I sentieri della salvezza
Aviatori americani e resistenza italiana tra Piemonte e Liguria
di Alberto Magnani
di Alberto Magnani
Avevano finito per chiamarlo <<ponte del diavolo>>. Era il ponte ferroviario sul Po, presso Casale Monferrato, contro il quale i bombardieri angloamericani si accanirono – con scarsi risultati – tra il 1944 e il 1945 [1]. Era in corso l’offensiva dal cielo contro le linee di comunicazione terrestri nell’Alta Italia e, in realtà, ponti dannati come quello di Casale non erano rari: anche se, dopo ripetute incursioni, venivano colpiti, in poche ore i genieri tedeschi li rimettevano in funzione; e si ricominciava daccapo.
I colpi fuori bersaglio provocavano vittime civili, eppure, malgrado la propaganda contro gli <<angloassassini>>, i sentimenti della popolazione tendevano a considerare responsabili di quelle morti i fascisti, che avevano voluto la guerra e si ostinavano a volerla continuare. Così gli aviatori che piovevano dal cielo, quando i loro aerei venivano abbattuti, scoprivano la solidarietà degli abitanti e l’impegno della Resistenza nell’escogitare sistemi per metterli in salvo.
Se ne accorse, durante una lunga odissea, il diciannovenne Walker Harris, americano dell’Oklahoma, sopravvissuto miracolosamente all’abbattimento del suo bombardiere. Henry Walker Harris si era arruolato nell’esercito degli Stati Uniti nel febbraio del 1943, ad appena diciassette anni. Superate le prove per entrare in aviazione, era stato destinato al teatro bellico del Mediterraneo come operatore radio e mitragliere nel 489° Squadron del 340° Bombing Group. Il 4 novembre 1944 stava partecipando a una missione di bombardamento su un bimotore B–25, con obiettivo il ponte ferroviario di Casale Monferrato. Il <<ponte del diavolo.>>
Gli apparecchi avevano effettuato la consueta manovra, portandosi a nord del bersaglio, quindi virando e scendendo in formazione d’attacco. Il B–25 di Harris sganciò il carico di bombe, quindi proseguì in direzione sud per intraprendere la rotta del rientro. In quel momento, una granata sparata dalla contraerea esplose a distanza ravvicinata, investendo l’aereo con tutta la sua forza d’urto. Harris si trovava in piedi vicino a uno dei finestrini laterali. L’impatto lo fece cadere sul pavimento. Si accorse di essere ferito al naso e al gomito [2].
<<Strisciai sul pavimento cercando di indossare l’imbragatura e stringerla. Ricordo di aver visto Mallicoat curvo sulle mitragliatrici nella torretta di coda e lo chiamai gridando, ma senza risposta.>>, avrebbe ricordato Harris. Daniel Mallicoat, originario del Maryland, era uno dei mitraglieri.
Harris riuscì a raggiungere il portello posteriore, lo fece saltare con la leva d’apertura e sgusciò fuori. Vide il grande ventre dell’apparecchio sopra di sè. L’aereo incominciò a precipitare, cadendo come una foglia morta. Trascinò con sé tutti gli altri cinque membri dell’equipaggio, vivi o morti che fossero [3].
Due mitraglieri in volo sugli apparecchi più vicini videro il portello aprirsi e il bimotore avvitarsi, ma non scorsero l’ombrello del paracadute di Harris. Entrambi ebbero l’impressione che il B–25 andasse a schiantarsi su Alessandria: in realtà, l’aereo cadde in prossimità del paese di Solaro, poco a ovest della città [4].
I colpi fuori bersaglio provocavano vittime civili, eppure, malgrado la propaganda contro gli <<angloassassini>>, i sentimenti della popolazione tendevano a considerare responsabili di quelle morti i fascisti, che avevano voluto la guerra e si ostinavano a volerla continuare. Così gli aviatori che piovevano dal cielo, quando i loro aerei venivano abbattuti, scoprivano la solidarietà degli abitanti e l’impegno della Resistenza nell’escogitare sistemi per metterli in salvo.
Se ne accorse, durante una lunga odissea, il diciannovenne Walker Harris, americano dell’Oklahoma, sopravvissuto miracolosamente all’abbattimento del suo bombardiere. Henry Walker Harris si era arruolato nell’esercito degli Stati Uniti nel febbraio del 1943, ad appena diciassette anni. Superate le prove per entrare in aviazione, era stato destinato al teatro bellico del Mediterraneo come operatore radio e mitragliere nel 489° Squadron del 340° Bombing Group. Il 4 novembre 1944 stava partecipando a una missione di bombardamento su un bimotore B–25, con obiettivo il ponte ferroviario di Casale Monferrato. Il <<ponte del diavolo.>>
Gli apparecchi avevano effettuato la consueta manovra, portandosi a nord del bersaglio, quindi virando e scendendo in formazione d’attacco. Il B–25 di Harris sganciò il carico di bombe, quindi proseguì in direzione sud per intraprendere la rotta del rientro. In quel momento, una granata sparata dalla contraerea esplose a distanza ravvicinata, investendo l’aereo con tutta la sua forza d’urto. Harris si trovava in piedi vicino a uno dei finestrini laterali. L’impatto lo fece cadere sul pavimento. Si accorse di essere ferito al naso e al gomito [2].
