Osteria del Peppo all'Arda
di Giuseppe Zurla
di Giuseppe Zurla
Nel libro di memorie del comandante partigiano Prati, capo della Resistenza in Val D'Arda, in più di una parte si fa riferimento all'Osteria del Peppo descrivendola come un rifugio usato oltre che come posto di ristoro anche come base operativa. Diversi altri combattenti la menzionano tra i quali il fiorenzuolano Nino Fagnoni che ha scritto un volume esaustivo sulla sua tribolata odissea.
Conosciuti i fatti e quindi spinti da una giustificata curiosità per questo importante sito della memoria, sul finire di settembre 2016 abbiamo risalito la valle alla sua ricerca. La località da raggiungere era Salino di Pedina nel comune di Morfasso, una frazione di poche case vicino alle sorgenti dell'Arda. La giornata era bellissima fresca e soleggiata, il torrente, rinvigorito dalle piogge recenti, scorreva tra i sassi con acque limpidissime e il tantissimo verde dei boschi che coprivano i versanti dei monti rendevano il posto di una bellezza unica. Il nostro Appennino, al visitatore non frettoloso che scende dall’auto e sa vedere riserva spesso gradite sorprese. L'osteria non era più tale da molti anni ma rimaneva tanto radicata nelle memorie locali che anche i rari passanti che ci è capitato d'incontrare hanno saputo indicarla. L'edificio si erge in posizione solitaria sulla sponda sinistra dell'Arda appena dopo un ponte ed è circondato da un prato in dolce declivio. Negli anni ha subito una radicale ristrutturazione che l'ha trasformato da esercizio pubblico in una casa per vacanze. Della costruzione originale è rimasto intatto un portico in sasso, tipico manufatto delle zone rurali generalmente adibito a stalla nella parte inferiore e a cascina in quella superiore. Vicino alla porta, infissi al muro, fanno ancora bella mostra diversi anelli usati per attaccarvi gli animali.
L’Osteria ha una storia antica. L’inizio risale ai primissimi anni dello scorso secolo quando i coniugi Maria e Alfonso Ongeri, originari di Teruzzi, una frazione alle pendici del monte Lama l’acquistano. Giuseppe Ongeri che poi per tutti sarà “Il Peppo” vi nasce nel 1908, ultimo di 6 fratelli. L’immobile non è solo osteria, ma unico posto pubblico nel raggio di chilometri, ha da diversi anni una stanza adibita a scuola elementare. La frequenza non è riservata ai fratelli Ongeri ma libera a tutti i ragazzini di Pedina e delle frazioni vicine. La maestra, per lo più veniva in corriera da Morfasso. Erano tempi di un analfabetismo diffuso e la scuola/osteria degli Ongeri assolveva a una funzione primaria e altamente meritoria. Il padre Alfonso muore nel 1912 e quindi l’esercizio passa totalmente in gestione alla vedova Maria, quando Giuseppe aveva solo 4 anni. Donna pratica la signora Maria non si perde d’animo, alleva una nidiata di figli e gestisce l’osteria. Con il trascorrere degli anni le sorelle e i fratelli maggiori di Giuseppe, trovano lavoro altrove, si sposano e abbandonano la casa paterna.
L’Osteria ha una storia antica. L’inizio risale ai primissimi anni dello scorso secolo quando i coniugi Maria e Alfonso Ongeri, originari di Teruzzi, una frazione alle pendici del monte Lama l’acquistano. Giuseppe Ongeri che poi per tutti sarà “Il Peppo” vi nasce nel 1908, ultimo di 6 fratelli. L’immobile non è solo osteria, ma unico posto pubblico nel raggio di chilometri, ha da diversi anni una stanza adibita a scuola elementare. La frequenza non è riservata ai fratelli Ongeri ma libera a tutti i ragazzini di Pedina e delle frazioni vicine. La maestra, per lo più veniva in corriera da Morfasso. Erano tempi di un analfabetismo diffuso e la scuola/osteria degli Ongeri assolveva a una funzione primaria e altamente meritoria. Il padre Alfonso muore nel 1912 e quindi l’esercizio passa totalmente in gestione alla vedova Maria, quando Giuseppe aveva solo 4 anni. Donna pratica la signora Maria non si perde d’animo, alleva una nidiata di figli e gestisce l’osteria. Con il trascorrere degli anni le sorelle e i fratelli maggiori di Giuseppe, trovano lavoro altrove, si sposano e abbandonano la casa paterna.
