La famiglia Francesco Soavi di Ponte dell'Olio
Immagine sopra: la famiglia di Francesco Soavi, foto ripresa nel 1905 a Ponte dell'Olio. In piedi da sinistra a destra: Emilia Bissi; Emma Bissi; Ida Soavi, sorella di Francesco; Giuseppina Soavi, sorella di Francesco; Ettore Bissi, fratellastro di Francesco; Norma Bissi; Alma Bissi. Seduti, da sinistra a destra: Bella Rosa Vitale, vedova Soavi, vedova Bissi; Teresa Tinelli in Soavi, moglie di Francesco; Francesco Soavi. In primissimo piano la figlioletta di Francesco e Teresa, Rina. Rina è la mamma di Novella Pacini, autrice dello scritto "I giorni della memoria" pubblicato di seguito.
I giorni del nonsenso...
Se uno tenesse sempre presente l'eredità che gli aspetta a fine carriera, "sepolto ha in sorte rettili, insetti e vermi" (Siracide 10,11), di certo non gli verrebbero in testa idee malsane del tipo: "Io sono ariano ed appartengo ad una razza umana superiore". Ma basta una minima distrazione e subito l’Avversario, “che mai riposa e sempre si aggira, come un leone ruggente, in cerca di prede da divorare” (1Pietro 5, 8-9), ci assale e si impadronisce dei nostri pensieri. Da questo momento l’uomo può commettere ogni genere di nefandezze, comprese le inumane e sconcertanti leggi razziali, che furono emanate nel 1938 in occasione di una seduta parlamentare presieduta, non visto, da Satana in persona. Fatte poche eccezioni, tutti i giornali dell’epoca ripresero la notizia con toni trionfalistici, lasciando intendere o dichiarandolo in chiaro che giustizia era stata fatta.
Per conoscere i dettagli della “giustizia fatta” lasciamo la parola alla signora Novella Pacini, che all’epoca dei vergognosi avvenimenti era una bimbetta che dovette affrontare e patire la cattiveria e la stupidità umana (soprattutto la stupidità umana), che, affermerà lei, le segnarono la vita. La signora Novella è tuttora vivente nella città di Milano e gode di eccellente salute mentale. Noi del Grac la ringraziamo per la sua testimonianza e le auguriamo lunga e serena vita!
Per conoscere i dettagli della “giustizia fatta” lasciamo la parola alla signora Novella Pacini, che all’epoca dei vergognosi avvenimenti era una bimbetta che dovette affrontare e patire la cattiveria e la stupidità umana (soprattutto la stupidità umana), che, affermerà lei, le segnarono la vita. La signora Novella è tuttora vivente nella città di Milano e gode di eccellente salute mentale. Noi del Grac la ringraziamo per la sua testimonianza e le auguriamo lunga e serena vita!
I giorni della memoria
di Novella Pacini
Mi è stata più volte sollecitata la mia testimonianza, ma ogni volta ho tenuto a sottolineare che i miei ricordi sono quelli di una ragazzina. Così ho sempre cercato di mantenerli: è uno sforzo notevole quello di ricordare, spesso non si tratta di un ricordo vero e proprio, ma del ricordo o del sovrapporsi di ricordi e di testimonianze altrui. Le reazioni che ora cercherò di descrivervi sono quelle che ho avuto in piena adolescenza di fronte ad un'esperienza traumatizzante.
Per prima cosa devo dire che la nostra famiglia Soavi viveva a Ponte dell’Olio come una qualunque operosa famiglia italiana; con una sfumatura, però, data la posizione del nonno repubblicano e, senza aver preso posizioni estreme, fermamente antifasciste; il clima di casa era, diciamo così, sereno, ma critico nei confronti del fascismo anche prima che la sorte degli ebrei fosse messa in discussione, e quindi si potrebbe pensare che in un certo modo si fosse preparati a parare qualunque colpo, ma nel mio ricordo, invece, si è trattato di un'autentica tragedia, di una vile ingiustizia.