<<Strisciai sul pavimento cercando di indossare l’imbragatura e stringerla. Ricordo di aver visto Mallicoat curvo sulle mitragliatrici nella torretta di coda e lo chiamai gridando, ma senza risposta.>>, avrebbe ricordato Harris. Daniel Mallicoat, originario del Maryland, era uno dei mitraglieri.
Harris riuscì a raggiungere il portello posteriore, lo fece saltare con la leva d’apertura e sgusciò fuori. Vide il grande ventre dell’apparecchio sopra di sè. L’aereo incominciò a precipitare, cadendo come una foglia morta. Trascinò con sé tutti gli altri cinque membri dell’equipaggio, vivi o morti che fossero [3].
Due mitraglieri in volo sugli apparecchi più vicini videro il portello aprirsi e il bimotore avvitarsi, ma non scorsero l’ombrello del paracadute di Harris. Entrambi ebbero l’impressione che il B–25 andasse a schiantarsi su Alessandria: in realtà, l’aereo cadde in prossimità del paese di Solaro, poco a ovest della città [4].
Appena giunto a terra, Harris fu soccorso da alcuni civili, partigiani o comunque legati alla Resistenza. Si sdebitò con loro regalando il paracadute, la cui tela, in tempo di guerra, era molto preziosa perché adatta a ricavarne camicie. Cedette anche la rivoltella d’ordinanza, che, del resto, conteneva appena un caricatore.
Gli uomini lo portarono al sicuro e lo medicarono. Fosse caduto un po’ più a nord, Harris avrebbe potuto sperare di raggiungere la Svizzera: nel Vercellese erano attive da tempo organizzazioni legate alla Resistenza, sorte, in origine, per aiutare gli ex prigionieri fuggiti dopo l’8 settembre, che mantenevano i contatti con i partigiani dell’Ossola [5]. Trovandosi però in prossimità della Zona Libera dell’Alto Monferrato, Harris fu avviato in questa direzione. Mediante marce notturne raggiunse il borgo di Canelli, <<dove una banda di partigiani comandata da un certo Capitano Tino aveva il suo quartier generale>>: si trattava della Brigata Asti, una delle cosiddette <<formazioni autonome>> dipendenti da Enrico Martini Mauri. Martini, ex ufficiale del Regio Esercito, operava in sintonia con la missione britannica del maggiore Temple, paracadutata nella zona sin dall’estate precedente. Tino era il nome di battaglia di Augusto Bobbio, anch’egli un ex ufficiale, comandante della brigata.
I comandanti delle formazioni di Mauri conservavano un certo stile da ufficiali e invitavano a cena gli ospiti stranieri. Fu probabilmente in una di queste circostanze che Harris conobbe per la prima volta lo spumante d’Asti, con cui <<ebbe inizio un’amicizia lunga e costante>>, avrebbe confessato.
Gli uomini lo portarono al sicuro e lo medicarono. Fosse caduto un po’ più a nord, Harris avrebbe potuto sperare di raggiungere la Svizzera: nel Vercellese erano attive da tempo organizzazioni legate alla Resistenza, sorte, in origine, per aiutare gli ex prigionieri fuggiti dopo l’8 settembre, che mantenevano i contatti con i partigiani dell’Ossola [5]. Trovandosi però in prossimità della Zona Libera dell’Alto Monferrato, Harris fu avviato in questa direzione. Mediante marce notturne raggiunse il borgo di Canelli, <<dove una banda di partigiani comandata da un certo Capitano Tino aveva il suo quartier generale>>: si trattava della Brigata Asti, una delle cosiddette <<formazioni autonome>> dipendenti da Enrico Martini Mauri. Martini, ex ufficiale del Regio Esercito, operava in sintonia con la missione britannica del maggiore Temple, paracadutata nella zona sin dall’estate precedente. Tino era il nome di battaglia di Augusto Bobbio, anch’egli un ex ufficiale, comandante della brigata.
I comandanti delle formazioni di Mauri conservavano un certo stile da ufficiali e invitavano a cena gli ospiti stranieri. Fu probabilmente in una di queste circostanze che Harris conobbe per la prima volta lo spumante d’Asti, con cui <<ebbe inizio un’amicizia lunga e costante>>, avrebbe confessato.
Aeroporto partigiano “Excelsior” di Vesime, Asti, costruito nella valle del Bormida. Nella foto si vedono partigiani armati, un aereo monomotore Lysander che rulla ed una persona in primo piano che corre, dovrebbe essere il geometra Pasquale Balaclava, che diresse i lavori di costruzione dell'aeroporto.
