci prodotti nei muri della Rocca convinsero gli uomini del presidio nazifascista ad arrendersi.
ALBERT RUSSKOWSKI E FRANZ furono i due tedeschi di cui, nel novembre 1944, si avvalsero degli uomini del comandante partigiano Muratori alla stazione di San Nicolò per sostituire i due manovratori e catturare i soldati germanici arrivati su vagoni ferroviari. Nel giorno stabilito i partigiani scesero dalla loro sede nel Castello di Monteventano in comune di Piozzano al grosso centro abitato della Via Emilia, misero, per evitare sorprese, due squadre di sorveglianza sulla strada statale, una in direzione di Piacenza l’altra in direzione di Castel San Giovanni, bloccarono i due soldati tedeschi di servizio nella piccola stazione e si appostarono nella stessa in attesa del primo treno di passaggio.
Albert e Franz vestivano le loro divise ed erano armati con le loro armi di ordinanza perciò potevano essere scambiati per veri soldati dell’esercito hitleriano. Arrivato il treno, secondo il piano precedentemente concordato, lo fecero arrestare, salirono alle due estremità del convoglio ed invitarono i camerati tedeschi a scendere e a recarsi nella sala d’aspetto della stazione per un controllo. Lì i malcapitati si trovarono di fronte i mitra spianati dei partigiani e costretti ad alzare le mani e ad arrendersi. Erano una ventina, più dei partigiani che li portarono via quali loro prigionieri.
Visto il successo, l’azione fu ripetuta una quindicina di giorni più tardi con lo stesso copione ed esito ancora positivo.
In tutto furono catturati circa quaranta militari, soggetti preziosi per realizzare scambi con partigiani a loro volta prigionieri dei tedeschi.
Fra i catturati il comandante Muratori trovò a sorpresa un ragazzo tedesco di 15 anni di nome Emil Korac. Gli chiese se voleva restare con i partigiani ed il ragazzo accettò, diventò aiutante di cucina e restò con Muratori fino alla Liberazione.
HANS leale con i partigiani, come ha raccontato nel suo libro di memorie, forse in modo un po’ favolistico, il medico Piero Cavaciuti, fu un soldato tedesco ferito durante uno scontro e fatto prigioniero in Val d’Arda. Ricoverato e curato inizialmente nell’ospedale realizzato dai medici partigiani nel Preventorio di Bramaiano in comune di Bettola, all’inizio del rastrellamento della Turkestan lui e gli altri feriti gravi erano stati trasportati a Teruzzi, un villaggio isolato del comune di Morfasso ad oltre mille metri d’altitudine, e ricoverati in una casa vuota un po’ fuori dal paese, di proprietà di un emigrato in Francia.
In quell’improvvisata infermeria partigiana Hans, inizialmente visto con acredine era poi diventato amico degli altri feriti perché i comuni problemi di salute avevano cementato il cameratismo. Ma venne il giorno in cui il comandante dei partigiani della Val d’Arda, Giuseppe Prati, concordò uno scambio di prigionieri e la condizione pregiudiziale imposta dal comando tedesco fu la restituzione di Hans.
Molti dei partigiani si preoccuparono, il tedesco conosceva quel rifugio e tutti i loro segreti, malgrado l’amicizia insorta temevano che avrebbe potuto tradirli, oltretutto a Teruzzi già una volta erano arrivati i “mongoli” in perlustrazione. Dopo lo scambio alcuni avrebbero voluto quindi cambiare rifugio, ma infine prevalse la fiducia.
E invece qualche tempo dopo arrivò a Teruzzi una nuova squadra nemica e davanti a tutti si vide proprio Hans dirigersi sicuro verso la casa dove erano nascosti i feriti partigiani.
Precedette gli altri soldati, entrò nell’abitazione fra lo sbigottimento dei ricoverati, si fermò un attimo, poi uscì chiudendo la porta dietro di sé e disse ai commilitoni sopraggiunti, nella loro lingua: ”Via via, qui non c’è nessuno, la casa è vuota, raus, raus!”.