Per prima cosa devo dire che la nostra famiglia Soavi viveva a Ponte dell’Olio come una qualunque operosa famiglia italiana; con una sfumatura, però, data la posizione del nonno repubblicano e, senza aver preso posizioni estreme, fermamente antifasciste; il clima di casa era, diciamo così, sereno, ma critico nei confronti del fascismo anche prima che la sorte degli ebrei fosse messa in discussione, e quindi si potrebbe pensare che in un certo modo si fosse preparati a parare qualunque colpo, ma nel mio ricordo, invece, si è trattato di un'autentica tragedia, di una vile ingiustizia.
Ricordo cosa era l'arrivo dei quotidiani, la mattina di quell'estate del 1938, soprattutto dopo la pubblicazione, il 15 luglio, sul Corriere della Sera delle dichiarazioni degli scienziati sulla razza italiana: il cosiddetto Manifesto della razza , che al punto nove affermava perentoriamente "gli ebrei non appartengono alla razza italiana", e che fu commentato dal nonno Francesco con " Ci siamo" La strisciante campagna di stampa diventerà (all'uscita, dopo una ventina di giorni, di un primo numero della pubblicazione "Difesa della razza") uno strumento di divulgazione e preparazione delle imminenti leggi razziali.
In quei giorni io, nella mia incoscienza, ero però, molto eccitata e felice perché avevo terminato le elementari e avrei dovuto frequentare le scuole a Piacenza e solo molti anni dopo seppi che, senza avere un minimo sospetto, fui causa di un autentico choc per la famiglia. Il 2 settembre 1938, il Consiglio dei Ministri decide l'allontanamento dalle scuole italiane di ogni ordine e ruolo degli insegnanti e studenti di famiglia ebraica. Le leggi razziali non erano ancora uscite e quindi non si sapeva se anch'io sarei stata coinvolta. Per fortuna la direttrice del Collegio Sant' Agostino di Piacenza, l'unico collegio laico femminile, a cui i miei avevano posto il problema, non fece nessuna difficoltà ad accettarmi.
Mi ricordo perfettamente il giorno in cui giunsero improvvisamente, da Milano, due nipoti del nonno (uno di questi Ettore Mori, tenente dei Cavalleggeri Alessandria cadrà nel 1942 in Croazia, medaglia d'argento alla memoria e riposa ora nel cimitero di Ponte dell’Olio) per portare notizie e consigli come affrontare gli imminenti provvedimenti per la difesa della razza italiana. Il nonno, a questo punto, nella speranza di salvaguardare le proprietà e l'attività decise di donare tutto ai tre figli che avendo la madre "ariana" si sperava non dovessero essere colpiti (precauzione, che come vedremo, risultò inutile). E così, non ci fu sorpresa quel giorno fatale, 11 novembre 1938.
Aperto il giornale, visto il titolo cubitale, letto i vari provvedimenti: tutti ci colpivano più o meno gravemente. Passato il primo sgomento, la mamma è andata ad ordinare alla simpatica e affettuosa donna di servizio, presso di noi da tanti anni, di andarsene subito (Art. 7 . Gli ebrei e i meticci di ebrei non possono avere alle proprie dipendenze, in nessuna qualità, cittadini di sangue italiano ) e ricevette un primo conforto dalle sue lacrime. Pochi giorni dopo la moglie del nostro mezzadro, la Pierina, si offrì di farci a casa sua il bucato e dopo molte insistenze, con gratitudine, la mamma accettò: da quel momento usammo biancheria non cifrata per qualsiasi eventuale controllo.
Strani, piccoli ricordi di particolari che in quelle giornate sono serviti a portarci un segno di solidarietà. Un foglio di carta che portava solo un nome ci ha profondamente commossi perché abbiamo capito che lo scrivente non era riuscito a trovare nessuna frase capace di esprimerci la sua indignazione.
Vi furono, sì in paese, dimostrazioni di solidarietà, ma però non sono mancate ferite: mi è sempre rimasta presente l'amarezza della mamma per il comportamento di una carissima "amica", che lei in tempi non tanto lontani aveva, sola, tra l'altro difeso da velenosi pettegolezzi. (Non so la mamma, ma io non ho mai dimenticato e non sono riuscita a perdonare).