Augusto Bobbio contava probabilmente di riportare Harris oltre le linee utilizzando una risorsa eccezionale: il campo d’aviazione improvvisato dai partigiani a Vesime, sulle rive del fiume Bormida. Il campo, lungo circa novecento metri, venne inaugurato proprio in quei giorni, con l’atterraggio, il 17 novembre, di un monoplano britannico Lysander. Due giorni dopo giunse un B–25, convertito da bombardiere in aereo da trasporto: ne scese una missione militare alleata, quindi vennero imbarcati e portati in salvo circa venticinque tra ex prigionieri di guerra e aviatori [6].
Sono stati individuati con certezza i nomi di quattro di quegli aviatori, che però appartenevano a un altro B-25, precipitato il 19 ottobre precedente. Quel giorno, il 381° Squadron del 310° Bombing Group effettuò una missione contro il ponte sul Ticino di Galliate, in provincia di Novara – un altro ponte dannato, difeso da una contraerea particolarmente precisa. Un bimotore, colpito, si trascinò in direzione sud-ovest, e infine, intorno alle 16, precipitava nelle vicinanze di Pollenzo, nell’Astigiano. Dei membri dell’equipaggio, uno, il sergente John Enko, operatore radio, dunque collega di Harris, era caduto con il paracadute su un palo e vi morì infilzato. Un altro, il mitragliere Arthur Grace, venne invece catturato dai tedeschi, che si erano subito messi a rastrellare la zona [7].
Secondo la testimonianza di Vincenzo[8] Ciravegna, un barcaiolo del posto, sarebbero stati catturati tutti, <<se un contadino dipendente dalla Casa Reale, certo Garrone, non si fosse affrettato ad accompagnarli oltre il muricciolo verso la regione Fraschetta, in territorio di Cherasco. Qui, una ragazza quindicenne, certa Bollano Anna, li vide e, avendo scorto nello stesso tempo a poca distanza una pattuglia di tedeschi, indicò loro un bosco vicino, nel quale gli aviatori americani poterono celarsi.>> [9] Cesare Bollano, il padre di Anna, rifocillò gli aviatori, poi chiese a Vincenzo Ciravegna di trasportarli sulla sponda opposta del Tanaro. Il trasbordo avvenne la notte seguente: Ciravegna fu aiutato dal figlio Domenico, diciassettenne.
Nel frattempo si erano attivati anche i partigiani. Nella zona operava un’altra formazione autonoma, la Divisione Bra, comandata da Icilio Ronchi Della Rocca. Ronchi aveva inviato i suoi uomini sul luogo dove s’era schiantato l’aereo: dalla carcassa, essi avevano prelevato due mitragliatrici e altri strumenti. Poi erano riusciti a rintracciare i superstiti. Erano quattro, riferisce Ronchi, <<tremanti e spauriti>> [10].
Ronchi prese contatto con la Missione britannica. Gli aviatori incontrarono il maggiore Temple, che promise loro di impegnarsi a farli rientrare. Nel frattempo, gli americani decisero di restare assieme ai partigiani di Icilio Ronchi. Uno dei mitraglieri, Bernard Garvey, fece da istruttore ai partigiani, spiegando loro come utilizzare le mitragliatrici prelevate. Domenica 12 ottobre erano tutti a tavola con Ronchi, quando avvenne un aviolancio di rifornimenti alle formazioni autonome. Ronchi ricorda che, nel vedere gli apparecchi in cielo, gli americani si emozionarono.
<<Vi sentireste di fare per noi un simile lancio?>>, domandò Ronchi.
Harry Collins, l’ufficiale pilota, rispose: <<Fatemi partire e vi prometto che vi lancerò le sigarette proprio qui al comando!>>
Non sappiamo se Collins potè mantenere la promessa. Di certo, tre giorni dopo, Ronchi fece scortare gli aviatori a Vesime, dove era pronto il campo d’aviazione. I quattro giunsero in tempo per assistere all’arrivo del Lysander e per assicurarsi un posto sul volo di ritorno del B-25. [11] La lista d’imbarco, purtroppo per Walker Harris, era lunga. L’11 novembre si era aggiunto un altro equipaggio, recuperato dai partigiani, che dovettero affrontare uno scontro con i tedeschi. Il loro aereo, sempre un B-25, era precipitato a Baldichieri d’Asti. Dei sette aviatori a bordo, uno solo venne catturato; gli altri furono portati in salvo [12].
Harris non riferisce di aver incontrato qualcuno di questi suoi compagni d’arme. Viceversa, menziona il nome di Ardell Klemme, un pilota di cacciabombardieri, con il quale sarebbe rimasto in amicizia per tutta la vita.
Klemme era caduto in prossimità di Breme, in Lomellina. E’ interessante notare come gli aviatori finiti in quel lembo di pianura pavese chiamato Lomellina potessero andare incontro ai più diversi destini. Tre mitraglieri, seminati il 4 settembre nel territorio di Mortara da un B-26 in caduta, che infine si schiantò nel Novarese, furono raccolti e avviati alle formazioni dell’Ossola, da dove passarono in Svizzera [13]. Il 20 ottobre, il mitragliere di un B-25 fu nascosto da un contadino presso Pieve Albignola: l’uomo avvisò il figlio, partigiano nell’Oltrepò Pavese nella Divisione di Giustizia e Libertà Masia, che fece passare l’aviatore in Svizzera attraverso Milano [14].