VASILIJ ZACHAROVIC PIVOVAROV era il suo nome ma dai partigiani era conosciuto come “Grosni”, dal nome della città, Groznyj, della Cecenia, una delle repubbliche dell’allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, da cui proveniva e dove era nato nel 1912. Tecnico edile era stato reclutato nell’Armata Rossa quale minatore-guastatore. Poco tempo dopo l’invasione tedesca dell’Urss venne catturato nei pressi di Minsk in Bielorussia ed internato in un campo di concentramento. Evitò la morte per fame o sterminio subita da circa tre milioni soldati sovietici prigionieri, accettando di seguire, con altri compagni, l’esercito tedesco in Italia dove finì in un accampamento circondato da filo spinato a Soragna in provincia di Parma ed è adibito a lavori di riparazioni sulla via Emilia bombardata dagli Alleati. Nel mese di settembre evase da quel campo con altri quattro compagni russi e raggiunse in alta Val d’Arda i partigiani della 62ª Brigata garibaldina al comando di “Giovanni lo Slavo”. Diede un contributo rilevante alla lotta contro i nazifascisti provvedendo fra l’altro a realizzare, a partire da grossi bossoli per canoni, delle mine rudimentali con detonatori elettrici a comando manuale. Con queste mine, piazzate presso i paracarri della strada, vennero tesi agguati agli automezzi tedeschi in transito sulla via Emilia, con cui fra l’altro i partigiani si procurano armi, munizioni e altri beni. In una di queste azioni, nel novembre ’44, Grosni rimase ferito, poi catturato e portato dai militari tedeschi nel carcere di Fiorenzuola d’Arda. Fu fucilato nella notte del 21 novembre.
I “MONGOLI” del “Valoroso”, cioè i quattro appartenenti alla Divisione tedesca Turkistan che, poco dopo l’inizio del grande rastrellamento invernale, raggiunsero, a Damassano di Piozzano, Lino Vescovi, futuro comandante di brigata, furono da questi collocati presso due altre cascine della zona, con la raccomandazione di stare nascosti e e non commettere imprudenze. Le due coppie maturarono una grande attaccamento per il Valoroso
Nella zona si aggirava anche un certo Emilio Tosca che risultava un coraggioso partigiano ma mirava anche a compiere estorsioni personali ai benestanti locali. Si era in particolare presentato dal conte Cigala di Tavernago nel comune di Agazzano, imponendogli di pagare un forte importo di denaro a sostegno della Resistenza. Questi, intimorito, disse di non disporre di un tale somma ma promise di procurarsela e di consegnarla il giorno successivo. Il Tosca, pensando che ripresentandosi al castello del conte poteva cadere in un agguato, contattò due di quei “mongoli”, Dimitri Dossembecom e Nizamidin Nadirov, e comunicò loro che per ordine del Valoroso dovevano compiere quella missione a casa del Cigala. Il conte consegnò il denaro ai due, i quali, probabilmente insospettiti, dissero poi al Tosca, che lo avrebbero consegnato solo nelle mani del Valoroso. Ma prima del loro arrivo alla cascina dove questi si trovava, il Tosca tese loro un agguato, li uccise e si prese il denaro. Era il 5 gennaio de ‘45.
I retroscena di questo orribile delitto si vennero presto a conoscere; Emilio Tosca fu catturato, processato dai partigiani del Valoroso e fucilato presso il cimitero di Agazzano.
Gli altri due “mongoli” che si era unita a Lino Vescovi si chiamavano Mocache Hirichboi e Torsino Nissau. Entrambi erano degli ottimi combattenti e Torsino, che al suo paese faceva il maestro elementare, anche un tiratore infallibile con il suo mitragliatore MG42 che aveva portato con se scappando dalla Turchistan . Nelle operazioni militari Valoroso utilizzava i due nel ruolo di copertura e non solo uscì personalmente indenne anche da azioni molto rischiose ma nemmeno subì mai perdita fra i suoi uomini. Ma nel giorno fatale del 16 aprile 1945, quando fu ferito mortamente presso il Castello di Monticello (comune di Gazzola), dopo che il suo soccorso era stato decisivo per sbaragliare i soldati nazifascisti che avevano chiuso in assedio 32 partigiani, Mocache e Torsino non avevano potuto coprigli le spalle perché qualche giorno prima li aveva inviati a presidiare un punto pericoloso di accesso alla Val Luretta.
