Franco Bacigalupi, un piacentino nella Flak
di Paolo A. Dossena e Arrigo Francani
di Paolo A. Dossena e Arrigo Francani
Foto sopra: Franco Bacigalupi quando prestava servizio nella Flak
Nel 2018, Paolo A. Dossena viene giù da Lugano (Svizzera) e appare ad Alseno (Piacenza) dove era stato invitato e dove è accolto dal suo amico Arrigo Francani. Arrigo è un grande conoscitore di storia e di uniformologia, oltre a essere uno dei gestori e curatori del Museo della Resistenza Piacentina (Sperongia, comune di Morfasso, provincia di Piacenza).
Arrigo accompagna Paolo A. Dossena da Franco Bacigalupi (1924-2019) uno stimato abitante di Alseno che ha fatto la guerra nella Flak (contraerea) tedesca. Bacigalupi aveva regalato le sue medaglie e le sue fotografie del tempo di guerra all’esperto Francani, che ha sempre saputo valorizzare la propria enorme collezione di militaria.
L’intervista che segue raccoglie le domande che Francani e Dossena hanno fatto a Bacigalupi.
Arrigo accompagna Paolo A. Dossena da Franco Bacigalupi (1924-2019) uno stimato abitante di Alseno che ha fatto la guerra nella Flak (contraerea) tedesca. Bacigalupi aveva regalato le sue medaglie e le sue fotografie del tempo di guerra all’esperto Francani, che ha sempre saputo valorizzare la propria enorme collezione di militaria.
L’intervista che segue raccoglie le domande che Francani e Dossena hanno fatto a Bacigalupi.
L'intervista
«Quello mitragliava…se mi buttavo per terra venivo centrato in pieno, allora, me lo sono visto nel mirino e…»
Un ragazzo lasciato da solo contro un cacciabombardiere P-47 Thunderbolt sullo sfondo di una cittadina distrutta al 100%: Pontelagoscuro, 1944.
Ma cominciamo dall’inizio. Una vicenda rimasta finora quasi del tutto sconosciuta, è quella degli 84.000 italiani (dei quali 677 donne) che, dopo le vicende dell’8 settembre 1943, furono arruolati nella Flak, la contraerea tedesca, e che fecero la guerra in Germania, in Francia, nel Protettorato di Boemia e Moravia e in Italia.
Per esempio, la quarta batteria tedesca del gruppo di artiglieria schwere Flak-Abteilung 311 (v) era composta da lombardi delle classi 1924-1925. Questi avevano ricevuto la cartolina precetto della RSI, ma erano poi stati arruolati d’ufficio nella Flak. Arrivati alla batteria, che era al comando del tenente Thoma, rimpiazzarono soldati tedeschi ed ex prigionieri di guerra sovietici passati dalla parte della Germania.
Il signor Franco Bacigalupi, 95 anni, nato, vissuto e tutt’ora residente ad Alseno (Piacenza) è un veterano della quarta batteria, e ha gentilmente concesso questa intervista.
Signor Bacigalupi, dov’era posizionata la sua batteria?
"Dapprima eravamo a Seriate, poi ci hanno spostato a Treviso. Il 7 aprile 1944, Venerdì santo, la città è stata bombardata e distrutta. Siamo andati a tirare fuori i morti dalle macerie, li caricavamo sui camion. Gli americani hanno bombardato Treviso per sbaglio, volevano bombardare Tarvisio".
Era una voce molto insistente, ma, secondo gli storici di oggi, non attendibile.
«Non so, tra noi girava questa voce».
La quarta batteria tedesca difendeva la linea “Direttissima” Bologna-Firenze? Ha incontrato i soldati cechi dell’Esercito Governativo del Protettorato di Boemia e Moravia, che sorvegliavano quei binari?