Sono stati individuati con certezza i nomi di quattro di quegli aviatori, che però appartenevano a un altro B-25, precipitato il 19 ottobre precedente. Quel giorno, il 381° Squadron del 310° Bombing Group effettuò una missione contro il ponte sul Ticino di Galliate, in provincia di Novara – un altro ponte dannato, difeso da una contraerea particolarmente precisa. Un bimotore, colpito, si trascinò in direzione sud-ovest, e infine, intorno alle 16, precipitava nelle vicinanze di Pollenzo, nell’Astigiano. Dei membri dell’equipaggio, uno, il sergente John Enko, operatore radio, dunque collega di Harris, era caduto con il paracadute su un palo e vi morì infilzato. Un altro, il mitragliere Arthur Grace, venne invece catturato dai tedeschi, che si erano subito messi a rastrellare la zona [7].
Secondo la testimonianza di Vincenzo[8] Ciravegna, un barcaiolo del posto, sarebbero stati catturati tutti, <<se un contadino dipendente dalla Casa Reale, certo Garrone, non si fosse affrettato ad accompagnarli oltre il muricciolo verso la regione Fraschetta, in territorio di Cherasco. Qui, una ragazza quindicenne, certa Bollano Anna, li vide e, avendo scorto nello stesso tempo a poca distanza una pattuglia di tedeschi, indicò loro un bosco vicino, nel quale gli aviatori americani poterono celarsi.>> [9] Cesare Bollano, il padre di Anna, rifocillò gli aviatori, poi chiese a Vincenzo Ciravegna di trasportarli sulla sponda opposta del Tanaro. Il trasbordo avvenne la notte seguente: Ciravegna fu aiutato dal figlio Domenico, diciassettenne.
Nel frattempo si erano attivati anche i partigiani. Nella zona operava un’altra formazione autonoma, la Divisione Bra, comandata da Icilio Ronchi Della Rocca. Ronchi aveva inviato i suoi uomini sul luogo dove s’era schiantato l’aereo: dalla carcassa, essi avevano prelevato due mitragliatrici e altri strumenti. Poi erano riusciti a rintracciare i superstiti. Erano quattro, riferisce Ronchi, <<tremanti e spauriti>> [10].
Ronchi prese contatto con la Missione britannica. Gli aviatori incontrarono il maggiore Temple, che promise loro di impegnarsi a farli rientrare. Nel frattempo, gli americani decisero di restare assieme ai partigiani di Icilio Ronchi. Uno dei mitraglieri, Bernard Garvey, fece da istruttore ai partigiani, spiegando loro come utilizzare le mitragliatrici prelevate. Domenica 12 ottobre erano tutti a tavola con Ronchi, quando avvenne un aviolancio di rifornimenti alle formazioni autonome. Ronchi ricorda che, nel vedere gli apparecchi in cielo, gli americani si emozionarono.
<<Vi sentireste di fare per noi un simile lancio?>>, domandò Ronchi.
Harry Collins, l’ufficiale pilota, rispose: <<Fatemi partire e vi prometto che vi lancerò le sigarette proprio qui al comando!>>
Non sappiamo se Collins potè mantenere la promessa. Di certo, tre giorni dopo, Ronchi fece scortare gli aviatori a Vesime, dove era pronto il campo d’aviazione. I quattro giunsero in tempo per assistere all’arrivo del Lysander e per assicurarsi un posto sul volo di ritorno del B-25. [11] La lista d’imbarco, purtroppo per Walker Harris, era lunga. L’11 novembre si era aggiunto un altro equipaggio, recuperato dai partigiani, che dovettero affrontare uno scontro con i tedeschi. Il loro aereo, sempre un B-25, era precipitato a Baldichieri d’Asti. Dei sette aviatori a bordo, uno solo venne catturato; gli altri furono portati in salvo [12].
Harris non riferisce di aver incontrato qualcuno di questi suoi compagni d’arme. Viceversa, menziona il nome di Ardell Klemme, un pilota di cacciabombardieri, con il quale sarebbe rimasto in amicizia per tutta la vita.
Klemme era caduto in prossimità di Breme, in Lomellina. E’ interessante notare come gli aviatori finiti in quel lembo di pianura pavese chiamato Lomellina potessero andare incontro ai più diversi destini. Tre mitraglieri, seminati il 4 settembre nel territorio di Mortara da un B-26 in caduta, che infine si schiantò nel Novarese, furono raccolti e avviati alle formazioni dell’Ossola, da dove passarono in Svizzera [13]. Il 20 ottobre, il mitragliere di un B-25 fu nascosto da un contadino presso Pieve Albignola: l’uomo avvisò il figlio, partigiano nell’Oltrepò Pavese nella Divisione di Giustizia e Libertà Masia, che fece passare l’aviatore in Svizzera attraverso Milano [14].