L'atmosfera in famiglia era pesantissima, sconvolti moralmente, angustiati da pratiche burocratiche umilianti e oggetto di continue indagini da parte delle autorità che si intensificarono con l'entrata in guerra dell'Italia. (La documentazione è consultabile all'Archivio di Stato di Piacenza). Infatti le misure repressive aumentarono; nei primi tre anni di guerra vi fu un crescendo di misure vessatorie: la mancanza di assegnazione di prodotti per la vendita e quindi quasi l'inattività del commercio, il sequestro della radio ecc. e, fra l'altro, il ritiro della tessera annonaria. E proprio legato a questa, è uno degli episodi che ha provocato a me una ferita non più sanata.
In quei giorni io, nella mia incoscienza, ero però, molto eccitata e felice perché avevo terminato le elementari e avrei dovuto frequentare le scuole a Piacenza e solo molti anni dopo seppi che, senza avere un minimo sospetto, fui causa di un autentico choc per la famiglia. Il 2 settembre 1938, il Consiglio dei Ministri decide l'allontanamento dalle scuole italiane di ogni ordine e ruolo degli insegnanti e studenti di famiglia ebraica. Le leggi razziali non erano ancora uscite e quindi non si sapeva se anch'io sarei stata coinvolta. Per fortuna la direttrice del Collegio Sant' Agostino di Piacenza, l'unico collegio laico femminile, a cui i miei avevano posto il problema, non fece nessuna difficoltà ad accettarmi.
Mi ricordo perfettamente il giorno in cui giunsero improvvisamente, da Milano, due nipoti del nonno (uno di questi Ettore Mori, tenente dei Cavalleggeri Alessandria cadrà nel 1942 in Croazia, medaglia d'argento alla memoria e riposa ora nel cimitero di Ponte dell’Olio) per portare notizie e consigli come affrontare gli imminenti provvedimenti per la difesa della razza italiana. Il nonno, a questo punto, nella speranza di salvaguardare le proprietà e l'attività decise di donare tutto ai tre figli che avendo la madre "ariana" si sperava non dovessero essere colpiti (precauzione, che come vedremo, risultò inutile). E così, non ci fu sorpresa quel giorno fatale, 11 novembre 1938.
Aperto il giornale, visto il titolo cubitale, letto i vari provvedimenti: tutti ci colpivano più o meno gravemente. Passato il primo sgomento, la mamma è andata ad ordinare alla simpatica e affettuosa donna di servizio, presso di noi da tanti anni, di andarsene subito (Art. 7 . Gli ebrei e i meticci di ebrei non possono avere alle proprie dipendenze, in nessuna qualità, cittadini di sangue italiano ) e ricevette un primo conforto dalle sue lacrime. Pochi giorni dopo la moglie del nostro mezzadro, la Pierina, si offrì di farci a casa sua il bucato e dopo molte insistenze, con gratitudine, la mamma accettò: da quel momento usammo biancheria non cifrata per qualsiasi eventuale controllo.
Strani, piccoli ricordi di particolari che in quelle giornate sono serviti a portarci un segno di solidarietà. Un foglio di carta che portava solo un nome ci ha profondamente commossi perché abbiamo capito che lo scrivente non era riuscito a trovare nessuna frase capace di esprimerci la sua indignazione.
Vi furono, sì in paese, dimostrazioni di solidarietà, ma però non sono mancate ferite: mi è sempre rimasta presente l'amarezza della mamma per il comportamento di una carissima "amica", che lei in tempi non tanto lontani aveva, sola, tra l'altro difeso da velenosi pettegolezzi. (Non so la mamma, ma io non ho mai dimenticato e non sono riuscita a perdonare).
L'atmosfera in famiglia era pesantissima, sconvolti moralmente, angustiati da pratiche burocratiche umilianti e oggetto di continue indagini da parte delle autorità che si intensificarono con l'entrata in guerra dell'Italia. (La documentazione è consultabile all'Archivio di Stato di Piacenza). Infatti le misure repressive aumentarono; nei primi tre anni di guerra vi fu un crescendo di misure vessatorie: la mancanza di assegnazione di prodotti per la vendita e quindi quasi l'inattività del commercio, il sequestro della radio ecc. e, fra l'altro, il ritiro della tessera annonaria. E proprio legato a questa, è uno degli episodi che ha provocato a me una ferita non più sanata.