Al più piccolo, il compito di aiutare la mamma e imparare il mestiere che indubbiamente gli piace e per il quale è portato. Negli anni ’30 un’estate conosce una ragazza di nome Giovanna Guarnieri, ma per tutti Giannetta, nata a Londra da genitori Morfassini e tornata nei luoghi d’origine per una vacanza. Come nelle belle favole a lieto fine, s’innamora di Giuseppe e non ripartirà piu’. Dal matrimonio celebrato nel 1934 nascono 9 figli a partire da Alfonso nel 1935 poi in successione, Maria, Domenico, Albina, Franco, Maria, i gemelli Bruna e Bruno, Angela e infine Daniela. La nonna che ha tenuto il timone della famiglia Ongeri da sola per tanti anni muore nel 1937 e il Peppo diventa a pieno titolo il dominus dell’osteria dell’Arda. Nella bufera della Resistenza il locale ha un ruolo decisivo per i tanti che rifiutano di aderire alla neonata Repubblica Sociale e si rifugiano in montagna che da quelle parti voleva dire il Monte Lama. Indubbiamente tempi non facili c’era molta povertà ma anche molta solidarietà e in montagna era più facile trovare qualcosa da mangiare. Il Peppo molto presto diventa un personaggio autorevole, carismatico, sa muoversi con equilibrio e diplomazia, ascolta e tiene gli occhi ben aperti. Prevede l’arrivo dei rastrellamenti e capisce quando è il momento di defilarsi rifugiandosi una volta al Castelletto, una frazione isolata a qualche chilometro dall’osteria, un’altra volta a Rocca in un gruppo di case sotto alla Rocca Casali, una località tra fitti boschi ora disabitata. Solo una volta i tedeschi riescono a catturarlo e l’utilizzano come guida per raggiungere il capoluogo, ma prima di arrivare a destinazione, dove presumibilmente sarebbe stato passato per le armi o tenuto prigioniero, il Peppo di scatto con agilità si butta in una riva scoscesa prima rotolando e poi correndo sfruttando le sue rinomate doti di camminatore. Ma accanto a un uomo di quella tempra non poteva certamente mancare una donna di pari doti. Giannetta ebbe un ruolo decisivo nello scambio di comunicazioni fra alleati e Resistenza. Ben nascosta di giorno in cantina c’era una ricetrasmittente che alla sera veniva messa in funzione. Di madre lingua inglese il suo ruolo fu indispensabile per facilitare i contatti con un comando alleato. Traduceva in simultanea dall’inglese per i partigiani fornendo un contributo prezioso che valse a risparmiare tante vite. I famosi primi lanci degli alleati per la Resistenza che avvennero sul monte Lama furono coordinati e andarono a buon fine anche grazie a quegli accordi. Basterebbe questo fatto per qualificare l’impegno della famiglia Ongeri a favore della Resistenza. Fossero stati scoperti erano passibili di fucilazione sul posto. Una volta si attivarono con una staffetta partigiana per guidarla a recuperare il materiale paracadutato per il Lama ma finito in un posto impervio. Data l’impossibilità di trasportare il pesante contenitore si caricarono del contenuto con l’intento di portarlo all’osteria senza sapere che nel frattempo una pattuglia fascista era nei pressi. Qualcuno riuscì ad avvertirli proprio un attimo prima in modo che riuscirono a scaricare nel bosco il materiale compromettente.
L’osteria, a quei tempi era qualcosa di più di un esercizio per bere e mangiare, era un rifugio, un posto dell’anima, nessun orario di chiusura, a volte i clienti pernottavano sui tavoli in attesa della prima corriera che passava alle 6 del mattino. Si beveva non come adesso dalle bottiglie, il vino veniva servito sfuso in quei contenitori che adesso non si usano più, quartini, mezzi litri e litri, si mangiavano salumi nostrani a stagionatura naturale, lardo, carne di maiale e si friggeva con lo strutto. All’inizio della stagione fredda si ammazzavano uno o due maiali alla settimana, poi nel dopoguerra con mutate condizioni economiche, l’arrivo dell’acquedotto e l’elettrificazione finalmente anche in montagna, tra ottobre e marzo si arrivò a macellarne 150. Prodotti che ora non ci sono più, sapori deliziosi di cui noi più anziani abbiamo uno struggente ricordo ma totalmente sconosciuti ai palati dei nostri figli. Si mangiava e si faceva spesa anche a credito. Qualcuno chiedeva prestiti e poteva anche ottenerli come appare da una rudimentale ricevuta manoscritta ritrovata tra le cose di famiglia. Destino comune a tante altre osterie anche quella del Peppo chiude alla metà degli anni 60 quando l’emigrazione svuota le montagne; mutano i tempi, le abitudini e soprattutto muore la compagna della sua vita con la quale ha coronato una lunga storia d’amore e di comunione d’intenti. Forse in quel momento, per la prima volta, il Peppo dev’essersi sentito stanco. Il grande pater familias dell’Arda conclude la sua esistenza terrena nel 1993 a 85 anni.