Klemme, caduto al confine con il Piemonte, fu dunque indirizzato verso il Monferrato e si ritrovò con Harris. Entrambi, purtroppo, persero il volo del 19 novembre. Il giorno successivo, i tedeschi attaccarono il campo d’aviazione di Vesime, se ne impadronirono e dissestarono il terreno di volo arandolo ripetutamente. I partigiani sarebbero nuovamente riusciti a rimetterlo in funzione, ma non prima della primavera successiva. Sfumata questa possibilità, Augusto Bobbio decise di trasferire Harris e Klemme a Prea, nella zona di Cuneo.
I due aviatori, marciando sempre di notte, giunsero a Prea tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 1944. Furono presi in consegna dai partigiani di un’altra formazione autonoma, la Divisione Alpi di Pietro Cosa, che operava in collegamento con una Missione militare anch’essa britannica.
Di quest’ultima Missione aveva fatto parte, tra agosto e ottobre, un singolare personaggio, il capitano canadese Paul Morton. Morton era un giornalista ed era stato paracadutato con il compito di inviare corrispondenze di guerra al Toronto Star. Esibire un corrispondente dietro le linee nemiche era una mossa di forte impatto propagandistico, come ben sapevano le autorità britanniche, attente a questi dettagli. Morton era stato tra i primi a contribuire al passaggio in Francia di aviatori ed ex prigionieri attraverso un sentiero che si inerpicava sul Colle di Tenda. Dopo lo sbarco alleato in Provenza, infatti, le forze tedesche erano state respinte da un’ampia parte della Francia meridionale.
Nelle memorie scritte dopo la guerra, Morton ricorda <<un pilota da caccia del Nebraska>> che gli diede non pochi grattacapi: <<mi annunciò che, poiché il suo addestramento era costato al suo governo più di centomila dollari, lui era l’uomo di maggior valore tra tutti noi, e perciò avrebbe dovuto andare in Francia per primo.>> Morton diede una lunga occhiata alle vette innevate delle Alpi, quindi ribattè che, per parte sua, il pilota poteva andarsene in Francia anche subito [15]. Quel pilota era certamente Reginald Jacobson, nato, appunto, in Nebraska nel 1921 e abbattuto in settembre presso Saluzzo.
Quando Harris arrivò a Prea, Paul Morton era già stato richiamato. Il mutato clima politico-militare nei confronti della Resistenza aveva indotto le autorità britanniche a censurare i suoi articoli e a rispedirlo in Canada [16]. Intanto, era ancora a mordere il freno Reginald Jacobson, malgrado nel frattempo almeno due gruppi fossero passati in Francia.
Non vi fu tempo per organizzare la partenza di un nuovo gruppo. Il 2 dicembre le forze tedesche attaccarono le zone libere del Piemonte Meridionale. Gli aviatori vennero separati: Harris e Jacobson furono avviati in direzione Sud, verso la Liguria. L’estremo Ponente ligure, infatti, dopo l’arrivo delle forze alleate nella Costa Azzurra, era diventato un importante punto di partenza per chi volesse tentare di passare le linee.
Molti aviatori caduti in Piemonte o in Liguria venivano indirizzati verso l’Imperiese: tra di essi, anche Ian Smith, futuro presidente della Rhodesia, all’epoca pilota da caccia nella RAF [17]. La Resistenza italiana attivò addirittura un Gruppo Sbarchi: piccole imbarcazioni prendevano il largo dal litorale di Vallecrosia per poi sbarcare sulla Costa Azzurra[18].
Walker Harris fu aggregato al Battaglione Garibaldi Candido Queirolo, comandato da Domenico Simi Gori, che affiancò il Gruppo Sbarchi nell’organizzare il passaggio in Francia di ex prigionieri e aviatori alleati. Harris trascorse circa due mesi sui monti nell’entroterra di Taggia: era iniziato l’inverno, un inverno particolarmente aspro, che coincideva con una fase critica per la Resistenza. Successivamente fu nascosto in una cava nei pressi di Ceriana, in mezzo agli ulivi.
Qui lo vennero a stanare i soldati tedeschi, informati da una delazione. Harris venne pertanto incarcerato a Sanremo. Lo interrogò un ufficiale della Kriegsmarine, Georg Sessler, <<che ci ha sempre trattati bene, nei limiti della sua autorità e delle circostanze>>, ricorda l’aviatore. Di quei giorni, ad Harris rimase impresso anche il bombardamento navale subito dalla città: un incrociatore francese, infatti, il Jeanne D’Arc, periodicamente compariva al largo e cannoneggiava Sanremo [19]. In seguito, Harris venne tradotto a Genova e rinchiuso nel carcere di Marassi.
L’odissea del giovane aviatore durava ormai da mesi. La campagna d’Italia volgeva al termine e la Resistenza si preparava all’insurrezione finale. Il comando tedesco dispose di trasferire Harris e altri prigionieri in Germania, ma il veicolo su cui erano stati caricati fu bloccato dai partigiani e l’aviatore recuperò la libertà. Il 27 aprile le truppe americane entravano a Genova.