"... una mattina l'impasto fu ritornato dall'allibito signor Taravella: gli era stato vietato di accettare e cuocere il pane dell'ebreo Soavi".
Per l'assenza della tessera annonaria facevamo in casa, il pane che portavamo al fornaio per la cottura, ma una mattina l'impasto fu ritornato dall'allibito signor Taravella: gli era stato vietato di accettare e cuocere il pane dell'ebreo Soavi. Fu la prima volta che vidi il nonno impallidire. Non dimenticherò mai la scena. Abbracciò la mamma che disperata piangeva, non disse una parola e uscì. Dopo circa venti minuti rientrò con un muratore che costruì un forno in cortile. Così imparammo, la mamma ed io a cuocere il pane e riuscimmo persino a ridere per i nostri tentativi mal riusciti.
Ci fu anche il periodo delle lettere anonime che furono spedite a varie autorità da "bravi, solerti" pontolliesi, sia a Piacenza sia a Roma. Alle quali seguirono ripetute perquisizioni. Due arrivarono anche in Russia (30° R.A.C.A,-P.M: 185 ) per segnalare la presenza di una spia ebrea, il Sergente Maggiore Sergio Soavi. Il Colonnello, che mostrò una delle lettere allo zio Sergio, dopo averla strappata fece dei commenti non certo benevoli nei confronti dell'anonimo mittente.
Ma un altro episodio ha lasciato un segno nel cuore di una ragazzina che aveva vissuto serena e protetta all'ombra del suo nonno : è stato l'obbligo a cui sarebbe dovuto sottostare il nonno di recarsi alla caserma dei carabinieri, ogni giorno, a firmare l'atto di presenza. Fu poi lo stesso maresciallo dei carabinieri, che dopo qualche giorno, iniziò a venire in casa nostra e risparmiare al "galantuomo" signor Francesco Soavi (come lui lo definì ), Sindaco del paese nel 1913/15, l'umiliazione di sentirsi messo sullo stesso piano di un delinquente incallito.
Con il crollo dell'Italia, nel settembre 1943 e la presenza dei nazisti, la R.S.I. emanò nuove disposizioni razziali: gli ebrei vennero considerati di razza " straniera" quelli di origine mista (figli di cui un solo genitore "italiano") dei "meticci" e soggetti al sequestro dei beni (Sequestro Soavi n°109510 del 16/5/1944, decreto registrato a Piacenza il 21/6/1944 n° 755 foglio ecc. firmato da il Capo della Provincia Piazzesi ).
Eravamo ormai soli, il nonno, la mamma ed io. Lo zio Sergio, ritornato fortunosamente dalla Russia, era prima in Francia e quindi prigioniero dei tedeschi e successivamente degli inglesi (ma noi per tanti mesi non ne sapemmo nulla), lo zio Remo in montagna con i partigiani, ricercato anche per aver aiutato nella fuga ufficiali inglesi prigionieri al Campo di Veano. Fu un periodo difficilissimo, dal punto di vista economico , ma soprattutto un periodo di terrore con l'incubo della deportazione.
I tedeschi dettero inizio, subito tra settembre e ottobre, alla caccia degli ebrei (c'erano premi consistenti in denaro per chi li segnalava). La deportazione del nonno fu evitata perché l'allora farmacista di Ponte dell'Olio, dott. Caramatti, potente esponente fascista della prima ora, stimava e rispettava il vecchio ebreo, per di più antifascista.
Con l'intervento del prefetto di Piacenza e di altre alte autorità riuscì ad ottenere per il nonno gli arresti domiciliari. La mamma mi disse che l'ordine portava la firma del generale Wolf, comandante supremo delle SS in Italia. ' In casa, però ugualmente, non c'era tranquillità e si viveva sempre nell'incertezza; io non ero più in collegio e la mamma si preoccupava della mia sicurezza nel caso che loro fossero deportati; la signora Irene Levati Civardi, che già custodiva oggetti cari alla nostra famiglia ci era offerta a prendersi cura di me. Per fortuna questo non fu necessario ma nei nostri cuori rimase sempre una grande gratitudine per lei e suo marito Guido. Come grati siamo sempre stati al signor Mario Rocca, che sfidando la proibizione di frequentare ebrei, ogni giorno veniva a visitare il nonno e portava le ultime notizie di Radio Londra.