Ma anche fra i 32 partigiani asserragliati nel castello di Monticello vi erano due russi, due “mongoli”. Raccontarono poi il loro compagni: “Del mongolo Michele fu la resistenza più tenace perché con il suo MG 42 non dava tregua ai militari nazifascisti che colpivano il castello dalla collina di fronte. A un certo punto un colpo di ‘panserfaust’ aprì un varco nel muro presso la finestra dietro cui lui si riparava. Michele restò coperto dai calcinacci, ma dopo un attimo di smarrimento si rialzò e riprese a sparare con più accanimento di prima”.
5. Dati complessivi ed elenco dei caduti.
Stranieri di cui si è trovata documentazione della loro adesione alle formazioni partigiane piacentine, considerando naturalmente anche i caduti: n. 661
Dei quali, militari gia inquadrati in reparti della Wehrmacht (tenendo presente che oltre a quelli propriamente tedeschi e a quelli reclutati in regioni dell’Urss, erano inquadrati nelle divisioni dell’esercito tedesco scese in italia anche soldati di altre nazionalità, in particolare quella slovacca e polacca, alcuni dei quali passarono anch’essi fra i partigiani): n. 590.
Nazioni di provenienza. Urss: almeno 500, Germania nei confini del 1941: 57; Jugoslavia: 42; Polonia: 23; Gran Bretagna e Commonwealth: 14; Slovacchia: 10, Grecia: 7; Francia: 5; Svizzera: 2; Norvegia: 1.
Il rilevante concorso dei partigiani stranieri alla lotta di Liberazione in provincia di Piacenza è messo in evidenza anche dal numero di caduti fra questi combattenti. Peraltro anche dei caduti stranieri non si è mai potuto stabilire il numero con precisione, in specifico relativamente agli scomparsi durante il drammatico rastrellamento tedesco dell’inverno ‘44/’45. Inoltre i nomi dei caduti stranieri che conosciamo in più casi sono certamente stati trascritti in modo impreciso, in particolare per quelli provenienti dall’Urss, i cui originari documenti erano scritti in alfabeto cirillico.
Comunque, sulla base della documentazione e delle testimonianze oggi disponibili, si può affermare che nel territorio piacentini fra i primi mesi del 1944 e la Liberazione, siano caduti almeno 40 stranieri aderenti al locale movimento partigiano, includendo 5 slovacchi caduti in una imboscata nel comune di Castel San Giovanni presso Ganaghello mentre stavano raggiungendo i partigiani della provincia pavese.
Di questi 40 caduti si hanno sufficienti elementi identificativi per 32, degli altro 8 solo la nazionalità e le circostanze delle morte o il luogo della sepoltura.
Compongono l’elenco: 25 caduti provenienti dai territori dell’Unione sovietica; il capitano inglese Mackenzie, un australiano ed un sudafricano; due tedeschi, più un tedesco alsaziano; un alsaziano francese; un iugoslavo; un polacco; sei slovacchi.
Almeno 35 sui 40 erano giunti in italia inquadrati nella Wehrmacht o comunque al suo seguito.
Ne forniamo di seguito i nomi con i pochi dati disponibili. Alcuni dei nomi potranno essere stati trascritti in modo errato ed alcuni dei dati risultare imprecisi.
Dei quali, militari gia inquadrati in reparti della Wehrmacht (tenendo presente che oltre a quelli propriamente tedeschi e a quelli reclutati in regioni dell’Urss, erano inquadrati nelle divisioni dell’esercito tedesco scese in italia anche soldati di altre nazionalità, in particolare quella slovacca e polacca, alcuni dei quali passarono anch’essi fra i partigiani): n. 590.
Nazioni di provenienza. Urss: almeno 500, Germania nei confini del 1941: 57; Jugoslavia: 42; Polonia: 23; Gran Bretagna e Commonwealth: 14; Slovacchia: 10, Grecia: 7; Francia: 5; Svizzera: 2; Norvegia: 1.
