Il sentiero di Giovanni lo Slavo
di Giuseppe Zurla
di Giuseppe Zurla
Grazie alla passione e alla competenza di Franco Sorenti, figlio del partigiano Giacomo che era nella formazione di Giovanni lo Slavo (nome di battaglia, Matteotti) gli itinerari partigiani dell’alta Val D’Arda si arricchiscono di altri 3 sentieri. A quello già collaudato di cui scriveremo più sotto, si aggiungono in successione: 1) Settesorelle-Luneto; 2) Morfasso-Teruzzi-anello del Mte. Lama; 3) Guselli-Rocchetta-Morfasso. Nei giorni scorsi, con l’autore e alcuni amici abbiamo ripercorso quello già aperto da qualche anno denominato “Giovanni Lo Slavo”, tabellato GLS. Parte da Dadomo, il nucleo più grande dell’abitato sparso di Settesorelle, e risale la valle sul versante destro dell’Arda fino ad arrivare alla cima della Rocca dei Casali. All’inizio più in basso si sfiorano le case di Osteria dove Giovanni aveva la sua base, ma che ora, totalmente ristrutturate con gusto residenziale, conservano ben poco della loro antica architettura di montagna.
Ci s’inoltra nel bosco traversando diversi rigagnoli, ora desolatamente secchi, e si arriva infine a Gariboia dove, fra diversi ruderi, ancora resiste la casa di Dino Bergonzi. E’ un posto della memoria, importante per la Resistenza, la storia dell’Italia Repubblicana è stata fatta anche da quelle parti e il comandante Giuseppe Prati nel libro “Figli di nessuno” cosi descrive l’importante riunione che vi si svolse Domenica, 16 Aprile 1944.
"Erano presenti fra gli altri: Inzani, Giovanni lo Slavo, Macao (Maccagni), Dante (Dante Croci) e altri. Il convegno aveva lo scopo di creare sul Monte Lama, che era stato prescelto quale 1° quartier generale, un centro di reclutamento e base di operazioni. Il tempo era favorevole, luogo dell’appuntamento la casa di Dino (Dino Bergonzi), una bicocca di 3 case e 2 stalle aggrappate alla ripida sponda destra dell’Arda. Ci trovammo in una trentina confluiti un po’ da tutte le zone. Non ci furono molte parole. I moschetti allineati sul tavolo rustico della cucina erano 15, ma qualcuno era scassato. Poche le munizioni e soltanto una ventina di bombe a mano del tipo “Balilla”. Io, che conoscevo le zone, ero incaricato di guidare quello sparuto gruppetto fino al monte Lama per piantarvi le prime tende. I 15 volontari, tale era il numero che poteva essere armato, furono scelti con criterio di rappresentanza delle varie zone. Venivano da Settesorelle, Sperongia, Morfasso e Pedina, 2 dalla città. Era circa mezzanotte quando c’incamminammo. In quel preciso momento nasceva, anche di fatto, la 38° Brigata d’Assalto Garibaldi. Il percorso avvenne sulle mulattiere che da Gariboia portavano a Pedina, Teruzzi e poi al Lama. Era prevista, come sempre una breve sosta all’osteria del Peppo."
"Erano presenti fra gli altri: Inzani, Giovanni lo Slavo, Macao (Maccagni), Dante (Dante Croci) e altri. Il convegno aveva lo scopo di creare sul Monte Lama, che era stato prescelto quale 1° quartier generale, un centro di reclutamento e base di operazioni. Il tempo era favorevole, luogo dell’appuntamento la casa di Dino (Dino Bergonzi), una bicocca di 3 case e 2 stalle aggrappate alla ripida sponda destra dell’Arda. Ci trovammo in una trentina confluiti un po’ da tutte le zone. Non ci furono molte parole. I moschetti allineati sul tavolo rustico della cucina erano 15, ma qualcuno era scassato. Poche le munizioni e soltanto una ventina di bombe a mano del tipo “Balilla”. Io, che conoscevo le zone, ero incaricato di guidare quello sparuto gruppetto fino al monte Lama per piantarvi le prime tende. I 15 volontari, tale era il numero che poteva essere armato, furono scelti con criterio di rappresentanza delle varie zone. Venivano da Settesorelle, Sperongia, Morfasso e Pedina, 2 dalla città. Era circa mezzanotte quando c’incamminammo. In quel preciso momento nasceva, anche di fatto, la 38° Brigata d’Assalto Garibaldi. Il percorso avvenne sulle mulattiere che da Gariboia portavano a Pedina, Teruzzi e poi al Lama. Era prevista, come sempre una breve sosta all’osteria del Peppo."