Dalla Resistenza non gli sono venuti riconoscimenti ufficiali se non una medaglia d’oro su una targa dovuta all’iniziativa del comandate Carlo Gaboardi, ma resta grande la gratitudine dei combattenti che lo citano nelle memorie. Nino Fagnoni nel suo libro “I Sentieri di un Partigiano” descrive commosso l’accoglienza che il Peppo e Giannetta gli riservarono quando tornò in montagna dopo la fuga da un treno che lo portava in Germania a un campo di sterminio. Scrive che venne trattato come un figlio, sfamato, accudito poi fatto dormire su una branda che usava spesso il Capitano Selva (Wladimiro Bersani), anch’egli più volte frequentatore dell’osteria. Nell’immediato dopoguerra gli alleati non erano molto teneri con noi, ci guardavano con diffidenza, non riuscivano a capacitarsi di come Mussolini avesse potuto prendere il potere e mantenerlo per tanti anni, visto che in giro nessuno si professava fascista.
Acquistano quindi ancor più valore i documenti in possesso della famiglia. Un carteggio che dalla fine della guerra si protrae fino agli anni ’60. Si tratta di lettere dattiloscritte che arrivano dalla Nuova Zelanda in cui una ragazza figlia di un capitano salvatosi grazie alla famiglia Ongeri vuole esprimere riconoscenza a questi amici italiani sinceramente antifascisti. Ma il documento più importante è un attestato del generale Alexander, supremo comandante delle forze armate britanniche nel Mediterraneo, che ringrazia Giannetta per il contributo alla salvezza dei suoi soldati. Non è un atto generico, si tratta di una lettera ufficiale protocollata che riporta nel retro la versione italiana. Mi chiedo quanti altri civili possono fregiarsi di un riconoscimento del genere. Un attestato che brilla come una medaglia al valore, qualifica la protagonista senza bisogno di tante parole e rende Giannetta a pieno titolo Partigiana ad honorem.
Nel raccogliere queste testimonianze e leggendo sulle cronache abbiamo conosciuto questi personaggi di cui oggi pare essersi perso lo stampo. E’ stato un lavoro piacevole e gratificante, abbiamo conosciuto i figli del Peppo che ci hanno accolti tutti assieme con grande disponibilità. Sono tutt’ora uniti come se gli anni non fossero passati, ed appare subito molto evidente che si vogliono ancora tanto bene. Non conosco altri casi in cui gli eredi di comune accordo come fosse la cosa più naturale del mondo decidono di lasciare indivisa l’eredità che diventa così proprietà comune. La casa del padre ove tornare per sentirsi di nuovo bambini e uniti ancora in famiglia come una volta. Sul monte Lama, proprio nel posto dove Vladimiro Bersani piantò la sua tenda, è stata eretta una stele di granito a imperituro ricordo della Divisione Val d’Arda, che svolse un ruolo primario nella guerra di liberazione. Su di un lato sono scolpite parole di gratitudine: I partigiani ringraziano la gente di montagna che li accolsero, nascosero e sfamarono per due lunghi inverni. Senza l’apporto di queste popolazioni, di cui il Peppo e Giannetta sono stati esponenti di primissimo piano, nessuna Resistenza sarebbe stata possibile.
Fotografie e documenti...
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Gariboia oggi è un paese fantasma, ma nel 1944 fu da qui che il comandante Prati partì, con altri 14 compagni male armati, dalla casa di Nando Bergonzi, passando poi per l'Osteria del Peppo, per il Monte Lama la notte del 15 aprile...
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Pagina pubblicata il 10 novembre 2016
Una domenica ospiti da "Peppo e Giannetta"
Domenica 6 agosto 2017 siamo stati ospiti all'ex mitica "Osteria del Peppo". Peppo ebbe 9 figli e, tranne il primogenito Alfonso, sono tutti viventi in buona salute e dividono la loro esistenza tra Piacenza, Londra e Strasburgo. Durante l'estate ritornano tutti a Pedina nella casa natale, dove ci hanno accolto con grande gentilezza e fatto visitare l'intero edificio, ora rimodernato per le nuove egigenze. Ma i "locali sacri" sono rimasti pressochè inalterati per conservarne memoria. In queste stanze si rifocillarono e dormirono partigiani e capi della Resistenza tra cui, Wladimiro Bersani, Giuseppe Prati e "Aquila Nera" (Pietro Inzani). A noi era rimasta una gran voglia di visitare questa casa che ormai vanta una storia plurisecolare. Abbiamo pranzato proprio nella stanza dove c'era l'osteria in una gran tavolata con figli, nipoti di prima e seconda generazione, non meno di una ventina di persone. La grande disponibilita' con cui siamo stati ricevuti viene da lontano, forse la stessa che ebbero il Peppo e Giannetta verso un'umanita' di combattenti e sbandati che in quei tempi difficili approdavano alla loro casa.
Visita a Pedina del nipote del capitano Tom Tufnell
Domenica 10 febbraio 2019, Liam Tufnell, nipote di Tom, ha fatto vista alla famiglia Ongeri e ai luoghi dove operò il nonno durante la guerra di resistenza.