Il rilevante concorso dei partigiani stranieri alla lotta di Liberazione in provincia di Piacenza è messo in evidenza anche dal numero di caduti fra questi combattenti. Peraltro anche dei caduti stranieri non si è mai potuto stabilire il numero con precisione, in specifico relativamente agli scomparsi durante il drammatico rastrellamento tedesco dell’inverno ‘44/’45. Inoltre i nomi dei caduti stranieri che conosciamo in più casi sono certamente stati trascritti in modo impreciso, in particolare per quelli provenienti dall’Urss, i cui originari documenti erano scritti in alfabeto cirillico.
Comunque, sulla base della documentazione e delle testimonianze oggi disponibili, si può affermare che nel territorio piacentini fra i primi mesi del 1944 e la Liberazione, siano caduti almeno 40 stranieri aderenti al locale movimento partigiano, includendo 5 slovacchi caduti in una imboscata nel comune di Castel San Giovanni presso Ganaghello mentre stavano raggiungendo i partigiani della provincia pavese.
Di questi 40 caduti si hanno sufficienti elementi identificativi per 32, degli altro 8 solo la nazionalità e le circostanze delle morte o il luogo della sepoltura.
Compongono l’elenco: 25 caduti provenienti dai territori dell’Unione sovietica; il capitano inglese Mackenzie, un australiano ed un sudafricano; due tedeschi, più un tedesco alsaziano; un alsaziano francese; un iugoslavo; un polacco; sei slovacchi.
Almeno 35 sui 40 erano giunti in italia inquadrati nella Wehrmacht o comunque al suo seguito.
Ne forniamo di seguito i nomi con i pochi dati disponibili. Alcuni dei nomi potranno essere stati trascritti in modo errato ed alcuni dei dati risultare imprecisi.
A. Caduti provenienti dall’URSS:
1. ABASOV MIKAIJ, nato nel1917 a Cedaboy, partigiano dal 3 gennaio 1945, caduto il 28 aprile 1945 a Piacenza - appartenente alla Divisione partigiana Val Nure;
2. AKOPIAN GREGORY, nato nel 1908 a Erevan, capitano dell’ Armata rossa, morto nell’ospedale di Bobbio il 13 agosto 1944 in seguito a ferite riportate in combattimento nei pressi della Statale 45, all’altezza di Due Ponti, appartenente alla Divisione ligure Cichero;
3. AMENARKOV ASUR di Diasurov - nato nel 1912, partigiano dal 1 luglio 1944, caduto il 23 febbraio 1945 a Bettola, appartenente alla 59ª Brigata garibaldina Caio;
4. ANERIANOV GRIGORIJ, di Andreij, nato il 29.settembre 1916 a Mosca, partigiano dal 1. luglio 1944, caduto il 6dicembre 1944 a Bobbio, appartenente alla 59ª Brigata garibaldina Caio;
5. ARTUNYAN SERGEJ, nato nel 1910 a Tiblisi, caduto il 28 aprile 1945 a Piacenza, appartenente alla Divisione Val Nure;
6. CAPANSKI PETROV, di Bessarion, nato nel 1918 a Tiflis, caduto il 27.febbraio 1945 a Lugagnano Val d’Arda;
7. DOSSEMBECON DIMITRI, ucciso il 5.gennaio 1945 a Bosco Stellara di Piozzano per coprire una estorsione effettuata da un piacentino poi giustiziato dai partigiani;