Harris si riunì ai suoi e rientrò negli Stati Uniti, dove ha vissuto sino al 3 giugno 2008, data della sua scomparsa. Negli anni della maturità era tornato più volte in Italia, ad incontrare ex partigiani e i loro discendenti, a ripercorrere i luoghi delle sue avventure di gioventù e a fare scorta di spumante. Nel 2003 è stato intervistato dalla Stampa, che lo ha promosso ufficiale pilota e messo ai comandi del suo B-25, e ha ringraziato gli italiani che lo avevano aiutato [20].
I due aviatori, marciando sempre di notte, giunsero a Prea tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 1944. Furono presi in consegna dai partigiani di un’altra formazione autonoma, la Divisione Alpi di Pietro Cosa, che operava in collegamento con una Missione militare anch’essa britannica.
Di quest’ultima Missione aveva fatto parte, tra agosto e ottobre, un singolare personaggio, il capitano canadese Paul Morton. Morton era un giornalista ed era stato paracadutato con il compito di inviare corrispondenze di guerra al Toronto Star. Esibire un corrispondente dietro le linee nemiche era una mossa di forte impatto propagandistico, come ben sapevano le autorità britanniche, attente a questi dettagli. Morton era stato tra i primi a contribuire al passaggio in Francia di aviatori ed ex prigionieri attraverso un sentiero che si inerpicava sul Colle di Tenda. Dopo lo sbarco alleato in Provenza, infatti, le forze tedesche erano state respinte da un’ampia parte della Francia meridionale.
Nelle memorie scritte dopo la guerra, Morton ricorda <<un pilota da caccia del Nebraska>> che gli diede non pochi grattacapi: <<mi annunciò che, poiché il suo addestramento era costato al suo governo più di centomila dollari, lui era l’uomo di maggior valore tra tutti noi, e perciò avrebbe dovuto andare in Francia per primo.>> Morton diede una lunga occhiata alle vette innevate delle Alpi, quindi ribattè che, per parte sua, il pilota poteva andarsene in Francia anche subito [15]. Quel pilota era certamente Reginald Jacobson, nato, appunto, in Nebraska nel 1921 e abbattuto in settembre presso Saluzzo.
Quando Harris arrivò a Prea, Paul Morton era già stato richiamato. Il mutato clima politico-militare nei confronti della Resistenza aveva indotto le autorità britanniche a censurare i suoi articoli e a rispedirlo in Canada [16]. Intanto, era ancora a mordere il freno Reginald Jacobson, malgrado nel frattempo almeno due gruppi fossero passati in Francia.
Non vi fu tempo per organizzare la partenza di un nuovo gruppo. Il 2 dicembre le forze tedesche attaccarono le zone libere del Piemonte Meridionale. Gli aviatori vennero separati: Harris e Jacobson furono avviati in direzione Sud, verso la Liguria. L’estremo Ponente ligure, infatti, dopo l’arrivo delle forze alleate nella Costa Azzurra, era diventato un importante punto di partenza per chi volesse tentare di passare le linee.
Molti aviatori caduti in Piemonte o in Liguria venivano indirizzati verso l’Imperiese: tra di essi, anche Ian Smith, futuro presidente della Rhodesia, all’epoca pilota da caccia nella RAF [17]. La Resistenza italiana attivò addirittura un Gruppo Sbarchi: piccole imbarcazioni prendevano il largo dal litorale di Vallecrosia per poi sbarcare sulla Costa Azzurra[18].
Walker Harris fu aggregato al Battaglione Garibaldi Candido Queirolo, comandato da Domenico Simi Gori, che affiancò il Gruppo Sbarchi nell’organizzare il passaggio in Francia di ex prigionieri e aviatori alleati. Harris trascorse circa due mesi sui monti nell’entroterra di Taggia: era iniziato l’inverno, un inverno particolarmente aspro, che coincideva con una fase critica per la Resistenza. Successivamente fu nascosto in una cava nei pressi di Ceriana, in mezzo agli ulivi.
Qui lo vennero a stanare i soldati tedeschi, informati da una delazione. Harris venne pertanto incarcerato a Sanremo. Lo interrogò un ufficiale della Kriegsmarine, Georg Sessler, <<che ci ha sempre trattati bene, nei limiti della sua autorità e delle circostanze>>, ricorda l’aviatore. Di quei giorni, ad Harris rimase impresso anche il bombardamento navale subito dalla città: un incrociatore francese, infatti, il Jeanne D’Arc, periodicamente compariva al largo e cannoneggiava Sanremo [19]. In seguito, Harris venne tradotto a Genova e rinchiuso nel carcere di Marassi.
L’odissea del giovane aviatore durava ormai da mesi. La campagna d’Italia volgeva al termine e la Resistenza si preparava all’insurrezione finale. Il comando tedesco dispose di trasferire Harris e altri prigionieri in Germania, ma il veicolo su cui erano stati caricati fu bloccato dai partigiani e l’aviatore recuperò la libertà. Il 27 aprile le truppe americane entravano a Genova.