A Gariboia, ogni volta che vi passiamo aumentano le macerie, nel dopoguerra il posto è stato abbandonato e tra non molto, crollati tutti i vecchi tetti in ciappe le intemperie e la vegetazione avranno il sopravvento, un vero peccato. Da li il sentiero comincia a salire ed entra nel bosco. E’ un castagneto secolare che sta morendo con piante giganti dai tronchi contorti parzialmente ammalorati, , nessuno intervento umano da chissà quanti anni, rami marci un po’ ovunque. Un cartello ci avverte che a pochi metri vi sono altri ruderi. Sono quelli della “Casa del Cucù” che una volta ospitò partigiani combattenti e renitenti alla leva. Dell’antica costruzione resta ancora qualcosa dei muri perimetrali e uno spigolo stretto e alto che punta verso il cielo. Il posto era un crocevia di itinerari che ora non sono più agibili quindi torniamo sul sentiero principale che seguiamo fino a Rocca Casali un nucleo ora deserto e abbandonato con qualche casa in sasso. I residenti l’hanno ricostruito in basso in posizione più agevole e chiamato Case Nuove dove è possibile rifornirsi d’acqua. Il programma prevede la visita a un sito denominato “La grotta dell’eccidio” ma per comprendere quanto e perché successe occorre fare una premessa. Era il 5 di gennaio del 1945 ed ecco, come un regalo della Befana la neve, che dapprima sembra cadere in sordina, poi in continuo arriva a 1 metro a Morfasso e 1 metro e mezzo alle quote più alte, proprio mentre stava per iniziare il più lungo e feroce rastrellamento di tutta la guerra partigiana. Non ci può essere nessun paragone fra le forze in campo. La divisione Val D’Arda allora arrivava a schierare non più di 600 unità, dall’altra parte (dati tratti dal libro “Memorie di vita partigiana” di Oreste Scaglioni) il meglio di cui potevano disporre i nazifascisti. La 64° Turcomanna, la 49° SS Italiana, 3 Reggimenti di bersaglieri e poi la Divisione Littorio, la Decima Mas, la Leonessa (gruppo corazzato) e le brigate nere Mussolini di Lucca e la Pippo Astori di Piacenza per un totale di più di 15000 uomini.
Sotto a una bufera che rendeva difficoltoso il cammino e la visibilità una lunga fila di partigiani scendeva dai Guselli e marciava per sfuggire al rastrellamento. Un gruppo decideva d’inerpicarsi verso il monte Lama, altri, 8/10 persone fra i quali erano 2 carabinieri preferirono abbassarsi sulla strada di Pedina e dopo aver bussato invano alla canonica (il reverendo era assente) scesero al mulino sottostante per passare la notte e proseguire il giorno dopo. Per un concorso di eventi negativi fu una decisione tragica. All’alba, nonostante la nevicata, giunse a Pedina una squadra tedesca che riuscì a farsi strada perché dotata di un automezzo semicingolato che venne parcheggiato sul sagrato della chiesa mentre una pattuglia seguì nella neve le tracce che i partigiani avevano lasciato la sera prima. Arrivarono al mulino passarono l’Arda e risalirono la mulattiera fino a Rocca. Qui trovarono un vecchio e puntandogli una pistola alla testa, lo obbligarono a fare da guida (e scudo) per raggiungere i fuggiaschi. Nel frattempo i partigiani camminavano faticosamente a mezza costa sul versante destro in direzione Settesorelle. Nuvole basse riducevano la visibilità a pochi metri ma, proprio quando il gruppetto si trovava in un tratto scoperto ecco alzarsi un vento che spazzò la nebbia e consentì la vista dall’altra parte fino alla chiesa. Ovviamente i tedeschi intravedono le prede e partono ordini secchi. Non sono più di 500 metri ma i partigiani semiaffondati nella neve hanno i movimenti impediti e non riescono a mettersi al coperto. Partono raffiche della mitragliatrice che in successione batte tutto il versante ed è una strage. Alcuni muoiono sul colpo i feriti verranno raggiunti e finiti dagli inseguitori con un colpo in testa. I nazisti proseguono il cammino forse perché vedono altre orme e arrivano a degli enormi sassoni probabilmente scesi dalla Rocca durante i terremoti delle ere geologiche. In una apertura fra un sasso e l’altro si era formata una sorta di grotta naturale e vi avevano trovato rifugio 2 ragazzi diciottenni probabilmente non partigiani ma semplicemente renitenti ai bandi di leva che stavano nascosti in attesa della fine della guerra. Non ci sono testimonianze dirette sulla dinamica ma è certo che i 2 sfortunati vennero trucidati sul posto. Anche per loro non vi fu nessuna pietà. Qualcuno, a ricordo dell’evento, ha messo un quadretto con i loro nomi. Ritorniamo sul sentiero e saliamo fino alla vetta della Rocca dei Casali un posto molto panoramico da dove la vista spazia sui monti da cui hanno origine la Val D’Arda e Val Chero. In passato doveva essere un luogo fortificato con tanto di cinta muraria di cui rimangono qua e la alcuni tratti. La strada che prendiamo per tornare è una delle tante vie del sale o dell’olio che, in direzione opposta, andava al passo del Pelizzone e poi in Liguria, forse sulla Rocca stavano i gabellieri per riscuotere i dazi di quegli antichi commerci. Nemmeno un’ora in dolce discesa per arrivare a Dadomo da dove eravamo partiti al mattino. E’ stata una bella giornata. Percorrere i sentieri del nostro Appennino è molto gratificante, poi, conoscerne la storia è certamente un valore aggiunto. Non dobbiamo mai dimenticare che dalla fine del 1943 all’Aprile del 1945 un po’ in tutta Italia, ma specialmente sulle nostre montagne, si è combattuta (e vinta) l’unica guerra di popolo di tutta la nostra bimillenaria storia.