8. GROMOV IVAN, caduto il 4 giugno 1944 in Val Trebbia, sepolto nel cimitero di Mezzano Scotti, apparteneva alla Divisione Piacenza;
9. GUSEJNOV VILAJAT ABUL’FAT-OGLY, nato nel 1916 a Terter, caduto il 1 gennaio 1945 a Busseto di Pecorara, Divisione Piacenza;
10. HUBAN IVAN, di Maxembar, nato nel 1921, deceduto il 21 maggio 1945 nell’ospedale di Piacenza per ferite, appartenente alla Divisione Piacenza;
11. ICAN FRANCESCO, partigiano dal 1 luglio 1944, caduto il 26 gennaio 1944;
12. LAPACI IVAN, nato nel 1921 (?), morto il 28 aprile 1945 a Piacenza, sepolto nel cimitero di Piacenza;
13. NADIROV NISAMIDIN, ucciso il 5 gennaio 1945 a Bosco Stellara di Piozzano per coprire una estorsione effettuata da un piacentino poi giustiziato dai partigiani;
14. PIVORAROV VASILIJ ZACHAROVIC, “Grosni”, nato a Grosnyj in Cecenia nel1912, caduto il 21 novembre 1944 a Fiorenzuola d’Arda, Medaglia d’Argento al V.M, 62ª Brigata Garibaldi;
15. RYBAKOV SERGEJ, di Vassili, nato il 9 gennaio 1929 (?) a Sposk, partigiano dal 1 luglio 1944, caduto il 6 dicembre 1944 a Bobbio, appartenente alla Brigata pavese Oreste;
16. STOLETOV DIMITRIJ, di Ivan, nato il 23 novembre 1921, partigiano dal 1 luglio 1944, caduto il 6 dicembre 1944 a Bobbio, appartenente alla Brigata garibaldina Caio;
17. TISLER ANATOLIJ Kostantinevic, caduto a Fiorenzuola d’Arda, appartenente alla 62^ Brigata garibaldina della Val d’Arda;
18. VASILIC SERGIO, nato a Stalinobl, caduto a Lugagnano Val d’Arda, il 8 marzo 1945, sepolto nel cimitero di Rustigazzo;
19. WASSILIAN STEPAN Petrovic, nato nel 1908 a Kiev, partigiano dal 10 gennaio 1945, caduto il 29 gennaio 1945 a Ferriere, appartenente alla Brigata garibaldina Caio;
20. ...... BORIS, caduto nel settembre 1944 a Ponte dell’Olio, appartenente alla 62ª Brigata garibaldina della Val Nure;
21. ...... ….. “Nich”, morto a Pianello Val Tidone il 11 maggio 1944 durante l’attacco alla caserma della Gnr;
22. ….. ….. “Ruspo”, caduto il 29 gennaio 1945 nella zona di Ceci (comune di Bobbio), durante un combattimento contro una pattuglia tedesca;
23. ….. ….. (Sergio?), partigiano dal giugno 1944, caduto il 4 dicembre 1944 a Prato Barbieri di Bettola, appartenente alla Brigata Stella Rossa;
24. -….. ….. (Michele?), fucilato dai nazi-fascisti nell’inverno ‘44/’45 a Bettola;
25. ….. ….. (Andrej?), fucilato dai nazi-fascisti nell’inverno ‘44/’45 a Bettola, sepolto nel cimitero di Pedina di Morfasso.
2. AKOPIAN GREGORY, nato nel 1908 a Erevan, capitano dell’ Armata rossa, morto nell’ospedale di Bobbio il 13 agosto 1944 in seguito a ferite riportate in combattimento nei pressi della Statale 45, all’altezza di Due Ponti, appartenente alla Divisione ligure Cichero;
3. AMENARKOV ASUR di Diasurov - nato nel 1912, partigiano dal 1 luglio 1944, caduto il 23 febbraio 1945 a Bettola, appartenente alla 59ª Brigata garibaldina Caio;