Harris si riunì ai suoi e rientrò negli Stati Uniti, dove ha vissuto sino al 3 giugno 2008, data della sua scomparsa. Negli anni della maturità era tornato più volte in Italia, ad incontrare ex partigiani e i loro discendenti, a ripercorrere i luoghi delle sue avventure di gioventù e a fare scorta di spumante. Nel 2003 è stato intervistato dalla Stampa, che lo ha promosso ufficiale pilota e messo ai comandi del suo B-25, e ha ringraziato gli italiani che lo avevano aiutato [20].
[1] Un resoconto relativo alla zona del Monferrato in: Aldo Rimossi, Bombardate Casale, “Il Monferrato”, 5 gennaio 2008.
[2] Il racconto che Walker Harris ha fatto della propria avventura si può leggere in rete nel sito: www.warwingsart.com/12thairforce/harris.html. Le citazioni successive provengono da questa fonte.
[3] L’equipaggio, oltre che da Harris, era composto da: Donald Rossler, pilota, dell’Ohio; James Gittings, copilota, del Massachussetts; Sidney Newman, puntatore, anch’egli del Massachussetts; Chester Corle, del Michigan, e il citato Mallicoat, mitraglieri.
[4] Il rapporto sull’abbattimento dell’aereo (Missing Air Crew Report, MACR, 9711), è consultabile in rete sul sito www.Fold3.com. Due aviatori, Myron Rheinard e George Brown, assistettero alla caduta del bimotore.
[5] Massimiliano Tenconi, , Prigionia, sopravvivenza e Resistenza. Storie di australiani e neozelandesi in provincia di Vercelli (1943-1945), “L’Impegno”, giugno 2008.
[6] Alizia Usai, L’organizzazione degli aiuti alla Resistenza, “Quaderni Savonesi”, 24/aprile 2011, pp. 16-20.
[7] I superstiti erano: Harry Collins, pilota, Charles Prasse, copilota, Robert Bonnavjat, puntatore, Bernard Garvey, mitragliere.
[8] MACR 9443. Icilio Ronchi indica nel 20 ottobre la data dell’abbattimento di questo bombardiere, mentre altre fonti riportano il 18 o il 19. Il documento americano permette di fissare con sicurezza la data al 19 ottobre.
[9] Archivio Istituto per la Storia della Resistenza di Torino (ISTORECO), Fondo Borghi, dichiarazione datata 29 maggio 1945.
[10] Missioni alleate e partigiani autonomi. Atti del convegno internazionale, Torino 21-22 ottobre 1978, Cuneo 1980, pp. 259-60.
[11] Icilio Ronchi Della Rocca, Ricordi di un partigiano. La Resistenza nel Braidese, Torino, Associazione Partigiani Autonomi, 1965, p. 182.
[12] L’aereo era un B-25 del 310° Bomb Group, 379° Squadron, anch’esso impegnato in una missione contro il ponte di Casale. MACR 9851. Cfr. Missioni alleate e partigiani autonomi cit., p. 260 e ISTORECO, Fondo Borghi, Dichiarazione di Pier Adolfo Giudice. I superstiti erano Laverle Haching, pilota, Joseph Rademacher, copilota, Constantin Mitchell, Navigatore, Basil Temple, puntatore, Carl Raisig, operatore radio e Francis Mac Grath, mitragliere.
[13] La loro fu una vicenda particolarmente drammatica, in quanto due di essi,Donald Lundgren e John McGowan, respinti alla frontiera dai gendarmi svizzeri, morirono assiderati. Si salvò il terzo, Leonard Hoyne. Ho ricostruito la vicenda in La tragedia del Baby Shoes, “L’Impegno”, giugno 2013.
[14] MACR 9442. L’aviatore si chiamava William Mabbutt e il partigiano Battista Fasce: informazioni cortesemente fornitemi dal professor Agostino Alberti, che ha svolto un’indagine sull’episodio.
[15] Paul Morton, Missione Inside tra i partigiani del Nord Italia, Cuneo, L’Arciere, 1979, p. 91.
[16] In tempi recenti, un altro giornalista canadese, Dan North, ha svolto una ricerca storica per ricostruire la vicenda di Morton, venendo anche in Italia: Alberto Papuzzi, Sulle tracce di Paul Morton, il reporter partigiano che il Toronto Star censurò, “La Stampa”, 8 luglio 2008. Dalla ricerca è nato il libro Inappropriate conduct, pubblicato nel 2009.
[17] Ian Smith, ufficiale pilota di uno Spitfire, fu abbattuto il 22 giugno 1944 e precipitò in località Vallescura, nel Savonese: Bruno Chionetti-Riccardo Rosa-Gianluigi Usai, Aerei su Savona. Storie di piloti ed aerei caduti in provincia di Savona, Voghera, Marvia, 2010.
[18] Giuseppe Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Imperia, ISREC, 2000.