E così, in un'altalena continua di avvenimenti confortanti e non, che del resto molti furono comuni a tutti i pontolliesi, vivemmo i mesi che ci portarono alla Liberazione, che per noi fu veramente, in tutti i sensi, tale.
Ci fu anche il periodo delle lettere anonime che furono spedite a varie autorità da "bravi, solerti" pontolliesi, sia a Piacenza sia a Roma. Alle quali seguirono ripetute perquisizioni. Due arrivarono anche in Russia (30° R.A.C.A,-P.M: 185 ) per segnalare la presenza di una spia ebrea, il Sergente Maggiore Sergio Soavi. Il Colonnello, che mostrò una delle lettere allo zio Sergio, dopo averla strappata fece dei commenti non certo benevoli nei confronti dell'anonimo mittente.
Ma un altro episodio ha lasciato un segno nel cuore di una ragazzina che aveva vissuto serena e protetta all'ombra del suo nonno : è stato l'obbligo a cui sarebbe dovuto sottostare il nonno di recarsi alla caserma dei carabinieri, ogni giorno, a firmare l'atto di presenza. Fu poi lo stesso maresciallo dei carabinieri, che dopo qualche giorno, iniziò a venire in casa nostra e risparmiare al "galantuomo" signor Francesco Soavi (come lui lo definì ), Sindaco del paese nel 1913/15, l'umiliazione di sentirsi messo sullo stesso piano di un delinquente incallito.
Con il crollo dell'Italia, nel settembre 1943 e la presenza dei nazisti, la R.S.I. emanò nuove disposizioni razziali: gli ebrei vennero considerati di razza " straniera" quelli di origine mista (figli di cui un solo genitore "italiano") dei "meticci" e soggetti al sequestro dei beni (Sequestro Soavi n°109510 del 16/5/1944, decreto registrato a Piacenza il 21/6/1944 n° 755 foglio ecc. firmato da il Capo della Provincia Piazzesi ).
Eravamo ormai soli, il nonno, la mamma ed io. Lo zio Sergio, ritornato fortunosamente dalla Russia, era prima in Francia e quindi prigioniero dei tedeschi e successivamente degli inglesi (ma noi per tanti mesi non ne sapemmo nulla), lo zio Remo in montagna con i partigiani, ricercato anche per aver aiutato nella fuga ufficiali inglesi prigionieri al Campo di Veano. Fu un periodo difficilissimo, dal punto di vista economico , ma soprattutto un periodo di terrore con l'incubo della deportazione.
I tedeschi dettero inizio, subito tra settembre e ottobre, alla caccia degli ebrei (c'erano premi consistenti in denaro per chi li segnalava). La deportazione del nonno fu evitata perché l'allora farmacista di Ponte dell'Olio, dott. Caramatti, potente esponente fascista della prima ora, stimava e rispettava il vecchio ebreo, per di più antifascista.
Con l'intervento del prefetto di Piacenza e di altre alte autorità riuscì ad ottenere per il nonno gli arresti domiciliari. La mamma mi disse che l'ordine portava la firma del generale Wolf, comandante supremo delle SS in Italia. ' In casa, però ugualmente, non c'era tranquillità e si viveva sempre nell'incertezza; io non ero più in collegio e la mamma si preoccupava della mia sicurezza nel caso che loro fossero deportati; la signora Irene Levati Civardi, che già custodiva oggetti cari alla nostra famiglia ci era offerta a prendersi cura di me. Per fortuna questo non fu necessario ma nei nostri cuori rimase sempre una grande gratitudine per lei e suo marito Guido. Come grati siamo sempre stati al signor Mario Rocca, che sfidando la proibizione di frequentare ebrei, ogni giorno veniva a visitare il nonno e portava le ultime notizie di Radio Londra.
E così, in un'altalena continua di avvenimenti confortanti e non, che del resto molti furono comuni a tutti i pontolliesi, vivemmo i mesi che ci portarono alla Liberazione, che per noi fu veramente, in tutti i sensi, tale.
