Zeret, la grotta del disonore
di Pierlino Bergonzi
«Chi non ricorda, non vive!» (*)
“La guerra è finita, l’Etiopia è italiana”
Sul quotidiano di Piacenza “Libertà-La Scure” del 6 maggio 1936 si legge in prima pagina il resoconto delle operazioni militari in Africa Orientale. Lo scritto ha ovviamente toni trionfalistici: «Al suono delle campane e al sibilo delle sirene il popolo della Primogenita, tutto il popolo della città dalle gloriose tradizioni patriottiche e fasciste, si è ammassato nei luoghi di concentramento, dietro ai suoi gerarchi. Ed à [sic] ascoltato, fremendo di santo ardore, la parola del Duce, tra continue e prolungate manifestazioni all’indirizzo del Duce, dei gloriosi Caduti in A. O., dei valorosi Combattenti d’Africa e dell’Italia vittoriosa. Piazza dei Cavalli à vissuto un’ora che resterà memorabile nella storia secolare delle sue vicende.»
Nonostante i toni trionfalistici di Badoglio del 5 maggio 1936 «oggi alla testa delle truppe vittoriose sono entrato in Addis Abeba» e la replica fatta da Mussolini il 9 dello stesso mese «la guerra è finita. L’Etiopia è italiana», la realtà sul campo era “leggermente” diversa: non abbiamo mai avuto neanche per un sol giorno il controllo del territorio etiopico eccetto la capitale, le vie principali di comunicazione e poche altre città, soprattutto quelle facili da presidiare. Da subito si erano formate bande ribelli comandate dai ras locali che con l’andare del tempo si erano organizzate in formazioni militari sempre più capaci e in grado di “disturbare” continuamente il potere costituito degli italiani. Graziani sin dall’inizio combatté con tutti i mezzi, leciti e illeciti, questa specie di “banditismo”, ma sempre usando l’unica tattica che conosceva: la violenza allo stato puro. Che era poi anche l’unica maniera per tenere in vita e anzi rinforzare il ribellismo locale. L’uomo è costruito in modo identico sia in Scandinavia sia nei villaggi remoti nel sud dell’Africa: se gli usi una violenza controllata puoi fare in modo che ti obbedisca per timore, se gli stermini l’intera famiglia hai appena costituito un ribelle invincibile. Hai dato a lui il coraggio che non aveva e hai fatto di lui un combattente perfetto: andrà avanti fino a che ti avrà soppresso o che tu lo ucciderai. Ed è fin troppo logico constatare che combattere contro un esercito di votati all’estremo sacrificio, ma per davvero e non solo a parole come tutti son capaci di fare, costituiva un problema irrisolvibile.
Per tutti gli anni del colonialismo la guerriglia in Etiopia è stata una spina al fianco degli italiani, i quali potevano sentirsi sicuri solo nelle località dove avevano un forte controllo militare e non sempre neanche lì. I ribelli erano protetti dalla maggior parte della popolazione locale, come accadrà da noi negli anni della guerra civile dal ‘43 al ‘45, ed era molto difficile sorprenderli proprio per questo motivo. Si spostavano in continuazione e in molti casi portando con sé anche le famiglie, che in pratica costituivano la logistica dei partigiani etiopi.
Continua...
Per leggere l'intero articolo occorre scaricarlo in formato pdf al sottostante link

2404242400_0_fil.pdf | |
File Size: | 3116 kb |
File Type: |
Scritto pubblicato su wwwgracpiacenza.com il 24 aprile 2024
(*) Cfr. Giorgio Pasquali, Filologia e storia, Le Monnier, Firenze, 1998.