Un giorno a Sant'Anna di Stazzema, per non dimenticare...
Recentemente, con alcuni amici, ho fatto visita a Sant’Anna nel comune di Stazzema, una località toscana tristemente famosa come uno dei luoghi della memoria della 2° guerra mondiale. Il paese si sviluppa tra boschi di lecci e di castagni nel Parco delle Apuane, a 660 metri d’altitudine, in una posizione panoramica da dove si spazia sulla sottostante pianura fino al mare. Passava li, nel 1944, la famosa “Linea Gotica”, un sistema difensivo che tagliava obliquamente l’Italia dal Tirreno all’Adriatico col quale il comando tedesco pensava di bloccare l’avanzata degli alleati. Ci si arriva lasciando la litoranea a Pietrasanta e imboccando una stradina che s’inerpica bruscamente con una serie di ripidi tornanti. Sant’Anna non è cambiato da allora: si compone di qualche frazioncina e di poche case sparse che si affacciano sul sagrato di un’antica chiesetta, centro naturale del paese. Una planimetria abbastanza comune a tante località della nostra montagna. Alle prime case dov’era uno slargo è stato ora ricavato un ampio piazzale adibito a parcheggio per le auto e i bus dei visitatori. Una lapide informa che è stato dedicato alla vittima più giovane dell’eccidio, una bambina di appena 12 giorni. A pochi metri c’è l’ex scuola elementare, ora museo della memoria. Appena prima dell’ingresso, sul fianco della montagna è affissa una lapide riportante la celebre epigrafe con la quale Piero Calamandrei rispose alla provocazione del feldmaresciallo Albert Kesselring “Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi Italiani…” Nell’edificio, al pianterreno, una saletta per conferenze e proiezioni mentre al piano superiore, sistemate in ampie bacheche, una serie di foto d’epoca con interi nuclei famigliari che, in posa statica, fissano il visitatore e paiono domandargli ancora oggi il perché del loro atroce destino. Non fu rappresaglia e qualcuno, evidentemente fuori da ogni logica, ebbe pure l’impudenza di definirla “una normale operazione militare”.
Il paese contava allora 400 anime divenute 1500 per l’apporto di tanti sfollati rifugiatisi fin lassù per sfuggire ai bombardamenti nella pianura. Il giorno dopo l’apocalisse con tutto il paese bruciato, compresa la chiesa, la conta dei morti fu impressionante: 560 persone, per lo più vecchi e donne più 150 bambini. Un racconto agghiacciante intriso di terribili atrocità con donne sventrate e feti usati come bersagli. Alcuni vennero uccisi subito nelle loro case con sventagliate di mitra o a colpi di pistola alla nuca, altri vennero radunati sul sagrato della chiesa e li stettero per qualche ora piangenti e tremanti, stretti attorno al loro parroco. Infine terminato il rastrellamento le mitragliatrici appostate poco distante aprirono il fuoco che continuò fino a che nessuno restò in piedi. Poi al mucchio di cadaveri, dove certamente era anche qualche sopravvissuto, fu dato fuoco con i lanciafiamme. Nei giorni seguenti si fece molta fatica a separare i corpi che il calore aveva fuso assieme. Un orrore senza fine. Ma coloro che arrivarono alle prime luci dell’alba di quel tragico 12 Agosto non erano belve feroci o alieni bensi normali rappresentanti di quella razza umana che ha la presunzione di attribuire la propria origine a un progetto divino. Non erano solo tedeschi ma c’erano anche fascisti italiani con compiti di cani guida. C’è un breve filmato che ricostruisce l’accaduto che ha come protagonisti una scolaresca, l’attore Massimo Dapporto nel ruolo del loro maestro e l’ausilio di grafica computerizzata. Durante la proiezione la commozione è grande e pochi riescono a trattenere le lacrime. Un impatto più violento di un pugno nello stomaco.
Niente di quello che successe può anche minimamente essere associato ad operazioni belliche. Il nostro esercito non c’era e gli unici militari presenti erano i fanti della 16° divisione panzergrenadier. E poi perché sui fatti calò un silenzio vergognoso durato decenni che nemmeno la visita ufficiale del Presidente Partigiano Pertini riuscì a scardinare? Eppure, a guerra appena finita, erano state svolte dai carabinieri italiani e dal servizio segreto britannico due minuziose inchieste che avevano raccolto testimonianze, dichiarazioni, denunce, con nomi, gradi e nazionalità dei presunti colpevoli. C’era la possibilità concreta di accertare tutte le responsabilità di mandanti ed esecutori ma non se ne fece nulla. I fascicoli finirono nel famigerato “armadio della vergogna” affossato a Roma nella cancelleria della procura militare con le ante d’apertura girate verso il muro. Conteneva anche altri documenti sempre relativi a stragi ma, in ossequio a ragioni di opportunità politica e di nuove alleanze comunitarie, nessuno dei tanti governi che da allora si sono succeduti seppe o volle aprirlo. La sentenza di condanna all’ergastolo emessa dal tribunale militare di La Spezia per 10 militari tedeschi che arriva il 23 giugno 2005 esattamente 61 anni dopo, ha certamente valore storico, ma non è giustizia e purtroppo è tutto quello che l’Italia Repubblicana ha saputo fare. I motivi di speranza possiamo trovarli nel vedere giovani ragazzi tedeschi che vengono a Sant’Anna per passare le vacanze lavorando a sistemare la strada che, come una Via Crucis, sale al poggio dov’è l’ossario e nel racconto di Enrico Pieri, uno dei sopravvissuti che ha avuto la disponibilità di farci da guida. Classe 1934 quindi decenne all’epoca dei fatti ebbe l’intera famiglia trucidata e negli anni ’50 appena giovinetto emigrò per vivere. Si formò una famiglia, gli nacque un figlio e quando dovette scegliere per lui lo studio di una lingua, dovendo optare tra il francese e il tedesco scelse quest’ultima. Ora è tornato in Patria e dice che quello che gli accadde non potrà ne vorrà mai dimenticarlo ma ha parole di perdono e di riconciliazione. E’ un grande cui ho avuto l’onore di stringere la mano senza riuscire a profferire parola. Ancora scossi, usciamo all’aperto e incrociamo tanti ragazzi e ragazze di una scuola di Lauria, un centro in provincia di Potenza che, appresi i fatti, hanno deciso di risalire la penisola e venire fin quassù per vedere i luoghi e portare un saluto ai tanti coetanei cui non è stato concesso d’invecchiare. Dio benedica loro e i loro insegnanti. La storia d’Italia s’impara anche così.
(Scritto di Giuseppe Zurla)
(Scritto di Giuseppe Zurla)