Foto sopra: Francesco Soavi fu Adeodato, nato a Piacenza il 26 febbraio 1873. Francesco fu un itraprendente impresario e riuscì ad aprire negozi di ferramenta e pellami a Bettola, Farini e Ponte dell'Olio. Nel 1913-1915, ricoprì la carica di sindaco di Ponte dell'Olio. Al suo funerale il parroco del paese, don Tinelli, disse di Francesco: "fu il più cristiano dei pontolliesi".
Mi fermo qui, perché mi accorgo che, ora che ho iniziato, tanti e tanti altri ricordi affiorano dalla mia mente, ma non posso terminare prima di ricordare la figura del nonno, un uomo "giusto" nel senso biblico della parola e che don Tinelli, parroco del paese in quel periodo, volle, alla sua morte, onorare e recitare per lui il De profundis (traduzione latina della preghiera ebraica per i defunti), e che lo definì per la sua rettitudine "il più cristiano dei pontolliesi".
E lo ricordo soprattutto perché si senta presente il limpido e coerente pensiero di chi ha usato coraggio e intelligenza per guidarmi e sorreggermi nei momenti difficili e lo ritrovo nelle parole che Nello Rosselli pronunciò nel 1924 durante un suo discorso a Livorno : Mi dico ebreo, tengo al mio ebraismo perché è indistruttibile in me la coscienza monoteistica, che forse nessun altra religione ha espresso con tanta nettezza- perché ho vivissimo il senso della mia responsabilità personale e quindi della mia "ingiudicabilità" da altri che dalla mia coscienza e da Dio perché mi ripugna ogni altra larvata forma d'idolatria - perché considero con ebraica serenità il compito della nostra vita terrena, e con ebraica serenità il mistero dell'oltre tomba- perché amo tutti gli uomini come in Israele si comanda di amare, come anzi in Israele non si può non amare - e ho quindi quella concezione sociale che mi pare discenda dalle nostre migliori tradizioni - perché ho quel senso religioso della famiglia che, a chi ci guarda dal di fuori, appare veramente come una fondamentale e granitica caratteristica della società ebraica.
Ma voglio ricordare, anche come egli si considerava un uomo libero in una nazione di cittadini liberi e lasciate che io riprenda dal libro di Guido Artom ;"l giorni del mondo" (Longanesi ,1981): Suonano al mio orecchio, al mio cervello: I giorni del mondo, chi potrà contarli? chiede I'"Ecclesiastico", il libro scritto da un saggio non riconosciuto come profeta in Israele, Gesù, figlio di Sirac ,vissuto duecento anni prima che Gesù di Nazareth salisse il Calvario sotto il peso della croce. "I giorni del mondo, i pensieri, gli atti, le parole di un uomo vanno ben al di là della sua breve vita, rivivono attraverso il sangue, la memoria di chi discende da lui e lo continua o di chi di lui si ricorda, e nel mondo possono farlo ritornare. Egualmente ai suoi occhi appaiono i frutti che egli ha affidato alla terra e seguiteranno a rinascere .
Quei giorni chi potrà contarli?
E lo ricordo soprattutto perché si senta presente il limpido e coerente pensiero di chi ha usato coraggio e intelligenza per guidarmi e sorreggermi nei momenti difficili e lo ritrovo nelle parole che Nello Rosselli pronunciò nel 1924 durante un suo discorso a Livorno : Mi dico ebreo, tengo al mio ebraismo perché è indistruttibile in me la coscienza monoteistica, che forse nessun altra religione ha espresso con tanta nettezza- perché ho vivissimo il senso della mia responsabilità personale e quindi della mia "ingiudicabilità" da altri che dalla mia coscienza e da Dio perché mi ripugna ogni altra larvata forma d'idolatria - perché considero con ebraica serenità il compito della nostra vita terrena, e con ebraica serenità il mistero dell'oltre tomba- perché amo tutti gli uomini come in Israele si comanda di amare, come anzi in Israele non si può non amare - e ho quindi quella concezione sociale che mi pare discenda dalle nostre migliori tradizioni - perché ho quel senso religioso della famiglia che, a chi ci guarda dal di fuori, appare veramente come una fondamentale e granitica caratteristica della società ebraica.