4. ANERIANOV GRIGORIJ, di Andreij, nato il 29.settembre 1916 a Mosca, partigiano dal 1. luglio 1944, caduto il 6dicembre 1944 a Bobbio, appartenente alla 59ª Brigata garibaldina Caio;
5. ARTUNYAN SERGEJ, nato nel 1910 a Tiblisi, caduto il 28 aprile 1945 a Piacenza, appartenente alla Divisione Val Nure;
6. CAPANSKI PETROV, di Bessarion, nato nel 1918 a Tiflis, caduto il 27.febbraio 1945 a Lugagnano Val d’Arda;
7. DOSSEMBECON DIMITRI, ucciso il 5.gennaio 1945 a Bosco Stellara di Piozzano per coprire una estorsione effettuata da un piacentino poi giustiziato dai partigiani;
8. GROMOV IVAN, caduto il 4 giugno 1944 in Val Trebbia, sepolto nel cimitero di Mezzano Scotti, apparteneva alla Divisione Piacenza;
9. GUSEJNOV VILAJAT ABUL’FAT-OGLY, nato nel 1916 a Terter, caduto il 1 gennaio 1945 a Busseto di Pecorara, Divisione Piacenza;
10. HUBAN IVAN, di Maxembar, nato nel 1921, deceduto il 21 maggio 1945 nell’ospedale di Piacenza per ferite, appartenente alla Divisione Piacenza;
11. ICAN FRANCESCO, partigiano dal 1 luglio 1944, caduto il 26 gennaio 1944;
12. LAPACI IVAN, nato nel 1921 (?), morto il 28 aprile 1945 a Piacenza, sepolto nel cimitero di Piacenza;
13. NADIROV NISAMIDIN, ucciso il 5 gennaio 1945 a Bosco Stellara di Piozzano per coprire una estorsione effettuata da un piacentino poi giustiziato dai partigiani;
14. PIVORAROV VASILIJ ZACHAROVIC, “Grosni”, nato a Grosnyj in Cecenia nel1912, caduto il 21 novembre 1944 a Fiorenzuola d’Arda, Medaglia d’Argento al V.M, 62ª Brigata Garibaldi;
15. RYBAKOV SERGEJ, di Vassili, nato il 9 gennaio 1929 (?) a Sposk, partigiano dal 1 luglio 1944, caduto il 6 dicembre 1944 a Bobbio, appartenente alla Brigata pavese Oreste;
16. STOLETOV DIMITRIJ, di Ivan, nato il 23 novembre 1921, partigiano dal 1 luglio 1944, caduto il 6 dicembre 1944 a Bobbio, appartenente alla Brigata garibaldina Caio;
17. TISLER ANATOLIJ Kostantinevic, caduto a Fiorenzuola d’Arda, appartenente alla 62^ Brigata garibaldina della Val d’Arda;
18. VASILIC SERGIO, nato a Stalinobl, caduto a Lugagnano Val d’Arda, il 8 marzo 1945, sepolto nel cimitero di Rustigazzo;
19. WASSILIAN STEPAN Petrovic, nato nel 1908 a Kiev, partigiano dal 10 gennaio 1945, caduto il 29 gennaio 1945 a Ferriere, appartenente alla Brigata garibaldina Caio;
20. ...... BORIS, caduto nel settembre 1944 a Ponte dell’Olio, appartenente alla 62ª Brigata garibaldina della Val Nure;
21. ...... ….. “Nich”, morto a Pianello Val Tidone il 11 maggio 1944 durante l’attacco alla caserma della Gnr;
22. ….. ….. “Ruspo”, caduto il 29 gennaio 1945 nella zona di Ceci (comune di Bobbio), durante un combattimento contro una pattuglia tedesca;
23. ….. ….. (Sergio?), partigiano dal giugno 1944, caduto il 4 dicembre 1944 a Prato Barbieri di Bettola, appartenente alla Brigata Stella Rossa;
24. -….. ….. (Michele?), fucilato dai nazi-fascisti nell’inverno ‘44/’45 a Bettola;
25. ….. ….. (Andrej?), fucilato dai nazi-fascisti nell’inverno ‘44/’45 a Bettola, sepolto nel cimitero di Pedina di Morfasso.