"Si, a un certo punto eravamo tra Bologna e Sasso Marconi, ma non abbiamo visto soldati cechi. Eravamo un’unità che continuava a spostarsi, il 10 del mese eravamo in un posto, il 15 in un altro. C’erano sei cannoni da 88 per ogni batteria tedesca. Ogni cannone della nostra batteria aveva un nome: Anton, Berta, Cesar, Dora, Emil, Frieda. Ma poi sono arrivati anche Gustav e Hermann. Il nostro cannone era Cesar, io ero puntatore."
In certe unità Flak in Italia c’erano ex sudditi sovietici. Con voi ce n’erano?
"Con noi c’erano tedeschi e un paio di polacchi".
Il vostro comandante era il tenente Thoma, una persona corretta.
"Thoma era di Colonia dove era professore di italiano, lingua che parlava benissimo. La sera, quando eravamo a Vicenza, mi portava in calesse da mia sorella e mangiavamo insieme. Thoma ci trattava bene, era buono. Fece un corso di tedesco per gli italiani. Ci presentammo in dieci, ma il giorno dopo c’ero solo io. Allora ho smesso. Ma ormai un po’ di tedesco lo sapevo e facevo l’interprete".
Gli italiani della vostra unità erano tutti lombardi.
"Si, erano tutti di Como e di Lecco. Però c’eravamo anche io, di Alseno, e uno di Bologna, che poi è scomparso».
Ogni pezzo da 88 era manovrato da sette italiani comandati da un sottufficiale tedesco.
«Si, il nostro tedesco era uno di Colonia coi capelli neri, non sembrava nemmeno un tedesco. Era più ladro degli italiani. Una volta mi ha detto di andare con lui a Ferrara, siamo arrivati alla ferrovia e lui è salito su un treno. Ha buttato giù due scatoloni pieni di biancheria, roba preziosa, requisita. Uno scatolone se lo è tenuto, l’altro lo ha dato a me. Io l’ho preso ma poi non l’ho portato a casa".
Può raccontare di quando ha abbattuto l’aereo?
"Quando eravamo a Pontelagoscuro, vicino a Ferrara, difendevamo un ponte. Tutte le mattine, alle 10, arrivavano formazioni di aerei a bombardare il ponte. Non lo hanno quasi mai preso. Hanno anche bombardato una fabbrica di zucchero. Quando l’hanno colpita era pieno di zucchero dappertutto.
Una mattina arrivò un Thunderbolt, e venne l’ordine di buttarsi tutti a terra, e quello mitragliava. Ero in un punto rialzato che se mi buttavo per terra venivo centrato in pieno, allora, ero alla mitragliera, me lo sono visto nel mirino e ho tirato il grilletto. (1) Così ho abbattuto l’aereo. Il pilota è sceso giù da noi col paracadute, era giovane, poveretto. Era bravo. Aveva gettato via le bombe da un'altra parte per non colpirci, aveva già vuotato l’aereo. Ci ha solo mitragliato quando poteva bombardarci. Fu rispettato. Tremava: era un ufficiale giovane, parlava inglese. I tedeschi gli hanno dato da bere: gli faceva pena, tremava.
Poi gli aerei hanno distrutto il ponte, ma dopo due giorni c’era già un ponte fatto dai tedeschi appena sotto l’acqua. Sono stati svelti. Si passava anche coi mezzi, ma bisognava andare piano.
I tedeschi se facevamo quello che dicevano ci rispettavano e ci volevano bene. Ma una volta per punizione ci hanno fatto marciare sotto la pioggia e noi per protesta abbiamo cantato “Bandiera Rossa”, ma loro non hanno capito.
Per l’abbattimento dell’aereo mi hanno dato la croce di ferro. Cos’altro volevo? Gli ho detto: è un anno che vedo la mia famiglia. Allora mi hanno dato 10 giorni di licenza. Sono arrivato a Cremona e da lì ho camminato per due giorni fino ad Alseno.