Ma voglio ricordare, anche come egli si considerava un uomo libero in una nazione di cittadini liberi e lasciate che io riprenda dal libro di Guido Artom ;"l giorni del mondo" (Longanesi ,1981): Suonano al mio orecchio, al mio cervello: I giorni del mondo, chi potrà contarli? chiede I'"Ecclesiastico", il libro scritto da un saggio non riconosciuto come profeta in Israele, Gesù, figlio di Sirac ,vissuto duecento anni prima che Gesù di Nazareth salisse il Calvario sotto il peso della croce. "I giorni del mondo, i pensieri, gli atti, le parole di un uomo vanno ben al di là della sua breve vita, rivivono attraverso il sangue, la memoria di chi discende da lui e lo continua o di chi di lui si ricorda, e nel mondo possono farlo ritornare. Egualmente ai suoi occhi appaiono i frutti che egli ha affidato alla terra e seguiteranno a rinascere .
Quei giorni chi potrà contarli?
Immagine sopra: Ponte dell'Olio, piazza 1° maggio, sullo sfondo "Palazzo Soavi", ripresa del 1906.
Le fotografie qui sopra raffigurano il Sergente Maggiore Sergio Soavi , figlio di Francesco, sui vari fronti di guerra. Sergio Soavi, classe 1912, è stato chiamato al servizio obbligatorio di leva il 7 settembre 1932 e congedato per fine ferma il 25 agosto 1934. In aprile del '39 fu richiamato alle armi ed inviato in Albania. Il 9 luglio 1941 fu inviato in Russia con il 30° Reggimento di Artiglieria C. d'Armata, facente parte del Corpo di Spedizione Italiano... come si evince dagli stralci del suo foglio matricolare sopra pubblicato.
Immagini sopra: Palazzo Soavi, sito in piazza 1° Maggio a Ponte dell'Olio, a sinistra siamo ai primi anni del novecento, a destra come è ora. Tutte le proprietà dei Soavi, nel maggio 1944 furono "rapinate" con un decreto di sequestro firmato dal Capo della Provincia Piazzesi. Fortunatamente il diritto di proprietà fu ripristinato nel dopoguerra. La nuova Amministrazione Nazionale, restituì alla famiglia Soavi le sue proprietà, indebitamente tolte dall'Amministrazione precedente.
Foto sopra: da sinistra a destra, Bruno e Paolo Soavi, nella foto che appare dietro alle spalle di Paolo è Samuele, suo figlio. Questa è la "squadra" Soavi che attualmente porta avanti il lavoro iniziato dal nonno Francesco oltre un secolo fa e poi continuato da Sergio Soavi, padre di Bruno e Paolo.
Note
Questo articolo è già stato pubblicato sul periodico “Il Ponte”, nella rubrica "Schegge di Storia", (supplemento de “Il Nuovo Giornale”, Direttore responsabile Gianfranco Gatti, Condirettore il Parroco Pro-tempore di Ponte dell’Olio), sul numero di gennaio 2005.
Il Grac ringrazia l'Autrice Novella Pacini e l'Editore, nella persona di Don Mauro Bianchi, per la concessione alla pubblicazione sul sito del gracpiacenza.
Si ringrazia inoltre il ricercatore Pierluigi Valla per il lavoro di digitalizzazione della rivista.
Le fotografie che compaiono in questa pagina appartengono all'archivio personale di Bruno Soavi e Pierlino Bergonzi.
Pagina curata da Pierlino Bergonzi e pubblicata il 20 dicembre 2019
Il Grac ringrazia l'Autrice Novella Pacini e l'Editore, nella persona di Don Mauro Bianchi, per la concessione alla pubblicazione sul sito del gracpiacenza.
Si ringrazia inoltre il ricercatore Pierluigi Valla per il lavoro di digitalizzazione della rivista.
Le fotografie che compaiono in questa pagina appartengono all'archivio personale di Bruno Soavi e Pierlino Bergonzi.
Pagina curata da Pierlino Bergonzi e pubblicata il 20 dicembre 2019
Per un ulteriore approfondimento sulle leggi razziali e la ricaduta che ebbero a Piacenza si segnala la lettura dell'articolo di Pierlino Bergonzi e Giuseppe Zurla: "Le leggi razziali del fascismo". La pagina è raggiungibile con un clic sul pulsante sottostante