[19] Secondo il diario di guerra di Giuseppe Biancheri, messo in rete nel sito www.cumpagniadiventemigliusi.it., l’incrociatore cannoneggiò Sanremo il 6 febbraio, il 2, il 20 e il 31 marzo, il 12 e il 15 aprile 1945.
[20] Così bombardai il ponte di Casale, “La Stampa”, edizione di Alessandria, 6 maggio 2003.
[2] Il racconto che Walker Harris ha fatto della propria avventura si può leggere in rete nel sito: www.warwingsart.com/12thairforce/harris.html. Le citazioni successive provengono da questa fonte.
[3] L’equipaggio, oltre che da Harris, era composto da: Donald Rossler, pilota, dell’Ohio; James Gittings, copilota, del Massachussetts; Sidney Newman, puntatore, anch’egli del Massachussetts; Chester Corle, del Michigan, e il citato Mallicoat, mitraglieri.
[4] Il rapporto sull’abbattimento dell’aereo (Missing Air Crew Report, MACR, 9711), è consultabile in rete sul sito www.Fold3.com. Due aviatori, Myron Rheinard e George Brown, assistettero alla caduta del bimotore.
[5] Massimiliano Tenconi, , Prigionia, sopravvivenza e Resistenza. Storie di australiani e neozelandesi in provincia di Vercelli (1943-1945), “L’Impegno”, giugno 2008.
[6] Alizia Usai, L’organizzazione degli aiuti alla Resistenza, “Quaderni Savonesi”, 24/aprile 2011, pp. 16-20.
[7] I superstiti erano: Harry Collins, pilota, Charles Prasse, copilota, Robert Bonnavjat, puntatore, Bernard Garvey, mitragliere.
[8] MACR 9443. Icilio Ronchi indica nel 20 ottobre la data dell’abbattimento di questo bombardiere, mentre altre fonti riportano il 18 o il 19. Il documento americano permette di fissare con sicurezza la data al 19 ottobre.
[9] Archivio Istituto per la Storia della Resistenza di Torino (ISTORECO), Fondo Borghi, dichiarazione datata 29 maggio 1945.
[10] Missioni alleate e partigiani autonomi. Atti del convegno internazionale, Torino 21-22 ottobre 1978, Cuneo 1980, pp. 259-60.
[11] Icilio Ronchi Della Rocca, Ricordi di un partigiano. La Resistenza nel Braidese, Torino, Associazione Partigiani Autonomi, 1965, p. 182.
[12] L’aereo era un B-25 del 310° Bomb Group, 379° Squadron, anch’esso impegnato in una missione contro il ponte di Casale. MACR 9851. Cfr. Missioni alleate e partigiani autonomi cit., p. 260 e ISTORECO, Fondo Borghi, Dichiarazione di Pier Adolfo Giudice. I superstiti erano Laverle Haching, pilota, Joseph Rademacher, copilota, Constantin Mitchell, Navigatore, Basil Temple, puntatore, Carl Raisig, operatore radio e Francis Mac Grath, mitragliere.
[13] La loro fu una vicenda particolarmente drammatica, in quanto due di essi,Donald Lundgren e John McGowan, respinti alla frontiera dai gendarmi svizzeri, morirono assiderati. Si salvò il terzo, Leonard Hoyne. Ho ricostruito la vicenda in La tragedia del Baby Shoes, “L’Impegno”, giugno 2013.
[14] MACR 9442. L’aviatore si chiamava William Mabbutt e il partigiano Battista Fasce: informazioni cortesemente fornitemi dal professor Agostino Alberti, che ha svolto un’indagine sull’episodio.
[15] Paul Morton, Missione Inside tra i partigiani del Nord Italia, Cuneo, L’Arciere, 1979, p. 91.
[16] In tempi recenti, un altro giornalista canadese, Dan North, ha svolto una ricerca storica per ricostruire la vicenda di Morton, venendo anche in Italia: Alberto Papuzzi, Sulle tracce di Paul Morton, il reporter partigiano che il Toronto Star censurò, “La Stampa”, 8 luglio 2008. Dalla ricerca è nato il libro Inappropriate conduct, pubblicato nel 2009.
[17] Ian Smith, ufficiale pilota di uno Spitfire, fu abbattuto il 22 giugno 1944 e precipitò in località Vallescura, nel Savonese: Bruno Chionetti-Riccardo Rosa-Gianluigi Usai, Aerei su Savona. Storie di piloti ed aerei caduti in provincia di Savona, Voghera, Marvia, 2010.
[18] Giuseppe Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Imperia, ISREC, 2000.
[19] Secondo il diario di guerra di Giuseppe Biancheri, messo in rete nel sito www.cumpagniadiventemigliusi.it., l’incrociatore cannoneggiò Sanremo il 6 febbraio, il 2, il 20 e il 31 marzo, il 12 e il 15 aprile 1945.
[20] Così bombardai il ponte di Casale, “La Stampa”, edizione di Alessandria, 6 maggio 2003.