B. Caduti provenienti da altri Paesi:
26. DIEMNOSCK RENE’, tedesco dell’Alsazia, caduto in combattimento il 24 novembre 1944 nel comune di Pecorara, appartenente alla Divisione Piacenza;
27. GREYS JWES, nato a Cape Town (Unione Sudafricana), deceduto 11 maggio 1944 nell’ospedale di Castel San Giovanni per ferite riportate nell’attacco al presidio nazi-fascista di Bettola;
28. HOCH JACOB, tedesco della Renania, nato a Worms il 5 agosto 1903, caduto in combattimento il 6 gennaio 1945 a Barzano di Gropparello, appartenente alla Divisione Val d’Arda;
29. LEMEZ JEAN, francese dell’Alsazia, caduto sull’Appennino piacentino il 26 ottobre 1944;
30. MACKENZIE ARCIBALD DONALD, “Capitano Mack”,inglese, nato a Londra il 22 dicembre 1914, caduto ad Albarola di Vigolzone il 6 ottobre 1944, vice comandante della 60ª Brigata garibaldina “Stella Rossa” della Val Nure;
31. MIECZYSLAV SASIN, “Cencio”, polacco, fu catturato ferito in comune di Zerba e fucilato da militi fascisti il 29 agosto 1944 a presso la frazione di Cerreto;
32. STEIN OTTO, tedesco originario di Amburgo, ucciso dallo scoppio accidentale di una bomba anticarro il 12 ottobre 1944 presso la frazione Villanova nel comune di Coli;
33. WILSON JAK, australiano, nato a Melbourne, fucilato dai nazifascisti assieme al compagno piacentino Luigi Evangelista il 4 giugno 1944 a Bardi di Parma, appartenente alla 38ª Brigata garibaldina della Val d’Arda;
34. ZDRAVCOVICH STEVAN, colonnello dell’aviazione jugoslava, nato a Belgrado il 5 settembre 1901, fucilato a Costa d’Iggio di San Pellegrino Parmense il 11 febbraio 1945, sepolto nel cimitero di Castell’Arquato, cittadino onorario alla memoria di questo comune;
35. DIDIK JOSEF, slovacco, ferito a morte il 19 aprile 1945 a Ganaghello di Castel San Giovanni;
36. MATIASKO JOSEF, slovacco, classe 1921, caduto il 19 aprile 1945 a Ganaghello;
37. MUDRAK ANDREJ, slovacco, classe 1917, catturato a Ganaghello, fu fucilato il giorno dopo a Bosnasco di Pavia;
38. RAZDO JOSEF CRELHO, slovacco, classe 1921, caduto il 19 aprile 1945 a Ganaghello;
39. SANDOR AMBROZ, slovacco, classe 1921, caduto il 19 aprile 1945 a Ganaghello;
40. ZDANSKY JOSEF, slovacco, classe 1920, caduto il 19 aprile 1945 a Ganaghello.
27. GREYS JWES, nato a Cape Town (Unione Sudafricana), deceduto 11 maggio 1944 nell’ospedale di Castel San Giovanni per ferite riportate nell’attacco al presidio nazi-fascista di Bettola;
28. HOCH JACOB, tedesco della Renania, nato a Worms il 5 agosto 1903, caduto in combattimento il 6 gennaio 1945 a Barzano di Gropparello, appartenente alla Divisione Val d’Arda;
29. LEMEZ JEAN, francese dell’Alsazia, caduto sull’Appennino piacentino il 26 ottobre 1944;
30. MACKENZIE ARCIBALD DONALD, “Capitano Mack”,inglese, nato a Londra il 22 dicembre 1914, caduto ad Albarola di Vigolzone il 6 ottobre 1944, vice comandante della 60ª Brigata garibaldina “Stella Rossa” della Val Nure;
31. MIECZYSLAV SASIN, “Cencio”, polacco, fu catturato ferito in comune di Zerba e fucilato da militi fascisti il 29 agosto 1944 a presso la frazione di Cerreto;
32. STEIN OTTO, tedesco originario di Amburgo, ucciso dallo scoppio accidentale di una bomba anticarro il 12 ottobre 1944 presso la frazione Villanova nel comune di Coli;
33. WILSON JAK, australiano, nato a Melbourne, fucilato dai nazifascisti assieme al compagno piacentino Luigi Evangelista il 4 giugno 1944 a Bardi di Parma, appartenente alla 38ª Brigata garibaldina della Val d’Arda;
34. ZDRAVCOVICH STEVAN, colonnello dell’aviazione jugoslava, nato a Belgrado il 5 settembre 1901, fucilato a Costa d’Iggio di San Pellegrino Parmense il 11 febbraio 1945, sepolto nel cimitero di Castell’Arquato, cittadino onorario alla memoria di questo comune;