Col binocolo ho anche visto gli aerei che andavano a bombardare Dresda. Saranno state 50 formazioni. Hanno oscurato il cielo. Ci hanno detto di non sparare, se no ci seppellivano, morivamo tutti.
Poi il comandante Thoma è morto, non ho più visto nessuno".
(1) Arrigo Francani (sulla base delle descrizioni di Franco Bacigalupi, incrociate con i documenti del suo archivio) ha poi ricostruito di che tipo di arma da fuoco si trattasse: era una mitragliera da 20mm (Flak 38).
Un ragazzo lasciato da solo contro un cacciabombardiere P-47 Thunderbolt sullo sfondo di una cittadina distrutta al 100%: Pontelagoscuro, 1944.
Ma cominciamo dall’inizio. Una vicenda rimasta finora quasi del tutto sconosciuta, è quella degli 84.000 italiani (dei quali 677 donne) che, dopo le vicende dell’8 settembre 1943, furono arruolati nella Flak, la contraerea tedesca, e che fecero la guerra in Germania, in Francia, nel Protettorato di Boemia e Moravia e in Italia.
Per esempio, la quarta batteria tedesca del gruppo di artiglieria schwere Flak-Abteilung 311 (v) era composta da lombardi delle classi 1924-1925. Questi avevano ricevuto la cartolina precetto della RSI, ma erano poi stati arruolati d’ufficio nella Flak. Arrivati alla batteria, che era al comando del tenente Thoma, rimpiazzarono soldati tedeschi ed ex prigionieri di guerra sovietici passati dalla parte della Germania.
Il signor Franco Bacigalupi, 95 anni, nato, vissuto e tutt’ora residente ad Alseno (Piacenza) è un veterano della quarta batteria, e ha gentilmente concesso questa intervista.
Signor Bacigalupi, dov’era posizionata la sua batteria?
"Dapprima eravamo a Seriate, poi ci hanno spostato a Treviso. Il 7 aprile 1944, Venerdì santo, la città è stata bombardata e distrutta. Siamo andati a tirare fuori i morti dalle macerie, li caricavamo sui camion. Gli americani hanno bombardato Treviso per sbaglio, volevano bombardare Tarvisio".
Era una voce molto insistente, ma, secondo gli storici di oggi, non attendibile.
«Non so, tra noi girava questa voce».
La quarta batteria tedesca difendeva la linea “Direttissima” Bologna-Firenze? Ha incontrato i soldati cechi dell’Esercito Governativo del Protettorato di Boemia e Moravia, che sorvegliavano quei binari?
"Si, a un certo punto eravamo tra Bologna e Sasso Marconi, ma non abbiamo visto soldati cechi. Eravamo un’unità che continuava a spostarsi, il 10 del mese eravamo in un posto, il 15 in un altro. C’erano sei cannoni da 88 per ogni batteria tedesca. Ogni cannone della nostra batteria aveva un nome: Anton, Berta, Cesar, Dora, Emil, Frieda. Ma poi sono arrivati anche Gustav e Hermann. Il nostro cannone era Cesar, io ero puntatore."
In certe unità Flak in Italia c’erano ex sudditi sovietici. Con voi ce n’erano?
"Con noi c’erano tedeschi e un paio di polacchi".
Il vostro comandante era il tenente Thoma, una persona corretta.
"Thoma era di Colonia dove era professore di italiano, lingua che parlava benissimo. La sera, quando eravamo a Vicenza, mi portava in calesse da mia sorella e mangiavamo insieme. Thoma ci trattava bene, era buono. Fece un corso di tedesco per gli italiani. Ci presentammo in dieci, ma il giorno dopo c’ero solo io. Allora ho smesso. Ma ormai un po’ di tedesco lo sapevo e facevo l’interprete".
Gli italiani della vostra unità erano tutti lombardi.
"Si, erano tutti di Como e di Lecco. Però c’eravamo anche io, di Alseno, e uno di Bologna, che poi è scomparso».