35. DIDIK JOSEF, slovacco, ferito a morte il 19 aprile 1945 a Ganaghello di Castel San Giovanni;
36. MATIASKO JOSEF, slovacco, classe 1921, caduto il 19 aprile 1945 a Ganaghello;
37. MUDRAK ANDREJ, slovacco, classe 1917, catturato a Ganaghello, fu fucilato il giorno dopo a Bosnasco di Pavia;
38. RAZDO JOSEF CRELHO, slovacco, classe 1921, caduto il 19 aprile 1945 a Ganaghello;
39. SANDOR AMBROZ, slovacco, classe 1921, caduto il 19 aprile 1945 a Ganaghello;
40. ZDANSKY JOSEF, slovacco, classe 1920, caduto il 19 aprile 1945 a Ganaghello.
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Bibliografia sommaria e altre fonti
“Ai partigiani stranieri in Emilia, ai partigiani emiliani all’estero”, Reggio Emilia, 1977.
Carrà Ettore, Il distaccamento autonomo di Monteventano, Vicolo del Pavone, 2006
Carrattieri M./Meloni I., Partigiani della Wehrmacht, Le Piccole pagine, 2021
Cassinari Giorgio, Piacenza nella Resistenza, T.E.P., 2004.
Cavaciuti Piero, La casa è diroccata, Grafiche Venturati, 2001
Cavanna G.L./Repetti R., Comandanti partigiani giunti da lontano, Pontegobbo, 2018.
Galleni Mauro, I partigiani sovietici nella Resistenza italiana, Editori Riuniti, 1967.
Klinkhammer Lutz, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, 1993.
Mariani Ermanno, Piacenza liberata, Pontegobbo, 2006.
Miti Mario, Il sogno di una vita (Emilio Pecorari), 2010.
Rendina Massimo, I disertori tedeschi nella Resistenza italiana, Roma, 1990 - www.storiaxxsecolo.it.
Vescovi A./Agosti G., E verrà l’alba, Vicolo del pavone, 2021.
A.N.P.I – Comitato provinciale di Piacenza – Archivio storico (fra cui i fascicoli del Fondo “Ufficio Patrioti”).
Diversi siti web relativi ai partigiani stranieri in Italia, delle diverse nazionalità.
“Ai partigiani stranieri in Emilia, ai partigiani emiliani all’estero”, Reggio Emilia, 1977.
Carrà Ettore, Il distaccamento autonomo di Monteventano, Vicolo del Pavone, 2006
Carrattieri M./Meloni I., Partigiani della Wehrmacht, Le Piccole pagine, 2021
Cassinari Giorgio, Piacenza nella Resistenza, T.E.P., 2004.
Cavaciuti Piero, La casa è diroccata, Grafiche Venturati, 2001
Cavanna G.L./Repetti R., Comandanti partigiani giunti da lontano, Pontegobbo, 2018.
Galleni Mauro, I partigiani sovietici nella Resistenza italiana, Editori Riuniti, 1967.
Klinkhammer Lutz, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, 1993.
Mariani Ermanno, Piacenza liberata, Pontegobbo, 2006.
Miti Mario, Il sogno di una vita (Emilio Pecorari), 2010.
Rendina Massimo, I disertori tedeschi nella Resistenza italiana, Roma, 1990 - www.storiaxxsecolo.it.
Vescovi A./Agosti G., E verrà l’alba, Vicolo del pavone, 2021.
A.N.P.I – Comitato provinciale di Piacenza – Archivio storico (fra cui i fascicoli del Fondo “Ufficio Patrioti”).
Diversi siti web relativi ai partigiani stranieri in Italia, delle diverse nazionalità.
Nota: le immagini qui pubblicate appartengono all'Archivio Croce di Piacenza; all'Archivio dell'ANPI di Piacenza e agli archivi privati di Silvia Parmigiani, Cristiano Maggi, famiglia Gregg (UK) e Pierlino Bergonzi.
Pagina pubblicata il 18 luglio 2021