Ogni pezzo da 88 era manovrato da sette italiani comandati da un sottufficiale tedesco.
«Si, il nostro tedesco era uno di Colonia coi capelli neri, non sembrava nemmeno un tedesco. Era più ladro degli italiani. Una volta mi ha detto di andare con lui a Ferrara, siamo arrivati alla ferrovia e lui è salito su un treno. Ha buttato giù due scatoloni pieni di biancheria, roba preziosa, requisita. Uno scatolone se lo è tenuto, l’altro lo ha dato a me. Io l’ho preso ma poi non l’ho portato a casa".
Può raccontare di quando ha abbattuto l’aereo?
"Quando eravamo a Pontelagoscuro, vicino a Ferrara, difendevamo un ponte. Tutte le mattine, alle 10, arrivavano formazioni di aerei a bombardare il ponte. Non lo hanno quasi mai preso. Hanno anche bombardato una fabbrica di zucchero. Quando l’hanno colpita era pieno di zucchero dappertutto.
Una mattina arrivò un Thunderbolt, e venne l’ordine di buttarsi tutti a terra, e quello mitragliava. Ero in un punto rialzato che se mi buttavo per terra venivo centrato in pieno, allora, ero alla mitragliera, me lo sono visto nel mirino e ho tirato il grilletto. (1) Così ho abbattuto l’aereo. Il pilota è sceso giù da noi col paracadute, era giovane, poveretto. Era bravo. Aveva gettato via le bombe da un'altra parte per non colpirci, aveva già vuotato l’aereo. Ci ha solo mitragliato quando poteva bombardarci. Fu rispettato. Tremava: era un ufficiale giovane, parlava inglese. I tedeschi gli hanno dato da bere: gli faceva pena, tremava.
Poi gli aerei hanno distrutto il ponte, ma dopo due giorni c’era già un ponte fatto dai tedeschi appena sotto l’acqua. Sono stati svelti. Si passava anche coi mezzi, ma bisognava andare piano.
I tedeschi se facevamo quello che dicevano ci rispettavano e ci volevano bene. Ma una volta per punizione ci hanno fatto marciare sotto la pioggia e noi per protesta abbiamo cantato “Bandiera Rossa”, ma loro non hanno capito.
Per l’abbattimento dell’aereo mi hanno dato la croce di ferro. Cos’altro volevo? Gli ho detto: è un anno che vedo la mia famiglia. Allora mi hanno dato 10 giorni di licenza. Sono arrivato a Cremona e da lì ho camminato per due giorni fino ad Alseno.
Col binocolo ho anche visto gli aerei che andavano a bombardare Dresda. Saranno state 50 formazioni. Hanno oscurato il cielo. Ci hanno detto di non sparare, se no ci seppellivano, morivamo tutti.
Poi il comandante Thoma è morto, non ho più visto nessuno".
(1) Arrigo Francani (sulla base delle descrizioni di Franco Bacigalupi, incrociate con i documenti del suo archivio) ha poi ricostruito di che tipo di arma da fuoco si trattasse: era una mitragliera da 20mm (Flak 38).
Note
Questa intervista è parzialmente apparsa nel libro di Paolo A. Dossena Operation Mallory Major from Below. Women and Men under a Hailstorm of Bombs (Fonthill Media, 2021).
Le immagini che compaiono in questa pagina appartengono all'archivio di Arrigo Francani. Secondo le vigenti leggi non è consentito l'uso di esse se non dietro esplicito permesso scritto del proprietario.
Questa intervista è parzialmente apparsa nel libro di Paolo A. Dossena Operation Mallory Major from Below. Women and Men under a Hailstorm of Bombs (Fonthill Media, 2021).
Le immagini che compaiono in questa pagina appartengono all'archivio di Arrigo Francani. Secondo le vigenti leggi non è consentito l'uso di esse se non dietro esplicito permesso scritto del proprietario.
Fotografie e documenti
Pagina pubblicata il 04 ottobre 2022